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14 minuti fa

E il giudice disse: «Nonni, tornate voi a fare i genitori»

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Affido

E il giudice disse: «Nonni, tornate voi a fare i genitori»

Suscita interrogativi la recente vicenda di Latina, dove cinque fratellini, di cui uno con disabilità, sono stati affidati ai nonni e poi trovati in condizioni di abbandono. Come viene disposto, monitorato e accompagnato un affido intrafamiilare? Quando i nonni sono una risorsa e quando, invece, il compito che gli viene dato rischia di schiacciarli? E come si gestisce, in queste situazioni, la relazione con i propri figli? I numeri non sono trascurabili: sono circa 4mila in Italia i minori affidati ai nonni. Una riflessione a tre voci: Barbara Rosina (Cnoas), Viola Poggini (psicologa forense), Monya Ferritti (Coordinamento Care)

di Chiara Ludovisi

nonno con bambina

Gabriella (nome di fantasia) pensava che fosse arrivato il momento del riposo, dopo una vita spesa tra il lavoro e la famiglia, con tre figli da crescere in una grande città con il tempo e i soldi che non bastavano mail. Non avrebbe mai immaginato, alla soglia dei 70 anni, di trovarsi a crescere una bambina di 12 anni, accompagnarla e riprenderla a scuola ogni giorno, occuparsi delle sue attività pomeridiane, parlare con gli insegnanti. Sta facendo del suo meglio, insieme a suo marito, ma a volte le sembra un’impresa troppo grande per lei, che ha visto suo figlio diventare papà e poi crollare, insieme alla moglie, sotto l’effetto di chissà quali sostanze. E quando lui le rinfaccia di averle “rubato” la bambina, Gabriella vorrebbe sparire. Ma per il bene di sua nipote, è ancora qui. 

Claudio (nome di fantasia) ha 19 anni e non esce mai dalla stanza. Quando esce, lo fa per andare a comprare un po’ di cibo spazzatura con cui consolarsi da una vita che non gli piace. Non studia, non lavora. Vive con i nonni da ormai due anni, dopo una breve esperienza in casa famiglia: Claudio è quello che la legge chiama care leaver e che altri chiamerebbero neet. Due parole che per i nonni significano niente: hanno 80 anni e fanno del proprio meglio, ma non nascondono la fatica, la preoccupazione e a volte anche la paura per quel nipote grande, grosso e taciturno, che vive la maggior parte della giornata chiuso nella sua piccola camera e si dimostra sempre più insofferente.

Sono due storie (vere) come tante: storie di nipoti di diverse età, che per diverse ragioni il giudice ha affidato ai nonni, ritenendo i loro genitori “disfunzionali”, almeno per il momento. 

Il caso di Latina (e non solo)

Tante storie, sì, perché l’affidamento intrafamiliare è, per legge, la scelta prioritaria nel momento in cui viene disposto l’allontanamento del minore dalla sua famiglia d’origine. Lo ha ribadito con chiarezza la sentenza n. 28257/2019 della Corte di Cassazione, indicando che debba sempre essere valorizzato, laddove possibile, l’affidamento a «figure vicarianti inter-familiari, il cui contributo al mantenimento del rapporto con la famiglia di origine è criterio guida di ogni scelta in materia di affido, anche temporaneo, dei minori». E queste figure sono, nella maggior parte dei casi, i nonni.

La questione, che sulla carta appare lineare e di buon senso, è in realtà molto complessa, con un intreccio di relazioni delicatissimo e cruciale per la buona riuscita del percorso, ma soprattutto per la serenità delle persone coinvolte, a partire dai bambini e dai ragazzi. 

Ad accendere un faro su una questione che difficilmente richiama l’attenzione pubblica è stato, recentemente, il caso avvenuto a Latina: cinque bambini, di cui uno con disabilità, affidati dal giudice ai nonni e poi trovati in condizioni di grave degrado, trascuratezza e abbandono. Il tutto, peraltro, è venuto alla luce non grazie al monitoraggio dei servizi sociali, ma per la segnalazione di alcuni vicini. A rendere la situazione ancor più paradossale è il fatto che questi avevano notato e denunciato non la condizione dei bambini – evidentemente nascosta e “sommersa” – ma lo stato di abbandono dei cani. Dodici cani, per l’esattezza. Ora il caso è nelle mani dei giudici, che stabiliranno un nuovo percorso – a questo punto probabilmente in famiglia affidataria extrafamiliare – per i cinque fratellini, avendo accertato l’inadeguatezza dei nonni a prendersi cura di loro.

4 mila o forse più: il numero che non c’è

Ma quanti sono i bambini e le bambine che sono affidati ai nonni (o a un nonno o a una nonna) dopo l’allontanamento temporaneo dai genitori, su disposizione del tribunale? La risposta non c’è, o almeno non si trova. Qualche “indizio” è contenuto nell’ultima ricerca del ministero del Lavoro e delle Politiche sociali e dell’Istituto degli Innocenti sui minorenni fuori dalla famiglia di origine (qui l’indagine integrale), pubblicata a dicembre 2024: sulla base dei dati Sioss-Sistema informativo dell’offerta dei servizi sociali, nel 2023 i minori presi in carico dagli ambiti territoriali sociali erano complessivamente 33.310 (non includendo i minori stranieri non accompagnati), una cifra che comprende sia quelli in affidamento familiare sia quelli collocati in strutture residenziali. Di questi, poco meno della metà (15.992) erano in affidamento familiare: in molti casi (il 38,2% del totale) a un parente: parliamo di oltre 6mila minori.

E qui purtroppo ci dobbiamo fermare, perché quanti di questi 6mila minori in affido intrafamiliare siano affidati ai nonni è impossibile saperlo. L’unico dato esistente risale addirittura al 1999, quando sempre l’Istituto degli Innocenti (nel suo Quaderno di approfondimento pubblicato nel 2002), rilevò che il 57,9% degli affidamenti intrafamiliari coinvolgevano i nonni. Questo dato specifico non è più contenuto nei rapporti successivi, ma possiamo immaginare che la tendenza e l’incidenza non siamo molto cambiate nel tempo e le proporzioni siano all’incirca le stesse. Se così fosse, possiamo ipotizzare che oggi quasi 4mila minori in Italia siano affidati ai nonni. 

Non sempre i parenti sono in grado di garantire un contesto davvero sicuro e adeguato alla crescita del bambino. In alcuni casi, le difficoltà che hanno portato all’allontanamento non riguardano soltanto i genitori, ma interessano l’intera rete familiare

Barbara Rosina, presidente Cnoas

Un dato «plausibile», secondo Barbara Rosina, presidente del Consiglio nazionale dell’Ordine degli assistenti sociali-Cnoas: «I dati ministeriali non forniscono una suddivisione specifica dell’affidamento per grado di parentela, tuttavia, fonti regionali o locali – ad esempio la Città Metropolitana di Milano – indicano che tra gli affidamenti intrafamiliari (parenti fino al quarto grado), i nonni rappresentano circa il 56,1 % dei casi, seguiti dagli zii al 37,9 %. I dati del 1999 sono pertanto plausibili».

Affidati ai nonni, punti di forza e fragilità

Tanti sono quindi i nonni che oggi hanno in affidamento un nipote, o più nipoti, «o perché sono loro a offrirsi, o perché vengono cercati dai servizi», spiega Rosina. In ogni caso, «prioritariamente si parte proprio dai nonni, o dalla rete familiare nel suo complesso, verificando disponibilità, legami, affidabilità per individuare un progetto di affido intrafamiliare orientato a sostenere il genitore naturale nel suo percorso di recupero della competenze genitoriali». 

Di quanto i nonni rappresentino una risorsa preziosa per i minori in affido è convinta Viola Poggini, psicologa forense del Lazio e consigliera segretaria dell’Ordine degli Psicologi del Lazio, che spesso ha seguito casi simili. «I nonni, più di altre figure, garantiscono infatti di poter mantenere inalterato il radicamento nel contesto di vita, una affettività stabile all’interno di una rete già conosciuta dal minore. I nonni possono anche supplire alla perdita di un ramo genitoriale (per decesso, separazione conflittuale o assenza), dando continuità ai legami, alla storia e al senso di appartenenza familiare. In questo senso svolgono una funzione vicaria, garantendo l’accesso alle radici di entrambi i rami familiari, moderando il senso di perdita ed evitando recensioni affettive dolorose». 

I nonni, più di altre figure, garantiscono infatti di poter mantenere inalterato il radicamento nel contesto di vita, una affettività stabile all’interno di una rete già conosciuta dal minore

Viola Poggini, psicologa forense

Tutto questo, però, a patto che ci siano alcune condizioni. La prima, fondamentale, è la valutazione ex ante non solo della disponibilità, ma anche dell’effettiva adeguatezza e capacità dei nonni – o degli altri famigliari – rispetto a questo percorso. Osserva Rosina: «Non sempre i parenti sono in grado di garantire un contesto davvero sicuro e adeguato alla crescita del bambino. In alcuni casi, le difficoltà che hanno portato all’allontanamento non riguardano soltanto i genitori, ma interessano l’intera rete familiare. Per questo, prima di affidare un bambino a parenti è necessario svolgere una valutazione professionale approfondita, che non si limiti a considerare l’affetto, ma tenga conto anche della situazione economica, sociale e relazionale, così da verificare la reale capacità di garantire stabilità e protezione». 

E come avviene questa valutazione da parte dei servizi? «Gli strumenti principali sono i colloqui e le visite domiciliari, che permettono di raccogliere informazioni, affrontare eventuali criticità, individuare le risorse presenti e osservare da vicino le relazioni tra i familiari», riferisce Rosina. «Il sistema funziona, ma non in modo uniforme: ci sono territori dove le procedure sono molto accurate e altri dove gli strumenti sono meno sviluppati. Per questo a volte il rischio è che l’idoneità venga verificata in modo più formale che sostanziale. Servirebbe invece ovunque una valutazione attenta e approfondita, perché parliamo del futuro dei bambini e di un compito molto delicato per i nonni».

Non ho l’età

I nonni, infatti, anche in considerazione della loro età e delle loro condizioni fisiche, possono avere fragilità e difficoltà di diverso genere, di cui pure bisogna tener conto. «Le difficoltà emergono soprattutto quando ai nonni non è chiesto soltanto di sostenere i figli e i nipoti, ma di assumere interamente il ruolo di genitore». osserva Rosina. «È un compito che richiede energie fisiche e psicologiche che, con l’avanzare dell’età o problemi di salute, non sempre sono disponibili. A questo si sommano spesso limiti economici e la mancanza di competenze educative specifiche per affrontare situazioni molto complesse. La sfida si fa ancora più grande se il bambino ha bisogni particolari, come nel caso di una disabilità che richiede cure specialistiche, continuità e grande dedizione. In mancanza di genitori in grado di occuparsi dei figli, i nonni diventano gli ultimi custodi della cura. Il cosiddetto “welfare familista” regge solo quando ci sono risorse ed energie disponibili; quando queste vengono meno, il rischio è che i bambini restino senza tutele adeguate, esposti a nuove e pesanti fragilità».

È un compito che richiede energie fisiche e psicologiche che, con l’avanzare dell’età o problemi di salute, non sempre sono disponibili. A questo si sommano spesso limiti economici e la mancanza di competenze educative specifiche per affrontare situazioni molto complesse

Barbara Rosina, presidente Cnoas

È quanto mette in luce anche Poggini, sulla base della propria esperienza: «I nonni affidatari possono trovarsi a sostenere carichi educativi e pratici in età avanzata, con possibili limiti di energie, salute e risorse economiche. Psicologicamente, possono sperimentare ansia e senso di inadeguatezza, soprattutto se devono supplire a genitori fragili, vivendo anche sentimenti di ambivalenza verso i propri figli», spiega. «In questo percorso, disponibilità, fiducia e preoccupazioni per lo più convivono, tanto nei nonni quanto nei nipoti. Nei nonni, pur prevalendo la dedizione e il desiderio di proteggere i nipoti, è forte anche la paura, specialmente quella di non poter sostenere a lungo l’impegno. Nei nipoti si può cogliere da un lato sollievo per la continuità familiare e della rete di affetti, dall’altro sentimenti legati a un possibile conflitto di lealtà tra genitori e nonni. Più in generale, può emergere una confusione di ruoli, che si traduce in confusione affettiva».

Questa confusione può aggravarsi nel caso in cui il genitore – come a volte accade – non si attenga a quanto disposto dal giudice, per esempio per quanto riguarda le visite e la loro regolarità. In questo caso, «il rischio è che il nonno affidatario diventi anche il “controllore” del proprio figlio: questo assetto può alimentare conflitti all’interno della famiglia. Tale rischio può essere gestito solo con un chiaro supporto dei servizi e interventi di sostegno psicologico che permettano di distinguere i ruoli», osserva Poggini. 

L’accompagnamento necessario

Arriviamo così alla seconda condizione necessaria perché questo percorso funzioni: l’accompagnamento della presa in carico, a partire dal monitoraggio. Questo, spiega Rosina, «è affidato a équipe multidisciplinari, tramite incontri regolari, visite a domicilio e scambi costanti con la rete territoriale: scuola, pediatra, associazioni e realtà del terzo settore. In questa fase, un nodo critico riguarda i tempi: le scadenze previste dalla normativa non sempre corrispondono ai tempi di vita delle persone, che necessitano di periodi più lunghi per elaborare esperienze traumatiche e rimettere in equilibrio le dinamiche familiari», osserva Rosina.

Oltre al monitoraggio, però, l’accompagnamento prevede e richiede supporti e sostegni concreti, ritenuti cruciali tanto dal punto di vista dei servizi quanto da quello giuridico e psicologico: «I nonni e i parenti affidatari hanno bisogno di formazione, consulenza, sostegno psicologico e sociale, perché il legame di sangue, da solo, non assicura la qualità dell’accoglienza», afferma Rosina. «Ed è indispensabile un riconoscimento concreto del loro impegno. Non si può pensare che portino sulle spalle il peso della cura senza un adeguato supporto. Occorrono contributi economici, servizi educativi e misure di conciliazione che rendano sostenibile il percorso, evitando che l’affido diventi per loro fonte di ulteriore fragilità». 

Bisognerebbe riconoscere formalmente il ruolo dei nonni affidatari, con misure economiche specifiche, sostegno psicologico e canali di supervisione regolare dei servizi territoriali

Viola Poggini

Anche Poggini indica come fondamentali «interventi di sostegno psicologico per le famiglie (per alleviare i carichi e gestire più efficacemente conflitti e vulnerabilità), ma anche aiuti economici (attraverso contributi dedicati), educativi (tutoraggio scolastico e attività extrascolastiche a sostegno delle famiglie) e legali. Bisognerebbe riconoscere formalmente il ruolo dei nonni affidatari, con misure economiche specifiche, sostegno psicologico e canali di supervisione regolare dei servizi territoriali. Normativamente, potrebbe essere garantita una maggiore tutela». Questo, in un mondo ideale. In quello reale, purtroppo, ci si scontra con la «mancanza di interventi sistematici di monitoraggio e reti di supporto integrate: il caso di Latina sembra mostrare un vuoto di presa in carico, che dovrà essere attentamente valutato», osserva ancora Poggini. 

Questo «vuoto di presa in carico» chiama in causa i servizi: «L’esperienza dimostra che quando questi riescono a lavorare in integrazione e prossimità, le situazioni di rischio possono essere affrontate meglio e prevenute prima che diventino emergenze», osserva Rosina. «Ma perché i servizi possano seguire con cura tutte le fasi di un affidamento – in generale e in particolare ai nonni – servono investimenti reali: in personale, in risorse, in servizi che sappiano stare accanto alle famiglie. L’affido intrafamiliare non può essere lasciato alla sola disponibilità affettiva: ha bisogno di sostegni costanti e di un accompagnamento competente. Questo significa che i servizi devono poter contare su assistenti sociali, educatori, psicologi, operatori di comunità, tutti adeguatamente formati e sostenuti, ma anche su spazi, tempi e strumenti di partecipazione che rendano i nonni e le famiglie davvero protagonisti del percorso».

Quando la famiglia non ce la fa

Se dunque l’affidamento intrafamiliare resta una risorsa preziosa, occorre però tener conto delle possibili fragilità e quindi disporre di valide alternative: prima fra tutte, l’affidamento a una famiglia affidataria. Lo fa notare Monya Ferritti, responsabile scientifica del Coordinamento nazionale di associazioni familiari adottive e affidatarie e autrice del blog “Il corpo estraneo“: «L’affido ai parenti, guardando i dati, resta molto significativo, soprattutto al Sud, dove spesso rappresenta la prima opzione per i servizi. Le ragioni alla base di questa scelta sono molteplici e possono essere ricondotte a quattro dimensioni principali: concrete, culturali, giuridiche ed economiche». 

L’affido ai parenti resta molto significativo, soprattutto al Sud, per molteplici ragioni. Quella che però non dovrebbe essere mai una ragione è la mancanza di famiglie affidatarie

Monya Ferritti, autrice del blog Il corpo estraneo

C’è però anche un’altra ragione, che invece non dovrebbe esserci: «La disponibilità di famiglie affidatarie è insufficiente e distribuita in modo disomogeneo. Al Sud, la carenza è particolarmente marcata, il che rende spesso impraticabile l’avvio di un affido eterofamiliare. In questi casi i servizi sociali ricorrono ai nonni o ad altri parenti come unica soluzione praticabile». Praticabile, ma in molti casi non adeguata: «Lo abbiamo constatato spesso negli affidi intrafamiliari che riguardano gli orfani di femminicidio, i quali vengono automaticamente affidati a nonni o parenti: spesso notiamo che manca, in questi familiari, la preparazione sia ad affrontare il trauma sia a crescere il minore». 

I buchi nei numeri e nei servizi

Il caso di Latina è la prova di quanto un contesto familiare possa non essere sempre il più adatto per l’affidamento di minori. «L’arrivo improvviso di cinque bambini, di cui uno con disabilità, è impegnativo e destabilizzante», osserva Monya Ferritti. «Da quel che riportano le cronache, in questo caso – come in molti altri, purtroppo – non solo è mancato il monitoraggio ex ante (quale assistente sociale avrebbe potuto affidare cinque bambini a due anziani che vivevano con dodici cani, in una casa probabilmente non adeguata?), ma non sono neanche stati attivati supporti quali l’educativa domiciliare. Questo rimanda a una questione fondamentale: perché è così scarso l’investimento sulla prevenzione e si agisce sempre in emergenza?». 

L’affido extrafamiliare dovrebbe sempre essere una strada percorribile. Ma solo poche regioni virtuose hanno e curano una rete di famiglie affidatarie, ma la maggior parte non lo fa

Monya Ferritti, responsabile scientifica coordinamento Care

Proprio questa mancanza di investimenti nella prevenzione ha provocato l’inversione di un trend virtuoso, di cui Ferritti si rammarica: «Da due anni siamo tornati ad avere un numero maggiore di minori in comunità piuttosto che in affido, dopo che virtuosamente questa tendenza si era invertita. Questa è una sconfitta, perché si sa che la famiglia è l’ambiente migliore in cui un minore possa crescere. E se la famiglia d’origine non è in grado di farsi carico di lui, l’affido extrafamiliare dovrebbe sempre essere una strada percorribile. Ma solo poche regioni virtuose hanno e curano una rete di famiglie affidatarie, ma la maggior parte non lo fa. E a livello nazionale, mancano informazione, monitoraggio e investimenti perché questa diventi davvero una risorsa di sistema». 

Così come mancano, evidentemente, anche i dati necessari per farlo, visto che l’ultimo riferimento specifico agli affidamenti ai nonni risale al 1999 e anche i dati sugli affidi e le adozioni nazionali sono molto carenti: «Penso che i dati siano fondamentali per mettere in campo azioni adeguate», specifica Ferritti. «Questa mancanza di dati fa parte dell’incapacità tutta italiana di fornire monitoraggi sistematici sulla condizione dei minori nel Paese. Per quanto riguarda le adozioni nazionali, per esempio, non sappiamo neanche quanti sono i maschi e quante le femmine, così come non conosciamo le loro età. C’è, in generale, poca attenzione a fornire dati sistematici e ricorrenti sulla protezione minori. Anche in questo caso, esistono regioni virtuose, che eseguono i loro monitoraggi e usano i dati di cui dispongono per mettere in campo servizi e politiche pubbliche. Ma a noi non basta un’attenzione locale, dobbiamo sapere cosa accade a livello nazionale, per poter intervenire con azioni efficaci». 

Foto in apertura di Tamara Govedarovic su Unsplash. All’interno, foto Pixabay

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