Inclusione
“Fammi una domanda”: il gioco di carte che trasforma lo sguardo sulla disabilità
È stato inventato da studenti e studentesse con e senza disabilità all’interno del progetto, che ha coinvolto 435 alunni dai 14 ai 18 anni, “Patti di Amicizia Lunga” realizzato a Milano dall'organizzazione Cbm Italia
di Redazione

“Quando mi guardi, cosa vedi?”. “In cosa ti senti diverso dalle persone che ti circondano?”. E ancora “Com’è far parte di un gruppo?”. Queste sono solo alcune delle 45 domande del gioco “Fammi una domanda. Un gioco senza etichette” che è nato dal progetto “Patti di Amicizia Lunga”, realizzato a Milano da Cbm Italia, organizzazione internazionale impegnata nella salute, l’educazione, il lavoro e i diritti delle persone con disabilità in Italia e nel mondo, con il contributo di Fondazione di Comunità Milano.
A partire dall’inizio del progetto, sono stati coinvolti 435 studenti, sia con che senza disabilità, provenienti da tre istituti superiori della città: Galilei-Luxemburg, Besta e Oriani Mazzini. Questi studenti hanno partecipato a vari laboratori incentrati sull’adozione di comportamenti inclusivi, con l’obiettivo di migliorare la qualità della vita all’interno e all’esterno delle aule scolastiche. Inizialmente, gli esperti di Cbm Italia hanno introdotto la Convenzione Onu sui diritti delle persone con disabilità, spiegandone l’approccio basato sui diritti umani e l’importanza di un linguaggio inclusivo e rispettoso. Successivamente, sono stati promossi momenti di riflessione e scrittura su temi quali le relazioni, il futuro e l’esclusione, seguiti da ulteriori discussioni e narrazioni. Il gioco nasce “per liberarsi dal pregiudizio e dalle etichette, per scoprire cosa abbiamo in comune”, come si legge nelle istruzioni. “Il gioco non ha regole e non prevede vincitori, ma richiede una certa dose di coraggio”.

Samantha Garrone è una docente di sostegno e la referente inclusione dell’Istituto Superiore “IIS Fabio Besta” di Milano. La professoressa racconta che nelle classi in cui insegna ha avvertito i benefici di questo lavoro fatto con i ragazzi, che ha permesso loro di osservarsi e ascoltarsi. Con Patti di Amicizia Lunga hanno proprio cambiato sguardo sulla disabilità, uno sguardo diverso dentro e fuori la scuola, il che permette di migliorare le relazioni in ogni ambito della vita. È lei a riportare l’esempio di Raffaele, 18 anni, studente ipovedente e in carrozzina, a cui il progetto è piaciuto perché «porta ad avere meno paura della disabilità». La docente sottolinea che la paura di rapportarsi agli altri è di tutti ma occorre uno sguardo diverso per essere in grado di vedere le cose. Un altro ragazzo, Francesco, anche lui ipovedente, le ha confessato che «ci vorrebbero altre attività come questa a scuola: Patti di Amicizia Lunga significa conquista, perché finalmente si parla di più di argomenti come inclusione e disabilità».
Una studentessa di Garrone è Rossana, che frequenta la classe seconda. Rossana è abituata ad avere a che fare con la disabilità, perché sua cugina, a cui è molto legata, ha la sindrome di Down. «Per questo», dice, «ho visto più cose dei miei amici: cioè, oltre alle difficoltà ci sono anche altre cose che magari non noti. E noi in classe le abbiamo viste con questi incontri di Patti di Amicizia Lunga. Mi sento prima di tutto arricchita nei termini, perché ho capito che non tutte le parole sono adatte, e che non ha senso creare delle categorie per le disabilità. Bisogna vedere cosa c’è dietro ognuno di noi ragazze e ragazzi. Quello di cui ho molta paura sono i pregiudizi, perché quelli sono proprio radicati nella testa: ci convinciamo che l’altro non è uguale a noi e non riusciamo magari a vedere che è una bella persona. Per esempio, mia cugina non è solo una persona con disabilità».
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