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#Finanza&Etica

Fin dove è lecito fare profitti con le catastrofi?

Da oggi la presidente di Banca Etica, Anna Fasano, curerà su queste colonne una serie di approfondimenti sui temi legati alla finanza italiana e internazionale. Nella prima uscita focus sul business dell'industria della armi. Mai fiorente come in questo periodo

di Anna Fasano

La stagione dorata per l’industria bellica e per chi investe in armamenti prosegue. 

Mentre il dibattito si accende sull’invio all’esercito di Kiev delle micidiali bombe a grappolo dagli Stati Uniti che non hanno sottoscritto la Convenzione di Oslo del 2010 per la messa al bando di questi ordigni giudicati troppo distruttivi anche quando c’è una guerra. 

Anche le fabbriche di casa nostra, dopo il record storico di esportazioni di materiali militari nel 2021 per oltre 4,7 miliardi di euro, nel 2022 confermano il boom economico: le principali aziende italiane esportatrici di armi (Leonardo in testa) hanno incassato un +55% di profitti rispetto al 2021 (fonte Greenpeace Italia e Merian Research).

Credit foto: Banca Etica

Il banchetto fa gioire i produttori di tutto il mondo, visto che la spesa militare mondiale ha raggiunto nel 2022 la cifra record di 2.240 miliardi di dollari, crescendo del 3,7% rispetto al 2021. Un aumento di 127 miliardi di dollari in un anno solo, nonostante l’inflazione, il caro energia, e persino il devastante impatto della pandemia. Un’impennata della spesa in armi – sostenuta dal conflitto russo-ucraino; dalle tensioni tra Cina e Stati Uniti; dalla corsa di Pechino all’ammodernamento dell’apparato militare – cui nessuno si sottrae: gli Stati Uniti contribuiscono per il 39%, la Cina per il 13%, la Russia per il 3,9%, l’India per il 3,6%, l’Arabia Saudita per il 3,3%, e i Paesi della Nato complessivamente per il 55%.

Accanto agli Stati che stanziano risorse e ai produttori che incassano profitti, ad approfittare in modo più silenzioso e defilato di questa corsa al riarmo ci sono i soggetti che fanno speculazione finanziaria sul settore bellico: c’è chi ha addirittura lanciato sul mercato un ETF chiamato Future of Defence, che scommette su anni a venire di commesse destinate a gonfiare gli arsenali e i bilanci dell’industria bellica quotata in Borsa; e chi (banche, fondi speculativi e imprese) approfitta di un meccanismo perverso grazie al quale oggi guadagna dai rialzi dei titoli delle aziende che costruiscono missili o carri armati o dalle operazioni per finanziarne il business, e si appresta domani a fare ulteriori profitti ricevendo commesse per ricostruire nelle aree distrutte dalla guerra e investendo sulle società quotate a cui quelle commesse toccheranno (una stima di marzo sosteneva che la ricostruzione in Ucraina durerà decenni e costerà circa 750 miliardi di dollari).

Anna Fasano, presidente di Banca Etica (credit Banca Etica)

Il Global Peace Index ci dice che negli ultimi 15 anni i conflitti sono aumentati del 14% e il tasso di sicurezza è sceso del 5,4%. A questo punto è legittimo chiedersi: qual è il vantaggio collettivo che deriva da questo impiego delle risorse pubbliche e degli investimenti privati? Che alternativa abbiamo? 

Di recente The Economist – tradotto da Internazionale – ha ricordato una una dichiarazione del 1992 dell’allora presidente degli Stati Uniti George H.W. Bush – non esattamente un attivista per la pace – che ricordava come tra il 1989 il 1999 gli Stati Uniti, riducendo la voce di bilancio destinata alla difesa dal 6% al 3% del Pil, poterono dirottare centinaia di miliardi di dollari verso altre spese, acquisendo una sorta “dividendo della pace”. 

Allora forse è lecito chiedersi cosa succederebbe se le risorse che gli operatori finanziari privati ora destinano al comparto bellico (circa 3,4 miliardi stando al dato 2020 delle prime 5 banche italiane nella classifica di quelle “armate”) alimentassero invece un’economia “di pace”. Cosa accadrebbe se quei miliardi di investimenti in armi fatti dalle banche – ma anche dalle assicurazioni e dai fondi pensione – utilizzando il denaro di risparmiatori e investitori spesso ignari, diventassero credito per le famiglie e le imprese; per Il Terzo Settore; per le startup innovative; per chi offre servizi di welfare, educativi o sanitari?


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A chi dare ascolto dunque? Al grido di Padre Alex Zanotelli contro i finanziamenti al riarmo, oppure  a chi – come dichiarato anche dall’attuale ministro della Difesa nella recente assemblea dell’Aiad, la Federazione delle industrie militari italiane ori italiani di armi  l’attuale ministro della Difesa – vorrebbe una legge più “morbida” sul tema dei finanziamenti al commercio di armi disciplinati dalla legge 185/90 e critica la stessa esistenza di banche etiche che rifiutano di fare profitti con questo business .

Le crisi del nostro tempo hanno un filo conduttore che le alimenta: la finanza. Il mondo delle banche e delle società di investimento è spesso meno visibile al grande pubblico rispetto al mondo della politica e dell’industria, eppure è proprio la finanza che muove moltissime leve e che, finchè cercherà solo di massimizzare i profitti di breve periodo, continuerà ad alimentare guerre e crisi climatica.

Credit foto: bombardamento su Mariupol/La Press


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