Diritti civili

I palliativisti sul fine vita: «Meloni, basta usare strumentalmente le cure palliative»

Guai a snaturare le cure palliative, che al contrario tutelano e favoriscono la consapevolezza e l'autodeterminazione della persona con una malattia inguaribile. Sì a dare sollievo alla sofferenza e al dolore, condizioni psicofisiche in cui diventa difficile esercitare liberamente le scelte, ma non si pensi che così facendo si cancelli la domanda di morte medicalmente assistita

di Nicla Panciera

Sta suscitando indignazione e dibattito la bozza di legge sul fine vita in discussione nelle commissioni Affari sociali e Giustizia del Senato. Molti i nodi, a partire dall’inizio. La formula d’apertura che la vita è un diritto da tutelare «dal concepimento alla morte naturale» ed è molto chiara nelle sue intenzioni di affondare a poco a poco la legge 194. Ma si va anche oltre. Si tirano in ballo, ancora una volta in modo pretestuoso, le cure palliative, stabilendone l’obbligatorietà come requisito essenziale e necessario per le persone che chiedono di accedere al suicidio medicalmente assistito Sma. Trapela la consueta assunzione errata – e smentita da chi lavora sul campo – che garantire l’accesso alle cure palliative annulli le richieste di ricorso al fine vita assistito. In questo modo, inoltre, si snatura la natura stessa della palliazione, interventi olistici che sono volti, tra le altre cose, a promuovere proprio l’autodeterminazione dell’individuo.

«La legge n. 38/2010 sancisce l’accesso alle cure palliative quale diritto esigibile dal malato, che lo esercita in piena autonomia. Le cure palliative sono e devono essere una scelta naturale della persona, ispirata alla ricerca della migliore qualità di vita possibile nella malattia. Non un criterio di selezione» fa sapere in una nota la Società italiana cure palliative, prontamente intervenuta per specificare che, no, le cure palliative non riguardano (solo) le fasi più avanzate della malattia o il fine vita. Ma, spiega il presidente della Sicp Gianpaolo Fortini, «rappresentano invece un percorso di cura globale, centrato sulla persona, sulla sua storia clinica ed esistenziale, orientato al sollievo della sofferenza in tutte le sue dimensioni, attento anche ai bisogni del contesto famigliare e volto al mantenimento della dignità umana anche nelle fasi più critiche del vivere. È fondamentale che le cure palliative vengano sempre offerte con competenza e umanità, in un contesto che garantisca al paziente l’accesso reale, libero e non diseguale a tali percorsi, indipendentemente dalla scelta finale che egli vorrà compiere». Invece chi rifiuta le cure palliative, secondo il testo in discussione, perderà automaticamente il diritto all’autodeterminazione di morire con dignità.

Si garantisca al paziente l’accesso reale, libero e non diseguale a tali percorsi, indipendentemente dalla scelta finale che egli vorrà compiere

Gianpaolo Fortini, presidente Sicp

In Italia, l’accesso alle cure palliative è attualmente garantito solo ad una persona su 4 e solo nove regioni soddisfano i requisiti. «Noi sosteniamo che nessuno debba essere lasciato solo o sentirsi abbandonato nella sofferenza perché in tali condizioni psicofisiche diventa difficile esercitare liberamente le scelte», conclude Fortini. «L’accesso alle cure palliative non è oggi equamente distribuito in termini di organizzazione dei Sistemi Sociosanitari Regionali. È necessario, per coerenza, realizzare finalmente quanto già normato e disciplinato in ordine alle cure palliative».

Le cure palliative sono interventi rivolti a persone con una malattia inguaribile che tengono conto del suo contesto di vita e nel rispetto dei suoi valori più profondi. Tra gli obiettivi che si pongono c’è anche il garantire che le decisioni sul trattamento siano basate su una reale valutazione personale dell’individuo.

Inoltre, in riferimento al ruolo delle cure palliative richiamato nella sentenza n. 242/2019 della Corte Costituzionale, quella che stabilì che l’aiuto al suicidio non è punibile in presenza di precise condizioni (maggiorenne, malattia irreversibile, fonte di sofferenze fisiche e psicologiche insopportabili, in un percorso di cure palliative, tenuta in vita con trattamenti sostituivi, pienamente capace di intendere e volere)  Danila Valenti, responsabile del Comitato Sicp per le questioni etiche, precisa che «tale sentenza richiama espressamente l’obbligo di verificare l’adeguatezza dell’offerta di Cure Palliative, insieme alla corretta informazione rivolta alla persona malata, accompagnata in un percorso di rispettosa e delicata comunicazione onesta. Questa verifica, tuttavia, non può essere interpretata come un atto puramente formale: essa rappresenta un momento cruciale per rendere effettiva una scelta autonoma e una scelta libera nella complessità emotiva di una persona malata e nella complessità del percorso di consapevolezza».

Le cure palliative sono un momento cruciale per rendere effettiva una scelta autonoma e una scelta libera, garantita solo dal Servizio sanitario pubblico

Danila Valenti

Incomprensibile la decisione dell’esclusione del servizio sanitario nazionale e gli ospedali pubblici. Valenti ricorda che tale «scelta libera che può essere garantita solo dalla presenza di un Servizio Sanitario Pubblico, espressione di una comunità di cura che attraverso il gettito fiscale si impegna a garantire cure universalistiche. Annunciamo l’avvio di un lavoro di riflessione e approfondimento del Comitato per le questioni etiche, volto a offrire un contributo rigoroso e qualificato alla discussione in corso».

Non è la prima volta che si brandiscono in modo strumentale le cure palliative e non sarà l’ultima. La bozza di legge prevede anche un nuovo organo, il Comitato nazionale di valutazione etica, che farà da filtro a tutte le richieste dei territori e darà parere positivo o negativo alla richiesta di suicidio medicalmente assistito, con sette membri (un giurista, un bioeticista, un palliativista, un anestesista rianimatore e uno psichiatra, uno psicologo e un infermiere) tutti di nomina governativa. Anche questo passaggio viene bocciato da molti e non solo per il rischio di politicizzazione delle questioni. Come spiega Giuseppe Intravaia, referente area infermieri della Sicp, «in un’ottica di prossimità e attenzione al contesto e ai bisogni multidimensionali delle persone gravemente malate, Sicp ritiene opportuno normare la creazione – su base legislativa – di Comitati locali per l’etica nella clinica, dotati di competenze multidisciplinari e capaci di valutare territorialmente, caso per caso, le situazioni complesse che richiedono ascolto e discernimento». Chi riceve parere negativo non potrà sottomettere domanda per quattro anni, un tempo infinito per chi si trova in condizioni tali da chiedere il Sma. I nodi sono molti. La speranza di molti cittadini è che la discussione sul testo si avvicini al dolore e alla sofferenza delle persone, ne rispetti le legittime richieste senza creare pretestuosi ostacoli all’esercizio del loro diritto all’autodeterminazione.

Foto del National Cancer Institute su Unsplash

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