25 novembre
Frammenti di un discorso amoroso per combattere la violenza contro le donne
Un gruppo di giovani uomini e giovani donne, un ricercatore sociale uno spettacolo teatrale. Appunti e riflessioni dopo aver visto e partecipato a "Succede", scritto e recitato da Gabriella Salvaterra insieme al suo gruppo di lavoro femminile
Succedere è un verbo intransitivo, “Succede” è il nome dello spettacolo teatrale andato in scena al TeatroLaCucina di Olinda, nell’ex ospedale Psichiatrico Pini a Milano, sulla violenza contro le donne. L’ha scritto e recitato, insieme al suo gruppo di lavoro femminile, Gabriella Salvaterra: loro sono il Sense specific theatre, cioè disegnano esperienze immersive in cui tutti i sensi sono al lavoro. Da spettatore non vedi attori fare cose stando seduto in poltrona, le fai tu, con loro, sei dentro, sei parte. In questo caso sei addirittura da solo, con le attrici, perché si entra uno alla volta, al buio, in un percorso labirintico, che ha tre stazioni di ascolto e interazione, con le attrici in scena, e una serie di passaggi attraverso allestimenti scenici evocativi.
Data l’importanza del tema e la potenza dell’esperienza immersiva, il teatro ha organizzato con alcune classi quinte delle scuole superiori milanesi degli spettacoli riservati, allestendo una sorta di stanza di decompressione a fine spettacolo. Uno “spazio sicuro’” con qualche genere di ristoro, dove poter sostare, ripensare a quanto visto e vissuto, scambiarsi qualche parola, a piacere, in assoluta libertà, e una figura di adulto in ascolto, a conversare col gruppo. Anche in dialogo con le attrici in scena, a spettacolo finito. Io sono stato uno di quegli adulti. L’idea è chiara, uscendo da uno spettacolo del genere non puoi ributtarti come nulla fosse nelle tue routine, vale la pena fermarsi nella propria intimità, ascoltare cosa risuona, scambiare parole se queste vengono, aspettare che una reazione prenda forma. Sempre di più l’offerta culturale cerca l’effetto wow per attrarre soprattutto il pubblico più giovane, qui avviene il contrario, se c’è uno stupore è per quello che senti, perché ti fermi a farlo, sentire appunto.
Il verbo intransitivo è la chiave della scelta drammaturgica: la violenza rappresentata non avviene come gesto clamoroso, è un lento sgocciolamento nella vita di coppia, nella famiglia, nascosta dietro gesti e parole che sembrano d’amore e sono invece un processo di intrappolamento, di snaturamento della persona che sei per diventare la donna che l’uomo desidera.
In breve, la scena del crimine è la casa e l’arma del delitto sono poche parole e piccoli gesti. Eppure succede. E come reagiscono ragazze e ragazzi a quella tremenda cognizione, che il male è mascherato dal bene? Nella stanza di decompressione arrivano uno alla volta, uscendo così dallo spettacolo, ammutoliti, in qualche caso sconvolte, in un caso in lacrime. Poi si comincia a raccontare e la prima cosa condivisa è lo spaesamento, il disorientamento, il confidarsi di essersi persi, di aver sbagliato strada, perché la combinazione buio, labirinto e solitudine è una miscela forte, ha qualcosa di ancestrale, ma serve ad accedere al profondo. Si comincia da lì perché è la cosa più semplice da dirsi, è possibile scherzarci, e va bene così, è un modo per dirsi “siamo qui, non più lì dentro, in quell’angoscia”. È come guardare il sole, usciti dal cinema, esci dalla storia.
Poi come magneti ragazze e ragazzi si ricompattano, si cercano, si ricompongono le diadi di amiche, si vede che hanno bisogno di rompere la solitudine cui costringe lo spettacolo. Dopo lo spaesamento è la volta dei dettagli – «hai sentito quell’odore di casa all’inizio? che fastidio quel passaggio fra le giacche!» – la notizia è che l’accerchiamento sensoriale funziona, anche il loro corpo era in scena e il contatto fisico che avviene con le attrici ne è forse l’acuto, il gesto che non si aspettavano e che spiazza tantissimo. A questo punto arriva il cervello a raffreddare la scena, anche razionalizzare è una forma di difesa: ci si chiede insieme del perché una cosa o un’altra, che cosa volesse dire quello, e sarà questo anche l’incipit del dialogo con le attrici. Si avverte l’urgenza dell’interpretazione, di capire di aver capito, secondo un approccio che deve molto allo studio scolastico e che le attrici provano a smontare, perché ciascuna si senta libera di sentire e vederci quel che vuole, senza il timore di sbagliare strada.
Il tema della violenza entra in scena comunque molto naturalmente, non è un tabù, non è nuovo, ne hanno parlato anche con alcuni insegnanti. Soprattutto si capisce che c’è uno spartiacque, la vicenda di Giulia Cecchettin ha colpito tutti, è diventata un tema di confronto pubblico e privato, alcune cose non le puoi più dire e pensare dopo quella storia, tanto meno puoi essere indifferente o scherzarci su. Così come patriarcato e ‘amore tossico’ sono concetti ampiamente noti, anche se forse non riconosciuti nelle stesse cose da tutti e tutte.
A 18 anni la violenza contro le donne è tematizzata soprattutto come minaccia di strada, nelle infinite molestie che a quell’età una ragazza ha quasi certamente già incontrato
Ma se “Succede” parla della violenza dentro un rapporto maturo di coppia, a 18 anni la violenza contro le donne è tematizzata soprattutto come minaccia di strada, nelle infinite molestie che a quell’età una ragazza ha quasi certamente già incontrato. Qui c’è un abisso sul senso di insicurezza percepita, fra maschi e femmine, a fronte evidentemente di esperienze di vita diverse, ma è rassicurante sentire le ragazze dire «comunque oggi nessun ragazzo ti lascia tornare da sola a casa, anche il tassista non riparte finché non ti vede entrare nel portone di casa». Certo, sarebbe meglio non ci fosse bisogno di questo.
A questo punto il ricercatore che è in me mi porta a ricordare loro una cosa, perché è il tema dello spettacolo, ovvero che la maggior parte delle violenze avviene da quel portone in poi, succede appunto. Mentre lo faccio si fa chiaro che la violenza di genere la devi prendere parlando serenamente di amore, ormai abbiamo capito che è quello l’ingresso migliore, è anche la scelta drammaturgica. Perché poi, se tutti di solito sono contro la violenza, le accezioni di amore cambiano, si capisce dal confronto, il concetto di libertà in amore è quello che suscita più dibattito e polarizza le posizioni, anche se qui non c’è un maschile a rivendicare possesso o gelosia, anzi. Ma sul principio del consenso, nessun dubbio. È a questo punto che faccio la scoperta più forte, ovvero che vige la stessa prassi della mia adolescenza: le ragazze ne parlano tanto fra loro, i ragazzi ne parlano con le ragazze, i ragazzi ne parlano poco fra loro. È un ragazzo ad ammetterlo serenamente, a dire che sta provando a rimediare con gli amici, e vedo in lui una preziosa avanguardia. Io rimediai a quel vuoto formandomi sulla letteratura – il testo di Roland Barthes – e sui film soprattutto – il cinema di Francois Truffaut – non so se le serie tv stiano facendo altrettanto, certo non direi che la musica trap di questi anni abbia regalato le parole per dire l’amore. Ma è la mancanza di un discorso amoroso il rischio da evitare, perché si creino gli anticorpi a quel che poi succede.
Credit foto: Ilaria Costanzo
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