Intersezioni
Futuro rubato, se l’economia fine a se stessa spegne la speranza
Il filosofo Benasayag e l'economista Bruni lanciano l'allarme: un sistema economico impersonale e l'avvento dell'intelligenza artificiale erodono la capacità di immaginare un domani positivo, ma la "speranza antica" dell'impegno collettivo può ancora invertire la rotta

«L’economia è diventata fine a se stessa. Non è più pensata come al servizio della popolazione e dell’essere umano, ma il suo funzionamento è diventato il suo stesso fine». A parlare è Miguel Benasayag, filosofo e psicanalista argentino naturalizzato francese. Gli si potrebbe obiettare che è la scoperta dell’acqua calda, invece è un tema su cui è importante, fondamentale riflettere, perché ha ricadute dirette sulla nostra vita presente e sul futuro. Ormai, dice Benasayag, «articolare insieme economia e speranza è diventato un problema, perché non sappiamo più dove riporre le nostre speranze per il futuro».

Un passato da combattente nella guerriglia guevarista in Argentina, Benasayag è oggi uno studioso affermato nello campo dei problemi dell’infanzia e dell’adolescenza e dell’interazione tra tecnologia ed essere umano.
Intervenuto al convegno Economia è speranza all’Università Cattolica di Milano, ha sottolineato come la grave crisi che colpisce il nostro tempo – «sociale, economica, tecnologica» – sia causa ed effetto di un meccanismo economico sempre più impersonale e di come questo impedisca, specie alle nuove generazioni, di immaginarsi un futuro positivo. «Il mondo occidentale ha sempre visto il progresso come un mito e concepiva il futuro come qualcosa che avrebbe sistemato tutto, ma oggi no, non è più così». Il problema, sostiene, è che non immaginiamo neppure un futuro negativo, perché non serve: il negativo è già qui e ora. «Viviamo in una realtà caotica. Il futuro è stato rubato, è scomparso».

È una realtà angosciante quella tratteggiata da Benasayag, in cui l’avvento dell’intelligenza artificiale ricopre un importante ruolo di «distruzione».
«Il problema è che più c’è intelligenza artificiale, meno c’è intelligenza naturale. La delega massiva delle funzioni cerebrali alla macchina è un problema: che cosa rimane da fare per noi? Dobbiamo essere in grado di immaginare un mondo con più complessità e se vogliamo parlare di speranza deve essere riferita al presente, non al futuro, e soprattutto deve essere una sfida pratica».
A raccoglierla non deve essere un singolo, ma la collettività, ma serve un cambio di visione rispetto al concetto stesso di speranza. «La speranza», dice Luigino Bruni, professore di Economia all’Università Lumsa di Roma, «va immaginata come una città antica, preistorica, fatta a strati». Il primo è quello che ci fa andare a letto dopo una brutta giornata dicendo a noi stessi che domani sarà diverso. «Un’illusione. Il domani è sempre uguale e infatti nel mondo antico la speranza era vista come un male. È quello che possiamo sintetizzare in “vivere di speranza”, che non significa altro che aspettare che la nostra salvezza venga da fuori», spiega Bruni.

Ma se si scava u po’ più a fondo, si scopre che c’è sotto un altra forma di speranza, positiva, come un archeologo che sotto a un tesoro ne trova uno ancor più bello. «È quella speranza che produce impegno. Quella dei miei genitori o dei miei nonni, che si dicevano “la nostra vita è dura, ma se i nostri figli vanno a scuola magari per loro sarà migliore. È quella speranza che, nella storia, è diventata azione sindacale e movimenti politici, che ha mosso il mondo e gli assetti sociali». Ecco, per Bruni è questa forma di speranza che andrebbe recuperata. Come si traduce, questo, in termini di economia? Facendo i conti con la questione sociale del nostro tempo, per esempio, che per essere affrontata impone di immaginare (e dare vita a) una realtà diversa per costruire, tramite un’azione collettiva, un’economia al servizio delle persone e non del profitto fine a se stesso. Insomma, occorre riprendere in mano il timone della barca e non lasciarla andare: l’idea che il progresso si autogeneri e autogoverni va lasciata alle spalle.
Nella foto di apertura, di AP Photo/Dar Yasin/LaPresse, una tessitura nel Kashmir indiano. La foto di Benasayag è un frame di una conferenza svolta per la Fondazione trentina Alcide De Gasperi dell’agosto 2024.
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