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Iannantuoni (presidente Crui): l’università si apra a Terzo settore e sociale

L'inverno demografico morde anche gli Atenei che fra 18 anni avranno 200mila studenti in meno. Le azioni urgenti nella terza e nella quarta missione, l'innovazione tecnologica per le piccole e medie imprese, il ruolo dell'accademia come ascensore sociale e come "traino" nel rischio delle disuguaglianze: dialogo la prima donna a ricoprire il ruolo di presidente della Conferenza dei rettori delle università italiane

di Gabriella Debora Giorgione

Giovanna Iannantuoni rettrice Bicocca e presidente Crui

Giovanna Iannantuoni, 53 anni, rettrice dell’Università di Milano Bicocca, è la prima donna a ricoprire il ruolo di presidente della Conferenza dei rettori delle università italiane-Crui.
Professoressa ordinaria di Economia politica, Iannantuoni è stata presidente della scuola di dottorato della Bicocca dal 2015 al 2019. Dal 2019 è presidente del Consorzio per le ricerche sui materiali avanzati-Corimav, nato nel 2001 dall’intesa tra Pirelli e l’Università di Milano-Bicocca e che si occupa della ricerca sui materiali offrendo stage e borse di studio per il curriculum industriale del dottorato di ricerca in scienza e nanotecnologia dei materiali. Ha trascorso diversi anni all’estero presso i dipartimenti di economia della Rochester University, della Carlos III de Madrid e della University of Cambridge. I suoi interessi di ricerca sono su teoria dei giochi, decisioni di political economy, microeconomia e teoria del voto. Nella precedente “legislatura” Crui, Iannantuoni è stata delegata del presidente al Pnrr.

Nel 60esimo anno della sua storia, la Crui ha scelto per la prima volta come presidente una rettrice. Un bel primato, il suo…

È stato un momento davvero molto alto e molto bello. Ho ringraziato i colleghi rettori candidati e tutte le colleghe docenti che mi hanno sostenuta e votata. La fiducia su di me è stata l’esigenza di un cambiamento sentito. La direzione è verso un cambiamento radicale, a partire da come il sistema universitario viene colto nella nostra società. Noi dobbiamo assumerci la responsabilità ma anche l’onore di essere trascinatori, dei leader scientifici, culturali e sociali nel nostro Paese: è questo il ruolo che ci aspetta. All’Università Bicocca di Milano, come rettrice ho fatto la scelta politica di abbandonare le torri d’avorio e lavorare in osmosi con il settore privato, le amministrazioni pubbliche e il terzo settore con il quale io lavoro molto e da tempo. Questa scelta che ho fatto in piccolo nel mio Ateneo intendo portarla avanti in tutto il sistema universitario.

Lei ha definito l’Università un “ascensore sociale che continua a funzionare, ma che dobbiamo far funzionare meglio”, dichiarando la necessità di “dare agli studenti la possibilità di esercitare a pieno il diritto allo studio e alle università le risorse per garantirlo: in primo luogo, residenze e borse di studio” e che l’Università rimane un presidio da tutelare e da rilanciare. Un posizionamento dell’accademia al centro della società, insomma…

La nostra società vive oggi momenti difficili in cui, come dicevo, la coesione è messa a rischio dall’incertezza, dalla precarietà e dall’ampliarsi delle disuguaglianze di reddito e di genere. In questo scenario, siamo un’istituzione che deve “trainare”: l’apporto fondamentale che possiamo e dobbiamo dare al Paese è quello di formare cittadini consapevoli. Credo che non ci sia potere maggiore della consapevolezza.

Roma, Crui: il momento della proclamazione di Giovanna Iannantuoni a presidente

Residenze e borse di studio: un tema dolente. Perché l’Università non fa matching tra le varie esigenze e si apre all’online: provenienza degli studenti dalle aree interne poco servite dai trasporti, economia che non consente alle famiglie di mantenere i figli fuori sede, caro e scarsità di affitti?

Allora, sfatiamo un mito: la maggior parte dei corsi “prevalentemente da remoto” è erogata dagli atenei e non dalle telematiche. Sicuramente è un punto sul quale dobbiamo investire, però io le faccio una domanda: ma quanto vale andare in un campus multidisciplinare dove mentre studi medicina segui un corso di teatro e la sera bevi un aperitivo letterario con un docente di filosofia? Quanto vale la relazione con i pari? Quanto vale tutto questo rispetto ad una competizione “al ribasso” che noi non dobbiamo accettare? Gli studenti lavoratori o con fragilità devono essere tutelati e anche su questo dobbiamo spingere sul governo per avere maggiori finanziamenti per permettere a tutti di studiare in presenza che, ricordiamo, costituisce un investimento e non un costo. Noi dobbiamo fare la nostra parte: per esempio, ammodernandoci e chiedendo al settore privato di pagare di più le persone con un titolo di laurea. Occorre, insomma, un’alleanza di tutte le parti in campo: dobbiamo capire che tutti dobbiamo fare degli investimenti sul futuro del nostro Paese, altrimenti ne pagheremo tutti le conseguenze.

Quanto facciamo o possiamo fare per l’inclusività nell’università? Mi riferisco ai figli delle famiglie migranti che arrivano con titoli da riconoscere, alla possibilità per tutti di poter aspirare alla internazionalizzazione di ricerca e studio e, non ultimo, alla questione di alcune ricercatrici “di tipo A” costrette, diversamente dalle altre colleghe, a recuperare il periodo di maternità…

Parto dall’ultima cosa. Come lei sa, questo problema è nato con i contratti di ricerca sul Pnrr il cui cofinanziamento dura 36 mesi e stop. Se durante quel periodo la ricercatrice va in maternità, ovviamente non può recuperare il periodo perché il contratto finisce dopo 36 mesi tassativamente. Alla Bicocca paghiamo noi il periodo di maternità perché è chiaro che noi dobbiamo anche assumerci una responsabilità nei confronti di queste studiose. Chiederò sicuramente alla ministra Anna Maria Bernini di risolvere questo problema. A volte i problemi burocratici non letti in tempo diventano pietre d’inciampo, ma sono certa che la risolviamo facilmente. Sull’inclusività siamo totalmente aperti e siamo al lavoro.


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Lei parla della necessità di una Crui “coesa e propositiva”, due aggettivi abbastanza particolari…

È chiaro che c’è un grande dibattito, sul futuro dell’Università legato a tre sfide. La prima è l’inverno demografico, noi avremo un’ondata di calo studenti che ci colpirà nel 2027/2028 non egualmente ripartito nel nostro Paese, ma chi prima chi dopo saremo tutti colpiti. La seconda è l’offerta degli atenei telematici. La terza sfida è che le prime due sono molto più critiche e delicate in quella parte d’Italia che deve essere maggiormente attenzionata, il Sud. A maggior ragione, la coesione nasce proprio da queste esigenze. Siccome ci sono discussioni in atto, del tutto legittime, su autonomie regionali e degli atenei per scorporare la nostra unità nazionale storica dell’istruzione universitaria in “pezzi”, io porto avanti un altro tipo di cultura e mi piace citare il discorso all’Anci del nostro presidente della Repubblica, Sergio Mattarella: la forza del nostro Paese sono i mille campanili, alcuni con mille abitanti e alcuni con 5milioni, ognuno con un profondo senso di “esserci”. Accanto ai comuni io ci metto gli atenei, ovviamente dobbiamo occuparci della loro sostenibilità, questa è la nostra sfida del domani.

Per l’inverno demografico che è alle porte, cosa facciamo?

Nel 2022 sono nati appena 393mila bambini, quindi è facile calcolare quante poche matricole ci saranno nella coorte degli studenti fra 18 anni, tenuto conto che già ora in ingresso abbiamo di norma il 20% dei diciottenni. Non ci sono, quindi, matricole a sufficienza per gli 85 atenei italiani, soprattutto per quelli del Sud che sono in maggiore sofferenza rispetto a quelli del Nord. Bisogna quindi lavorare sull’orientamento in ingresso, ma tutti insieme e prestissimo e non dalle superiori, ma dalle elementari. Il talento, le idee, si sviluppano molto prima delle superiori. Dobbiamo lavorare molto sui bambini e sulle bambine, abbiamo dati Ocse molto preoccupanti. Bisogna creare un’alleanza tra le famiglie, la scuola e l’università, insieme al Mur e al Min istruzione. Il mio obiettivo è proprio di rilanciare queste sfide e il ruolo del sistema universitario.

Quindi l’Università italiana chiamerà intorno ad un tavolo politica, imprese, terzo settore, società?

Esatto, il mio obiettivo sarà, tra gli altri, anche quello. Ovviamente è un obiettivo a lungo termine.

Uno scorcio del campus della Bicocca

Perché c’è ancora poco nella terza missione e nel rapporto col terzo settore nell’università “del fare”?

La terza missione è composta da due parti. Il trasferimento tecnologico è una parte piuttosto sviluppata, anche qui in modo diverso tra regioni. L’altra, che poi è la quarta missione, riguarda il public engagement il rapporto con il terzo settore, la scienza aperta, le disuguaglianze, le povertà educative, il gender gap richiede ancora molto da tirar fuori ed essere valorizzato. Nella prossima procedura di valutazione Anvur saremo giudicati anche sulla nostra politica di terza missione, la scorsa volta contava ma non tantissimo e questo sicuramente sarà una spinta per tutti noi.

Tre azioni urgenti nella terza e quarta missione.

L’innovazione tecnologica per le piccole e medie imprese, che hanno ancora un contenuto medio-basso: dobbiamo lavorare su ricerca e sviluppo. La scienza aperta e partecipata, dove sono i cittadini che prendono parte all’esperimento. Le faccio l’esempio della mobilità dolce: accanto a ingegneri, sociologi urbani, informatici e matematici che costruiscono il modello, dobbiamo pensare a laboratori “figital”, sia fisici che digitali in cui anche gli utenti possano esprimere la loro. La terza, il coinvolgimento del terzo settore che per me è una parte importantissima del nostro Paese, poco valorizzata, che ha bisogno di formazione e di saper comunicare. Dobbiamo sempre tenere presente che “l’ultimo miglio” dell’innovazione tecnologia e sociale è fatto dal terzo settore. Dobbiamo aprirci a un dialogo, anche con una formazione dedicata e con un ampliamento dei tirocini.

foto concesse a VITA da Università di Milano-Bicocca


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