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Attivismo civico & Terzo settore

Governo, enti locali, cittadini. Da questo modello ci guadagnano tutti

L’analisi di Giorgio Vittadini, presidente della Fondazione Sussidiarietà

di Giorgio Vittadini

L’esempio raccontato nell?intervista a Peter Kyle è interessante per svariati motivi. In primo luogo esso dimostra che il governo inglese è alla ricerca di modalità innovative per gestire il complesso problema dell?assistenza la quale, essendo destinata a coprire bisogni di singoli individui difficilmente standardizzabili, mal si presta a forme di gestione burocratiche e predeterminate dal centro. È meglio invece lasciare l?erogazione degli stessi alle realtà locali, più vicine ai cittadini e quindi più capaci di elaborare risposte che effettivamente sostengano i bisognosi.

Oltre il quasi mercato
Tale erogazione è stata fin qui strutturata con la modalità del quasi mercato, in cui il compito dell?ente pubblico consiste nel regolare l?accesso al mercato stesso da parte di una pluralità di erogatori e sovvenzionare la domanda con buoni o voucher.

Creata la struttura, si fa oggi un passo avanti sperimentando non una sovvenzione predeterminata (buono o voucher) ma una erogazione finanziaria che lascia ai soggetti bisognosi una ancora più piena libertà di scelta. I destinatari potranno infatti scegliere se acquistare il servizio presso determinati enti o se optare, invece, per forme alternative di auto-organizzazione, e ciò in piena coerenza con le proprie preferenze.

Se l?innovazione è un elemento cruciale per far evolvere i sistemi di welfare verso sistemi più sussidiari – e quindi più efficienti e più rispettosi della libertà dei cittadini -, è pur vero che essa comporta una forte capacità di governare il sistema. Da rimarcare, nell?esempio inglese, la buona capacità di conoscere i costi del servizio, capacità che sta alla base del calcolo della somma da erogare al singolo cittadino.

Normalmente, nel nostro sistema (e in generale in tutti i sistemi europei) il governo centrale decide il budget per l?assistenza (da noi il Fondo nazionale per le politiche sociali) e poi lo riparte tra le Regioni le quali a loro volta li distribuiscono ai Comuni, senza sapere quanto si spende effettivamente per rispondere ai bisogni e quanto si spende per gestire la macchina amministrativa; nel caso presente invece vi è un solo passaggio burocratico, il che comporta una forte diminuzione dei costi di transazione e una conoscenza precisa di quanto lo Stato assegna al destinatario.

Tra il centro il territorio
Un terzo elemento va messo in rilievo: la sperimentazione è sì connotata da una relazione diretta tra il governo centrale e il cittadino ma ha sullo sfondo un preciso rapporto tra il centro, erogatore delle somme, e gli enti locali – almeno i 30 prescelti – nel cui territorio dimorano i destinatari delle somme stesse.

Questo comporta per i Comuni un coinvolgimento con le politiche nazionali da un lato, cui evidentemente essi dovranno rendere conto dei risultati dell?esperimento, e con i loro cittadini dall?altro, spettando ad essi il compito di front office per problemi e necessità nuove od ulteriori rispetto alle somme erogate. Ma non solo. Comporta anche una nuova modalità per l?ente locale di interpretare il proprio ruolo: da ente erogatore o regolatore a realtà pienamente sussidiaria, capace di far fronte a quelle situazioni nuove o d?emergenza che non sono coperte dalle ordinarie modalità della gestione amministrativa.


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