Giornata mondiale lotta all’Aids

Hiv: diagnosi in aumento, scarsa informazione e pochi test

Nel mondo sono quasi 40 milioni le persone con il virus. In Italia le nuove diagnosi sono in crescita, quattro su 10 sono tardive. Un evento che si è svolto a Roma e un libro bianco per la campagna “Hiv. Ne parliamo?” promossa da Gilead Sciences. Andrea Antinori, direttore Dipartimento clinico Spallanzani di Roma: «In Italia si stima vi siano più di 10mila persone che non sanno di avere il virus». L'appello ad approvare una proposta di legge ferma in Parlamento da due anni

di Ilaria Dioguardi

Sono state 2349 le diagnosi di Hiv nel 2023, a fronte delle 2140 del 2022. Quattro su 10 sono tardive. Sono alcuni dei dati emersi dall’evento che si è svolto alla Sala Capranichetta a Roma, dal titolo “Dalle parole alle azioni. Insieme per porre fine all’epidemia”, promosso da Gilead Sciences alla vigilia dell’1 dicembre, Giornata mondiale contro l’Aids. Nell’ambito dell’evento, è stato presentato il libro bianco Hiv. Le parole per tornare a parlarne, che parte da quattro parole chiave – prevenzione, stigma, check point, qualità di vita – per riportare il discorso pubblico sul tema dell’Hiv e passare all’azione. L’incontro e il libro bianco si inseriscono nell’ambito della campagna “Hiv. Ne parliamo?”, promossa da Gilead Sciences con il patrocinio di 17 associazioni di pazienti, la Società italiana di malattie infettive e tropicali (Simit) e l’Italian conference on Aids and Antiviral research (Icar).

Obiettivo 2030: 370mila persone con Hiv nel mondo

«L’obiettivo per il 2030 dell’Oms, Organizzazione mondiale della sanità, è di arrivare a 370mila persone con Hiv nel mondo», ha detto Stefano Vella, infettivologo e docente di Salute globale all’Università cattolica del Sacro Cuore di Roma. Secondo Unaids, il programma delle Nazioni Unite dedicato ad Hiv e Aids, oggi sono quasi 40 milioni le persone che nel mondo convivono con il virus «e ogni anno si infettano 1,3 milioni di persone», ha continuato Vella.

«L’informazione deve andare avanti tutto l’anno», ha affermato Andrea Gori, professore ordinario di Malattie infettive all’Università di Milano. «La terapia per l’Hiv è di una compressa al giorno, ma basta smettere di prenderla per una settimana e il virus riprende a replicare. Le nuove infezioni sui giovani sono dovute a una mancata informazione, e quelle tardive avvengono perché le persone non pensano alle infezioni. Bisogna focalizzarsi su un’informazione efficace».

Due su tre sono diagnosi tardive

«C’è una bassa consapevolezza dell’utilità dell’uso del preservativo», ha detto Barbara Suligoi, direttrice Centro operativo Aids dell’Istituto superiore di sanità. «Solo il 20% delle persone che ha scoperto di essere sieropositiva ha fatto il test perché ha capito di essersi esposto a rapporti a rischio. In Italia due terzi delle persone con l’Hiv hanno avuto una diagnosi tardiva, in questi casi l’efficacia della terapia è minore. Cerchiamo di favorire i test in setting extra sanitari».

Ogni anno, secondo l’Istituto superiore di sanità, le nuove infezioni diagnosticate ogni anno sono oltre 2mila, a indicare quanto sia fondamentale tornare a parlare di prevenzione: il 60% arrivano tardivamente, cioè quando le loro condizioni di salute erano già compromesse e spesso già in presenza di sintomi o di malattia conclamata.

Dobbiamo lavorare sulla cultura della percezione del rischio, incentivando l’utilizzo degli strumenti di prevenzione a nostra disposizione, come il test dell’Hiv

Andrea Antinori

Una legge per la lotta contro le malattie sessualmente trasmissibili

«La proposta di legge è ferma in Commissione Affari sociali. Si tratta di un lavoro di alcuni anni. Mi auguro che il 1 dicembre del 2024 sia l’ultima giornata mondiale contro l’Aids senza una nuova legge», ha detto, durante l’incontro, Mauro D’Attis, componente V Commissione Bilancio, tesoro e programmazione della Camera dei Deputati. L’augurio dell’onorevole è lo stesso delle associazioni presenti all’incontro. D’Attis è stato relatore, nell’ottobre 2022, di una proposta di legge su interventi per la prevenzione di Hiv, Aids e Papilloma virus. «Occorre una legge che innovi la 135 del ‘90 e che doti il Paese di nuovi strumenti per combattere il virus dell’immunodeficienza umana, la sindrome da immunodeficienza acquisita, il Papilloma virus umano e le infezioni e malattie a trasmissione sessuale».

Fare cultura della percezione del rischio

«In Italia si stima vi siano più di 10mila persone che non sanno di avere il virus», ha affermato Andrea Antinori, direttore Dipartimento clinico, Istituto nazionale per le Malattie infettive Lazzaro Spallanzani Irccs di Roma. «La curva in discesa fino al 2019, è in ripresa, questo ci impone strategie nuove ed efficaci, dobbiamo lavorare sulla cultura della percezione del rischio, incentivando l’utilizzo degli strumenti di prevenzione a nostra disposizione, come il test dell’Hiv, il profilattico e la profilassi farmacologica, aumentando la capillarità di azione, moltiplicando e sostenendo i checkpoint, anche e soprattutto con risorse pubbliche; abbiamo insomma bisogno di un esercito di stakeholder in cui ognuno faccia la sua parte».

Combattere il pregiudizio

Aver smesso di parlare di Hiv significa che non sono passate, nella popolazione generale, alcune verità scientifiche, come quella che si indica con la sigla U=U (Undetectable=Untransmittable): le persone con Hiv che hanno la carica virale non rilevabile non possono trasmettere il virus. Un concetto fondamentale che conosce solo il 22,9% della popolazione, come risulta dall’indagine realizzata da AstraRicerche per Gilead Science.

«L’efficacia delle terapie, e quindi un concetto come U=U, sono strumenti potenti anche contro lo stigma che purtroppo ancora oggi circonda chi vive con Hiv», ha detto Davide Moschese, dirigente medico presso il dipartimento di Malattie infettive Ospedale Luigi Sacco di Milano. «È innegabile, infatti, che lo stigma sia legato anche al timore di trasmissione del virus. Lo stigma non solo non va sottovalutato, ma è fondamentale combatterlo tramite la divulgazione corretta delle conoscenze scientifiche, per aumentare la consapevolezza sui propri comportamenti, favorire l’aderenza alle terapie e abbassando così il muro dell’isolamento sociale».

La scarsa conoscenza degli italiani

Sul tema dell’Hiv, gli italiani si sentono informati, ma non troppo: il 57,3% afferma di esserlo molto o abbastanza, ma solo il 10,6% afferma di saperne “molto”. E si vede. C’è ancora confusione sulla trasmissione del virus: il 14,5% pensa che sia sufficiente baciare una persona con Hiv in modo appassionato, l’11,8% usare i bagni in comune con persone con Hiv, il 16,6% essere punti da una zanzara che prima ha punto una persona con Hiv o respirare l’aria respirata da una persona con Hiv (5,2%).

Questa scarsa consapevolezza porta a sottovalutare il pericolo (il 63% si sente a rischio “nullo”) e a non fare il test, eseguito solo dal 29,3% di quanti dicono di conoscere il virus. Poca informazione anche sulle strategie di prevenzione e profilassi pre-esposizione (Prep), conosciuta solo dal 6,7%, e dei servizi che si possono trovare nei checkpoint (43,5%), presidi territoriali di cui il 56,5% non conosce l’esistenza. È il quadro che emerge da un’indagine demoscopica realizzata da AstraRicerche per Gilead Sciences su un campione di oltre 1.500 persone fra i 18 e i 70 anni, i cui dati sono riportati all’interno del libro bianco Hiv. Le parole per tornare a parlarne.

Checkpoint: un approccio alla pari

Informazione, possibilità di eseguire il test, di accedere alla Prep, supporto psicologico e possibilità di confronto fra pari. È quanto si può trovare nei checkpoint, luoghi gestiti dalla comunità per la comunità, che svolgono un ruolo fondamentale sul territorio, raggiungendo anche chi ha difficoltà a rivolgersi al servizio sanitario. Una realtà poco conosciuta (secondo l’indagine AstraRicerche solo il 43,5% ne ha “sentito parlare’” mentre il 56,5% non ne conosce l’esistenza) e scarsamente riconosciuta dalle istituzioni nonostante il servizio offerto a persone che non si sarebbero altrimenti rivolte alla sanità pubblica.

Filippo Leserri, presidente Plus Roma, durante l’evento ha affermato che «il checkpoint è un avamposto della prevenzione, una postazione privilegiata per poter arrivare alle persone in maniera efficace. Il lavoro di ascolto e di informazione che qui viene fatto ribalta la prospettiva della prevenzione: il nostro obiettivo non è solo quello di combattere le infezioni, ma anche di consentire alle persone di vivere la loro sessualità in maniera libera e consapevole, e così ridurre la diffusione del virus. L’arco di età in cui si verifica la diagnosi si è abbassata, da 34-45 anni a 24-35 anni».

Qualità di vita: multidisciplinarietà e dialogo medico-paziente

La scarsa conoscenza dell’Hiv da parte degli italiani fa sì che sia poca la consapevolezza delle difficoltà che le persone che convivono con il virus devono affrontare ogni giorno, sia dal punto di vista dello stato di salute sia da quello della vita sociale. La diagnosi tempestiva e l’aderenza alle terapie consentono alle persone con Hiv di avere una aspettativa e una qualità di vita simile a quella di chi non ha il virus: un risultato impensabile solo qualche decennio fa, che oggi apre però nuove questioni in termini di qualità di vita.

«Quello della qualità di vita è un concetto multidimensionale che necessita di un approccio personalizzato e paziente-centrico», ha sottolineato Anna Maria Cattelan, direttrice Uoc Malattie infettive Azienda ospedaliera universitaria di Padova. «Solo attraverso il dialogo tra persona con Hiv e medico (purtroppo ancora non ottimale) si possono esplorare aspetti come l’affettività, le problematiche psicologiche-sociali o la salute sessuale che sono parte integrante della qualità di vita. Serve un approccio integrato e multidisciplinare che preveda la presenza anche di altre figure come l’infermiere, lo psicologo e l’assistente sociale, per trattare il tema sotto ogni aspetto».

«Quello a cui dobbiamo tendere è un approccio “sex positive”», ha detto Lorenzo Latella, responsabile Cittadinanzattiva Campania. «Fare percorsi di educazione nelle scuole è importante, ma ci sono dei limiti: non si possono fare test Hiv e distribuire preservativi. Ci vuole un’azione di lobby. Far passare una legge che permetta di fare test Hiv ai minori sarà difficile. Per formare una responsabile salute collettiva usiamo i social, dove possiamo intercettare quella fascia di popolazione che non si intercetta in altri modi».

Foto e video di Ilaria Dioguardi (in apertura il pannello con l’immagine della copertina del libro bianco “Hiv. Le parole per tornare a parlarne“)

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