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Immigrazione

I Cpr non cancellano solo i diritti dei migranti, ma quelli di tutti i cittadini

La perquisizione al centro di permanenza e rimpatrio - cpr in Via Corelli a Milano arriva dopo le denunce raccolte in un anno dall'associazione Naga e della Rete Mai più Lager – No ai cpr. Vermi nel cibo, persone con malattie gravi e croniche senza assistenza sanitaria, violenze. «Il ruolo di vigilanza e denuncia della società civile è fondamentale», spiega Riccardo Tromba, presidente di Naga. «Chiediamo la chiusura immediata del cpr di Milano e anche di tutti gli altri. Con questo dossier abbiamo sollevato una questione che riguarda tutta la cittadinanza: i cpr sono gestiti con fondi pubblici»

di Anna Spena

Vermi nel cibo, acqua ghiacciata o bollente, bagni senza spazi privati. Lamette ingoiate, atti di autolesionismo, tentativi di suicidio, soprattutto per impiccaggiane. Chi è costretto a vivere così sono persone in mano dello Stato: in mano dello Stato italiano.

I Centri per il rimpatrio-Cpr dovrebbero essere luoghi di trattenimento del cittadino straniero in attesa di esecuzione di provvedimenti di espulsione. L’articolo 14 del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286 prevede che “quando non è possibile eseguire con immediatezza l’espulsione mediante accompagnamento alla frontiera o il respingimento, il questore dispone che lo straniero sia trattenuto per il tempo strettamente necessario presso il centro di permanenza per i rimpatri più vicino”. I cpr sono invece luoghi feroci che umiliano e mortificano. Dal 2017 in poi i diversi Governi in carica hanno deciso di investire nella detenzione amministrativa degli stranieri come efficace politica di rimpatrio con l’obiettivo di istituire un Cpr in ogni regione, 20 in tutto, e si è aumentata la capienza fino ai 1395 posti del 2022. Oggi sono attive dieci strutture, ma solo nove sono attualmente aperte e funzionanti. Andrebbero chiusi, tutti. Invece l’attuale Governo, negli ultimi mesi, ha provato a fare di tutto per potenziarli. Sempre urlando “all’emergenza immigrazione” che però non esiste. 

Di pochi giorni fa la notizia dell’ispezione della Guardia di Finanza al cpr di via Corelli a Milano. La descrizione che avete letto nelle prime righe di questo articolo riguarda proprio il centro in via Corelli. E non è un caso che l’indagine sia nata dopo la pubblicazione del report “Al di là di quella porta – un anno di osservazione dal buco della serratura del Centro di Permanenza per il Rimpatrio di Milano”, pubblicato dall’associazione Naga Onlus e della Rete Mai più Lager – No ai cpr.

«Abbiamo raccolto testimonianze che attestano una sistematica violazione del diritto alle cure; la visita di idoneità al trattenimento o non è svolta o è svolta senza strumenti diagnostici adeguati; la ‘visita medica’ di formale presa in carico da parte dell’Ente Gestore comprende umiliazioni e abusi quali, per esempio, la denudazione delle persone appena arrivate alla presenza del personale medico e di agenti di polizia e l’obbligo di fare flessioni per espellere eventuali oggetti nascosti nell’ano; abbiamo verificato il trattenimento di persone con malattie gravi e croniche, come un tumore cerebrale e gravi problemi di salute mentale; frequente è la mancanza di personale medico e la sommarietà della gestione delle cartelle cliniche costituisce la regola, come pure costante è una sovrabbondante elargizione di psicofarmaci senza alcuna prescrizione specialistica. Il Dossier descrive l’ostruzionismo opposto a qualsiasi tentativo di accesso sia fisico che virtuale al Cpr e tutto quello che abbiamo potuto (intra)vedere: da fuori e da dentro», hanno dichiarato le realtà che hanno pubblicato il dossier. «Abbiamo indagato diversi ambiti dall’inizio alla fine del calvario delle persone trattenute: la visita di idoneità, l’accesso al Cpr, i moduli abitativi, le condizioni di vita interne, l’informazione legale, la deportazione, il diritto alla salute nel Cpr, i trattenimenti ripetuti, il tour dei Cpr, gli atti di autolesionismo, le violenze, le morti, la gestione economica, il diritto di difesa e garanzie, il rispetto di quanto previsto dal progetto con il quale l’ente gestore ha vinto l’assegnazione del bando».

Intervista a Riccardo Tromba, presidente di Naga,  l’organizzazione di volontariato laica, indipendente e apartitica nata a Milano nel 1987. Ogni giorno i 400 volontari del Naga forniscono assistenza sanitaria, sociale e legale ai cittadini stranieri e si impegnano per la difesa dei diritti di tutti. 

Da sempre il Naga denuncia come sono costretti a vivere i migranti rinchiusi all’interno nel cpr di via Corelli, a Milano. Quando avete deciso di pubblicare, in un unico report, tutte le informazioni raccolte?


È stato un lavoro complesso e difficile perché osservare un cpr equivale a guardare un oggetto oscuro e allo stesso tempo invisibile e nascosto da alte mura pressoché impenetrabili dalla società civile e talvolta anche dalle persone addette ai lavori. Dati, testimonianze, ricerche, cartelle cliniche, accessi agli atti, accessi civici generalizzati, sopralluoghi, verifiche, messaggi al centralino telefonico dedicato (“sos cpr”) sono le fonti principali dell’indagine; il periodo di osservazione va da maggio 2022 a maggio 2023. Noi abbiamo sempre avuto gli occhi aperti sul cpr, ma è sempre stato estremamente difficile comprendere cosa succedeva là dentro e soprattutto provarlo. Attivare la linea “sos cpr” è stata una delle chiavi di volta. All’inizio chiamavano solo i parenti o gli amici delle persone che erano trattenute. Questo perché chi stava all’interno non aveva telefoni cellulari e non poteva comunicare con l’esterno se non a turno e in orari prestabiliti. All’inizio abbiamo cercato di mettere in piedi un meccanismo che consentisse alle persone di scegliere un avvocato diverso dall’elenco d’ufficio che gli veniva presentato. Di fatto l’attività è partita come sportello legale. Un punto di svolta importante è stata la sentenza del Tribunale di Milano che su sollecitazione ha ordinato al gestore del cpr di lasciare i cellulari alle persone. Questo naturalmente ha cambiato tutto perché ci ha permesso di dialogare con i migranti all’interno. E a quel punto sono iniziati ad arrivare i materiali. Non avevamo più solo telefonate o messaggi di denuncia, ma anche foto e video. 

L’indagine e poi l’ispezione al cpr di Milano arriva dopo la pubblicazione del dossier. Questo dimostra che il lavoro del privato sociale non è e non può solo essere di assistenza o sostegno

Il ruolo di vigilanza e denuncia della società civile è fondamentale. Le istituzioni fanno il loro lavoro, noi certamente non ci sostituiamo a loro. Però dico che, come società civile, non possiamo delegare in toto la salvaguardia dei diritti, che sono anche i nostri diritti di persone, non solo quelli dei migranti. Come associazione chiediamo la chiusura immediata del cpr di Milano e anche di tutti gli altri. Con questo dossier abbiamo sollevato una questione che interessa tutta la cittadinanza perché i cpr sono gestiti con fondi pubblici e sono stati usati per fare altro rispetto a quello previsto. Insomma gli interessi delle persone migranti non sono diversi da quelli dei cittadini italiani.

Perché in Italia si continua a trattare la migrazione con un approccio emergenziale?

Il problema non sono i flussi migratori, ma come li gestiamo. E di fatto: la gestione dei flussi migratori, così com’è concepita in Italia, fa male prima di tutto a noi. Cosa hanno prodotto le scelte politiche sul tema immigrazione degli ultimi 30 anni? Sofferenze incredibili. Un numero di vittime, morte durante il percorso migratorio, drammatico. Hanno agevolato la diffusione della xenofobia in Europa. È stata ed è una politica completamente fallimentare. E credo che sia venuto il tempo di chiederne il conto, perché qui si continuano a ripetere le solite sciocchezze, ma queste sciocchezze sono trent’anni non funzionano.

AP Photo/Luca Bruno


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