Economia

I mestieri non scompaiono, rinascono in nuove forme

Nei centri di formazione legati ai salesiani, ogni anno 20.500 allievi imparano un mestiere. L'80% di essi ha un lavoro a tre anni dalla qualifica. Il grafico sembrava scomparso, ma è tornato come comunicatore visuale. La domotica ha imposto un incontro tra termoidraulica e elettrotecnica. I ragazzi che iniziano questi percorsi hanno domande concrete a cui la scuola non risponde. Il direttore generale di Cnos-Fap: «la formazione non deve cambiare per stare al passo con le esigenze del mondo lavoro, bensì per stare al passo con le nuove esigenze dei ragazzi»

di Sara De Carli

Ventimila cinquecento ragazzi ogni anno qui imparano un mestiere. Nato nel dicembre del 1977, CNOS-FAP (Centro Nazionale Opere Salesiane / Formazione Aggiornamento Professionale) è la federazione che coordina l’ attività di formazione professionale dei salesiani, sullo stile di don Bosco. Sono più di sessanta i centri di formazione in Italia, con 1.598 corsi attivati per un totale di 702mila ore di formazione. I più presidiati sono i settori elettrico, meccanico, automotive, energia, grafica, turistico-alberghiero. Don Enrico Peretti è il direttore generale della federazione ed è una delle voci che sul numero di VITA di giugno, dedicato al lavoro, ci ha aiutati a capire come la formazione deve cambiare oggi per preparare i giovani ad avere un lavoro domani.

Lei è un esperto ma con le mani in pasta. Qual è il punto decisivo su cui porre l'attenzione oggi, affrontando il tema del rapporto tra formazione e il mondo del lavoro, in particolare per i giovani?
La prima cosa da sottolineare è che il tema non è cambiare la formazione per stare al passo con le esigenze del mondo lavoro, bensì per stare al passo con le nuove esigenze della formazione stessa e quindi dei ragazzi. Assolto l’obbligo scolastico, i giovani hanno bisogno di dare sfogo ai loro desideri e alle loro competenze, che sono diversi per ciascuno, devono poter applicare le conoscenze e le passioni che hanno. Ci sono ragazzi che hanno l’intelligenza nelle mani, per dirla come don Bosco: lui vedeva dei ragazzi che tornavano scontenti dalla scuola, chiamò degli apprendisti appena un po’ più grandi, perché facessero qualche ora con i più piccoli, nasce così la formazione professionale. Si tratta di apprendere delle competenze ma dentro un percorso di laboratorio, non di scuola.

La prima cosa da sottolineare è che il tema non è cambiare la formazione per stare al passo con le esigenze del mondo lavoro, bensì per stare al passo con le nuove esigenze della formazione stessa e quindi dei ragazzi.

don Enrico Peretti, direttore generale Cnos-Fap

La novità del presente qual è?
L’esigenza oggi è rapporto con le aziende. Che non devono “dettare legge” ma aiutare a rendere ancora più concreto il percorso formativo. Nelle nostre esperienze, anche rispetto al sistema duale, noi diamo sempre compiti di realtà, in un laboratorio di “intrapresa formativa” in cui i ragazzi fanno tutto il percorso, dalla ricerca all’accoglimento delle richieste di produzione, il magazzino… non devono essere esperti in tutto ma capire dove si situa il loro lavoro all’interno del processo. Alcune aziende ci danno compiti concreti, ad esempio la produzione di un attrezzo meccanico, per un concorso abbiamo preparato un pezzo che serviva a portare le bottiglie prodotte ad essere riempite, rivestite e tappate, abbiamo fatto tutto il percorso a partire dalla domanda dell’azienda, che aveva questo problema. Nell’automotive siamo chiamati a prendere un automezzo delle aziende e verificare con i software la “situazione” dell’automezzo, i ragazzi poi sono valutati su come risolvono il quesito. Il nuovo è che viene chiesto è questo, fare ipotesi di lavoro complete, accogliere il cliente, fare una proiezione di costi…

Cosa è cambiato concretamente nei vostri corsi o nell'approccio per rispondere alle sfide nuove? Ci sono profili professionale storici che avete rivisto o profili nuovi che avete inserito da poco?
I profili professionali non scompaiono, rinascono sotto mille forme per rispondere alle nuove esigenze. Il grafico per noi era un settore trainante, ha avuto una riduzione enorme ma ora vediamo una ripresa sia attorno allo stampatore sia sul web. Oggi c’è richiesta di comunicatori visuali, c’è un’esplosione di richiesta competenze. Abbiamo investito parecchio anche su una figura che unisca termoidraulica ed elettronica: con la domotica gli operatori sono chiamati a gestire processi che poco fa non c’erano, abbiamo proposto il profilo dell’operatore dell’energia, è partito in Veneto ma ora è nazionale, si declinano l’elettronica e la termoidraulica secondo le richieste nuove. C’è anche un’esplosione del turistico alberghiero, dove il passaggio è non solo l’esaltazione del gusto fine a se stesso – sarebbe un consumismo fine a se stesso – ma riscoperta del valore culturale della tradizione culinaria, una gastronomia intelligente che segue il territorio e la stagione, abbiamo chiesto all’Università di Pollenzo di validare i nostri percorsi e formare i nostri formatori. La meccanica poi ha mille e più sfaccettature, non solo nell’automotive ma anche nella meccanica generale, gli stampi un tempo erano una nicchia, oggi invece abbiamo corsi specifici per stampatori, che fanno pezzi prelavorati. È un settore in controtendenza, lo vedevamo anche con il ministro Poletti, mancano 80mila addetti nel settore meccanico in Italia.

Le aziende quale ruolo hanno? Ci sono difficoltà a coinvolgerle? Quale ulteriore ruolo potrebbero avere?
Lo accennavo prima, c’è bisogno di entrare in una logica nuova fra aziende e mondo della formazione. Le aziende non devono dettare legge sulla formazione ma nemmeno la scuola al contrario. Stiamo iniziando un lavoro di rilettura delle 22 qualifiche, nel farlo non dobbiamo chiedere all’azienda cosa fare, ma insieme alle aziende capire dove c’è lavoro. Insieme, perché è la corretta interazione fra i due mondi che fa la differenza. L’alternanza scuola lavoro sta facendo incontrare due settori che si sono parlati finora troppo poco. In un rapporto corretto, io soggetto formativo cerco di accompagnare i miei allievi a una formazione e a un mercato che cerca persone qualificate. In Italia mancano 80mila meccanici ma abbiamo ogni anno 70mila cuochi. La Germania ha 300 qualifiche, la Francia 70, noi dobbiamo capire se vogliamo farne anche noi tante o se prevedere delle qualifiche a banda larga e poi offrire curvature specifiche, specializzazioni. La scuola deve diventare capace di offrire risposte: se è troppo generica non risponde ma se è troppo specialistica riduce le possibilità.

I profili professionali non scompaiono, rinascono sotto mille forme per rispondere alle nuove esigenze. Il grafico per noi era un settore trainante, ha avuto una riduzione enorme ma ora vediamo una ripresa come richiesta di comunicatori visuali. Abbiamo investito parecchio su una figura che unisca termoidraulica ed elettronica, perché con la domotica gli operatori sono chiamati a gestire processi che poco fa non c’erano, proponendo il profilo dell’operatore dell’energia. C’è anche un boom del turistico alberghiero, dove il passaggio è non solo l’esaltazione del gusto – sarebbe un consumismo fine a se stesso – ma riscoperta del valore culturale della tradizione culinaria, una gastronomia intelligente che segue il territorio e la stagione.

Molti interlocutori vanno tratteggiando un futuro di grande complessità, in cui sembra quasi esserci spazio solo per profili professionali estremamente alti, come se tutto ciò che ha a che fare con la produzione e con la manualità fosse destinato a sparire: come state rispondendo a questa sfida?
Non credo sia vero. La fabbrica 4.0 sta chiedendo una intelligenza e creatività che solo le persone possono dare. Le macchine toglieranno i lavori ripetitivi ma avranno sempre bisogno di addetti. Noi non puntiamo alla bassa manovalanza. Il tecnico con una qualifica e un diploma deve gestire le lavorazioni progettandone nuove e adattandosi alle esigenze del mercato, perché le produzioni continueranno a cambiare. Un ragazzo creativo aiuta l’azienda a essere creativa. La tecnologia non toglie lavoro, lo qualifica.

Recentemente a un evento di Galdus a Milano, l’amministratore delegato di Panino Giusto ha detto che potrebbe assumere 20 ragazzi all'anno, se questi accettassero di andare all'estero: ma questo è ancora difficile. Lo vede anche lei?
I ragazzi non fanno fatica a mettersi in gioco, però devi dargli un obiettivo. Ad esempio l’Erasmus nella formazione professionale conta solo 200 ragazzi ogni anno, dovremmo moltiplicarli, è una possibilità concreta che hanno, vanno abituati. Nella ristorazione sono molto disponibili, nella bassa padovana il 70% dei ragazzi al termine della qualifica non resta nel territorio, va sulle navi da crociera, all’estero per lavori stagionali, rispondono immediatamente, non ci sono tempi attesa.

L’Erasmus nella formazione professionale conta solo 200 ragazzi ogni anno, dovremmo moltiplicarli, è una possibilità concreta che hanno, ma vanno abituati.

Quali sono i vostri tassi di occupazione?
A tre anni dalla qualifica, l’80%. A un anno il 50% ma tenga conto che il 35% resta nella scuola, alcuni si iscrivono al nostro diploma, altri rientrano nella scuola dopo un’esperienza di IeFP. Anche questo dato ci dice della necessità di ripensare il modo in cui facciamo scuola: l’alternanza scuola lavoro sarà davvero una risorsa. Dall’altra parte dobbiamo riportare la formazione professionale come possibilità concreta, ci sono zone del Paese in cui non è così. Il 50% dei nostri allievi arrivano a noi direttamente dopo la terza media, come prima scelta: in passato erano molti di più i ragazzi che arrivavano da noi con una bocciatura o un insuccesso formativo alle spalle. La motivazione? Spesso è che altrove non vedono le stesse possibilità occupazionali e le stesse risposte concrete alle domande che hanno, che qui trovano. Abbiamo fatto una sperimentazione con l’Invalsi, somministrando anche ai nostri ragazzi i test (siamo gli unici che hanno somministrato i test Invalsi al computer): nei risultati siamo molti vicini agli istituti tecnici. È molto interessante, dice di una disponibilità intellettuale che scardina molti pregiudizi. Ora questa sperimentazione sarà estesa a tutti i CFP di Forma.

I nuovi strumenti sono utili? Penso in particolare al nuovo apprendistato e alla via italiana al sistema duale.
Lo sono, nel senso che hanno chiesto a tutta formazione professionale di ripensarsi nel rapporto con l’azienda, operando con le aziende in maniera diretta. I ragazzi tornano al CFP con domande formative concrete: “in azienda mi hanno chiesto questo e non sapevo farlo”. L’interazione fra i tutor sta producendo effetti molto positivi. Ad esempio fino ad oggi il nostro esame finale è stato sulle discipline, adesso invece ai ragazzi è chiesto di produrre il risultato di un lavoro. Chi è chiamato a mettersi in gioco così acquisisce competenze diverse: non viene tolto nessun asse, c’è sempre la letteratura ma nello spazio giusto, all’interno di un progetto riconoscibile. L’aula non deve più a sé stante ma dentro un laboratorio.

Foto Cnos-Fap

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