World Meeting on Human Fraternity

I Nobel per la pace: «la guerra, fallimento dell’umanità»

Trenta premi Nobel per la Pace sono a Roma per partecipare a #BeHuman, il secondo World Meeting on Human Fraternity. Fra loro il russo Dmitri Muratov, direttore di Novaja Gazeta, che ha chiesto a papa Francesco di spendersi per un cessate il fuoco durante le prossime Olimpiadi: «È il primo passo, poi verranno i negoziati, ma prima di tutto smettiamo di uccidere le persone»

di Alessio Nisi

Muratov

La guerra come fallimento collettivo che da millenni affligge l’umanità e che va al di là del semplice scontro tra nazioni o gruppi. L’inadeguatezza del concetto di “guerra giusta”, teoria che per secoli ha tentato di moralizzare l’uso della forza in contesti specifici, ma che, alla luce dell’avanzamento tecnologico negli armamenti, nucleari e di distruzione di massa, sembra sempre più inadeguato. Sono questi alcuni dei passaggi con cui il cardinale Pietro Parolin, segretario di Stato della Santa Sede, ha aperto il Tavolo per la Pace, appuntamento che ha dato avvio alla due giorni di #BeHuman, il secondo World Meeting on Human Fraternity, organizzato dalla Fondazione Fratelli tutti. L’evento, cui hanno partecipato intellettuali e Nobel per la Pace (trenta), si è focalizzato sulle implicazioni e sulle tragiche conseguenze dei conflitti armati sul tessuto dell’umanità.

12 sessioni per la fraternità

Il World Meeting on Human Fraternity prosegue sabato 11 maggio, in una sorta di “G tutti” aperto alla voce del pianeta. Le “sessioni per la Fraternità” saranno 12. I tavoli si riuniranno nella Città del Vaticano e in luoghi simbolo di Roma. Papa Francesco parteciperà al tavolo “Bambini: generazione futuro”: insieme per cercare una visione di dialogo e arrivare, in vista dell’incontro del prossimo anno giubilare, a una nuova Carta dell’umano che possa aggiornare quella dei Diritti dell’uomo. Sempre sabato mattina i protagonisti del meeting saranno ricevuti in udienza da Papa Francesco e a lui il Nobel per la Pace russo Dmitri Muratov e la Nobel per la Pace ucraina Oleksandra Matvijčuk consegneranno il testo Be Human. Subito dopo i Nobel saranno accolti al Quirinale dal Presidente della Repubblica Sergio Mattarella.

Dmitri Muratov, direttore di Novaja Gazeta e Premio Nobel per la pace 2021

In Russia sono considerato agente straniero

«Mi chiamo Dmitri Muratov, sono arrivato qui da Mosca e tornerò a Mosca. In Russia sono stato dichiarato agente straniero e comunicando con me rischiate di essere dichiarati agenti stranieri», queste le parole con cui ha aperto il suo intervento il direttore di Novaja Gazeta e Premio Nobel per la pace 2021 assieme a Maria Ressa.

Accanto a Rigoberta Menchu

Seduto al tavolo accanto all’attivista guatemalteca premio Nobel per la Pace 1992, Rigoberta Menchu, Muratov si è detto felice di discutere di un documento che «finalmente rimette al centro l’essere umano. Non lo Stato, non i blocchi militari, non i generali, non i dittatori, non i presidenti, ma l’individuo. E questo», sottolinea, «è un grande merito della Santa Sede. A volte pensiamo che i dittatori siano impossibili da sconfiggere. Questo è vero per un motivo: non hanno perdite inaccettabili. Trattano la vita degli altri come se avessero una tariffa illimitata, come se si potessero spendere tutte le vite che si vogliono per una telefonata». 


Le Olimpiadi occasione di pace

Muratov ha parlato poi della necessità che la Santa Sede sostenga l’idea del cessate il fuoco in occasione delle Olimpiadi. Il cessate il fuoco «è la cosa più importante per allontanarsi dall’abisso». Il primo passo. «Poi verranno i negoziati, ma prima di tutto smettiamo di uccidere le persone. Chiedo che la Santa Sede preghi per il cessate il fuoco insieme a tutti i cittadini del mondo che guarderanno le Olimpiadi». Le guarderanno milioni di persone. Le stesse persone che «conoscono il calciatore preferito del Papa, Messi. Bisogna coinvolgere tutti per il cessate il fuoco e la pace tra Russia e Ucraina. Il Papa dovrebbe chiedere un aiuto anche a lui, che è la persona più conosciuta al mondo».

A sinistra Graça Machel Mandela e accanto Rigoberta Menchù

Non avete il diritto di fare affari sulla vita delle persone

Sul noi e loro, sui produttori di armi, sul ruolo delle persone e sulla responsabilità verso i giovani è ruotato il discorso di Graça Machel Mandela, politica e avvocato mozambicana naturalizzata sudafricana. Sulla necessità soprattutto che i decisori e i produttori di armi sentano la responsabilità di quello che fanno. «Penso», ha detto Mandela, «che dovremmo dire qualcosa su questo e sulla corsa agli armamenti. Ci sono persone che stanno facendo affari nella produzione di armi sempre più distruttive e pensano di avere il diritto di farlo». Ecco, ha aggiunto, «siamo arrivati ad un punto in cui non possiamo continuare e dobbiamo dire “basta” e dirlo con molta forza: non avete il diritto di fare affari sulla vita delle persone». Quella stessa vita, ha ribadito, che non è «un business. Non avete il diritto di fare business sulle vite umane, non so come lo direte, ma se lo faremo saremo persone migliori».

In gioco c’è la quotidianità e il futuro dei giovani

«In ballo», mette in evidenza Mandela, «c’è la quotidianità e il futuro dei più giovani». Le persone, aggiunge, «devono avere voce in capitolo e anche essere consapevoli che si sta tenendo conto di loro, non è che non esistano semplicemente perché non sono in quei grandi edifici e in quelle riunioni in cui si prendono le decisioni. Troviamo un modo. E diciamo a quelle persone che credono di possederci che non è così, e diciamo ai giovani che la presenza non è solo il futuro, ma anche il presente e il futuro e che devono assumere la leadership».

Pietro Parolin, segretario di Stato della Santa Sede

L’apertura di Parolin

«Con armi in grado di cancellare esistenze su scala massiva e teatri di guerra che non conoscono confini, dobbiamo interrogarci sulla validità di una dottrina che potrebbe autorizzare l’impensabile», ha detto il segretario di Stato vaticano Parolin, evidenziando il pericolo di un’interpretazione obsoleta di tale dottrina in un contesto globalmente interconnesso. «Pur non negando il diritto sovrano all’autodifesa e la responsabilità di proteggere le vite minacciate, dobbiamo ammettere che ogni guerra rappresenta un fallimento dell’umanità intera, non solo delle parti in conflitto», ha sottolineato Parolin. 

La guerra come malattia globale

Con questa riflessione, il cardinale amplifica una visione della guerra come malattia globale piuttosto che come incidente localizzato. Non solo. «Chi si fa operatore di pace sarà chiamato figlio di Dio», ha sostenuto nel discorso di apertura dei lavori. Secondo il segretario di Stato, nessun conflitto armato è «destinato a risolvere problemi».

La solidarietà che trascende le frontiere

In definitiva, il discorso di Parolin ha voluto gettare le basi per un rinnovato dibattito internazionale su come le nazioni possono collaborare per un futuro più pacifico, enfatizzando l’importanza di una solidarietà che trascenda le frontiere, le culture e le credenze. Un dialogo che possa portare ad una maggiore consapevolezza dell’importanza di scelte politiche e strategiche orientate non alla guerra, ma alla costruzione di ponti di comprensione e cooperazione tra i popoli.

In apertura e nel testo foto di Alessio Nisi

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