World Stroke Day

Ictus: i giovani non sono immuni. Ecco cosa fare

Si celebra il 29 ottobre la giornata mondiale contro l'ictus cerebrale che colpisce quasi 100 mila italiani ogni anno, con il suo carico di disabilità motoria e cognitiva. Anche i giovani ne soffrono. Nove casi su dieci evitabili facendo le giuste scelte e abbattendo pochi fattori di rischio

di Nicla Panciera

Uno su quattro di noi avrà un ictus cerebrale nel corso della propria vita. A volte non lascia scampo, chi sopravvive si ritrova con esiti più e meno invalidanti. A tali deficit cognitivi e motori, seguono altre complicanze di lungo periodo come un raddoppiato rischio di sviluppare demenza. L’ictus, di cui si celebra il 29 ottobre la giornata mondiale, è la seconda causa di morte a livello globale e la terza in Italia, dopo le malattie cardiovascolari e i tumori. Grazie agli avanzamenti in medicina, sempre più persone vi sopravvivono e, quindi, è diventato anche la prima causa di invalidità e la seconda causa di demenza. In Italia, quasi 100.000 italiani ne vengono colpiti ogni anno e attualmente le persone che hanno avuto un ictus e sono sopravvissute sono circa 1 milione. Si stima un aumento del 26% del numero di persone colpite nel prossimo futuro, con lievitare dei costi e delle difficoltà organizzative per una società che invecchia.

Nessuno può dirsi al riparo, neppure i giovani. Ma nove casi su dieci potrebbero essere evitati affrontando alcuni fattori di rischio, come spiega l’associazione di volontariato che rappresenta le persone colpite da ictus cerebrale e le loro famiglie A.L.I.Ce. Italia, promotrice in Italia della Giornata mondiale World stroke day  il cui slogan è #PiuFortidellIctus (#GreaterThanSktroke) e molto attiva nella comunicazione e nella sensibilizzazione su questa emergenza neurologica nella convinzione che maggiore è l’informazione dei cittadini maggiore la loro capacità di far prevenzione e di far valere il diritto alla cura.

Cos’è un ictus cerebrale

L’ictus cerebrale è causato dell’improvvisa ostruzione (ictus ischemico) o rottura (icuts emorragico) di un vaso; il danno alle cellule cerebrali è dovuto rispettivamente all’ischemia, ovvero la mancanza dell’ossigeno e dei nutrimenti portati dal sangue, o alla compressione dovuta all’emorragia. In entrambi i casi, il tempo trascorso dall’evento al trattamento ha un ruolo decisivo sulla prognosi in termini di mortalità e di disabilità motorie e cognitive.

Evitabili 9 casi su 10

«Nel caso dell’ictus ischemico, i fattori di rischio modificabili più importanti sono l’ipertensione, il fumo, l’alcol, la fibrillazione atriale, l’obesità e la sedentarietà. Nel caso dell’ictus emorragico, sono nell’ordine l’ipertensione, il fumo, l’alcol e l’uso di sostanze» spiega Danilo Toni, ordinario di neurologia della Sapienza, direttore dell’Unità trattamento neurovascolare del Policlinico Umberto I di Roma e presidente del comitato tecnico-scientifico di A.L.I.Ce. Italia.

Sedentarietà, alimentazione e fumo

Nel mondo, ogni anno un milione di ictus sono attribuibili all’inattività fisica, muovendosi adeguatamente e regolarmente il rischio diminuisce notevolmente: 30 minuti di attività cinque giorni a settimana riducono il rischio del 25%. La probabilità di avere un ictus di chi fuma un pacchetto di sigarette al giorno è di sei volte quella di un non fumatore. Se siete fumatori, ricorda l’organizzazione mondiale, smettere regala una riduzione del rischio a voi ma anche a chi, pur non fumatore, vive con voi. La letteratura, inoltre, conferma il ruolo principe dell’alimentazione nella prevenzione primaria dell’ictus: serve una dieta bilanciata e prestare attenzione al consumo di carne rossa processata, cibi raffinati, zuccheri e grassi saturi, alcol e bevande zuccherate.

Attenzione all’ipertensione

Circa metà degli ictus è associato all’ipertensione arteriosa, killer silenzioso. «Livelli di pressione arteriosa sistolica costantemente sopra i 145-150 mmHg e della diastolica costantemente sopra i 90 mmHG o le due condizioni insieme possono non dare sintomi ma» spiega Toni «alla lunga danneggiano i vasi, compromettendo prima quelli più piccoli e poi, spesso in concomitanza con ipercolesterolemia, fumo e alcol, danneggiano le arterie carotidi e vertebrali».

I giovani non sono al riparo

Un recente appello è stato lanciato dai cardiologi italiani della Sic, preoccupati per i troppi  giovani ipertesi nel nostro Paese (il 14% degli under 35 ha già la pressione sopra a 120/80 mmHg, fino al 4% dei bimbi da 6 a 11 anni ha valori alterati). L’attenzione a questo aspetto e la necessità di essere rigorosi nel rispetto dei valori pressori è condivisa dai neurologi vascolari che attribuiscono anche a questa situazione i numerosi ictus giovanili che trattano. «Nella fascia di età tra i 18 e i 50 anni ogni anno si registrano, nel nostro Paese, circa 4.500 nuovi casi, quasi il doppio di quelli relativi alla sclerosi multipla, patologia neurologica che colpisce esclusivamente la fascia di età giovanile» spiega Toni. «Ciò è attribuibile anche a quel killer silenzioso perché asintomatico che è l’ipertensione, oltre alla diffusione di stili di vita errati tradizionali già detti, ma anche al consumo di droghe, che contribuiscono ad un aumento del rischio cardiovascolare». Nei giovani, inoltre, gli eventi sono più gravi, spesso di natura emorragica, gli esiti molto invalidanti, così come i danni per il singolo in termini di futuro personale e lavorativo e per la società. È importante far percepire chiaramente le dimensioni del rischio che si corre quando si parla di cattivi stili di vita e insegnare la prevenzione.

Le Stroke Unit e la riabilitazione

Non va infine dimenticato che, accanto alle problematiche acute, l’ictus ha conseguenze di medio e lungo periodo. «Il miglioramento dell’esito clinico, tanto nell’ischemico che nell’emorragico, è associato al riferimento del paziente a un centro   ad alta specializzazione» spiega Toni. Da un lato, c’è la realtà della disomogenea distribuzione delle unità neurovascolari (stroke unit) sul territorio italiano: solo il 22% si trova nel Sud Italia, con 45 strutture, mentre il Centro del Paese ne ospita il 26%. Al Nord, invece, si concentra il 52%, con ben 108 unità, come mostra una survey dell’Italian stroke association Isa-Aii su 208 centri del paese. Dall’altro c’è anche qui il problema dei posti letto. Eppure, in seguito all’intervento in acuto, solo un 20-30% di pazienti viene dimesso. Gli altri necessitano di una riabilitazione più o meno complessa a seconda dei casi: «Riusciamo a farci carico di un numero significativo di ictus ischemici, di molti meno emorragici, cui dovremmo dedicare più attenzione, per una tempestiva e appropriata presa in carico dal pronto soccorso, alla stroke unit, alla fase subacuta».

La vita dopo l’ictus

Il professor Toni interviene anche nel docu-film Affrontare le Sfide, La vita dopo l’Ictus (Rising to Challenge, Life After Stroke) promosso da Ipsen sull’importanza della riabilitazione post-ictus, dove si ricorda che il maggior onere economico e sociale è dovuto allo sviluppo delle complicazioni post-ictus, tra cui la spasticità che si presenta a pochi mesi dall’evento e, purtroppo, conferma il professore «spesso non viene diagnosticata e questo impedisce a molti pazienti di accedere alle cure necessarie».

La foto in apertura è di Isi Parente da Unsplash.


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