Idee Lettera aperta
Azzardo, caro ministro Abodi quale modello diamo ai nostri ragazzi?
I ragazzi crescono in una realtà in cui l’industria dell’azzardo si è insinuata in modo subdolo e pervasivo ed è difficile pretendere da loro la capacità di distinguere ciò che è giusto e ciò che sbagliato, quando le stesse istituzioni che li rappresentano hanno un rapporto ambiguo con il mondo delle scommesse

«Chi ha scommesso non può vestire la maglia della Nazionale». A dirlo poco più di un mese fa, quando emerse un nuovo filone sulle scommesse illegali da parte di alcuni calciatori, fu il ministro per lo Sport e i Giovani Andrea Abodi. Che aggiunse: «La maglia azzurra non può prescindere dal giusto comportamento morale perché non può essere solo espressione del valore tecnico. Non basta buttare la palla dentro. Se vieni meno a delle regole bisogna andare al di là della sanzione. Penso sia interessante che ci sia una parte di riabilitazione attraverso i servizi sociali. Questi ragazzi devono conoscere la vita un po’ meglio». Oggi che sul tema l’attenzione sui media è crollata, su VITA interviene lo psicologo Giuseppe Lorenzetti, esperto del rapporto fra giovani sportivi e azzardo.
Caro Ministro Abodi,
è vero che la maglia azzurra dovrebbe essere espressione di una postura morale oltre che di competenza tecnica. È vero che i calciatori, in virtù della loro immagine pubblica, diventano dei modelli per i giovani e andrebbero aiutati a divenire consapevoli della responsabilità che ricoprono. Ma quando afferma che i giovani atleti che sono stati coinvolti in giri di scommesse illegali andrebbero esclusi dalla Nazionale, non posso non considerare il contesto in cui viviamo. Lei parla giustamente di modelli: ma quali sono i modelli dei calciatori?
I ragazzi crescono in una realtà in cui l’industria dell’azzardo si è insinuata in modo subdolo e pervasivo ed è difficile pretendere da loro la capacità di distinguere ciò che è giusto e ciò che sbagliato, quando le stesse istituzioni che li rappresentano hanno un rapporto ambiguo con l’oggetto in questione. Lei che è un rappresentante politico del Paese si appella giustamente a un tema educativo, ma come possiamo chiedere ai giovani sportivi di rivestire un ruolo educativo se non sono stati a loro volta educati su una sfida così complessa? Come possiamo chiedere a dei ragazzi la maturità di gestire il loro impulso a scommettere in una società in cui lo Stato guadagna dalle scommesse persino su partite disputate da minorenni?
Io apprezzo il suo appello e lo trovo sincero, ma la verità è che non è credibile, non in queste condizioni. E so che non è facile cambiare le cose e che è più semplice criticare un sistema piuttosto che provare a trasformarlo, ma mi chiedo come sia potuto accadere? Come siamo arrivati a questo punto? Davvero abbiamo creduto che il mercato sarebbe stato capace di autoregolarsi e che multinazionali e fondi di investimento sempre più grandi e in guerra tra loro sarebbero stati capaci di perseguire principi etici nel loro operato? Che fine ha fatto lo Stato? Ci siamo davvero fatti ingannare da una frasetta così squallida come “there is no alternative” e siamo scesi a patti, sempre più bassi, per la paura di non farcela?
Il caso scommesse è uno degli svariati esempi di una società vittima di un cortocircuito educativo, in cui ciò che viene quotidianamente trasmesso non è coerente con i valori di civiltà e umanità che vengono insegnati: ci stupiamo della violenza tra i giovani, quando la maggior parte della musica e delle serie tv promosse dai media inneggiano alla violenza, ci stupiamo del crescente ritiro sociale e delle difficoltà relazionali degli adolescenti quando li abbiamo “armati” di strumenti tecnologici potentissimi – capaci di alienarli dalla realtà – senza alcun limite e alcuna preparazione, ci stupiamo della crescita delle dipendenze quando gli spacciatori girano indisturbati per i centri urbani e quando viene continuamente divulgata una retorica fortemente relativista sui danni delle droghe.

Lei sostiene che è sconcertante il fatto che, nonostante i vari scandali già emersi, questi ragazzi, pur nella loro agiatezza economica, continuino a cadere nella tentazione della scommessa, rischiando di compromettere la loro carriera. E invece io dico – seppure con tristezza – che è perfettamente comprensibile e anzi che è un grande insegnamento e una grande opportunità per coloro che si occupano di educazione. Infatti i calciatori professionisti che scommettono non sono altro che la punta estrema di un iceberg, che ci fa intuire quanto è profondo il problema della ludopatia e più in generale del disagio giovanile, e ci invita con urgenza a prendere una posizione in merito e a rivedere i rapporti tra Stato e mercato, mettendo al centro la crescita e la salute delle future generazioni.
Ci domandiamo veramente perché questi ragazzi scommettono? Perché hanno un bisogno così estremo di questa scarica adrenalinica? Qual è il vuoto, qual è la mancanza che non riescono a colmare, a cui non riescono a dare un senso?
Foto La Presse: il ministro Andrea Abodi alla tappa del Giro d’Italia Pompei-Napoli
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