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Filantropia

Cari erogatori: il bando può essere una freccia avvelenata

Occorre codificare un nuovo modello di relazione tra soggetti della società civile ed attori della filantropia. Ciò non vuol dire spogliarsi completamente di meccanismi in grado di garantire trasparenza nella selezione, ma ci sono alternative al tradizionale bando

di Federico Mento

C’è un insegnamento buddhista nel Sallatha Sutta, noto come Sutra della freccia, il quale afferma che se si è colpiti da una freccia, si sperimenta dolore nella zona colpita. Se successivamente arriva una seconda freccia che colpisce lo stesso punto, il dolore non sarà semplicemente raddoppiato, ma almeno dieci volte più intenso. Le avversità nella vita, come un rifiuto, una perdita, un insuccesso, sono paragonabili alla prima freccia, causando un certo livello di dolore. La seconda freccia, invece, è la nostra reazione, la narrazione di sfiducia che costruiamo sull’errore fatto, l’ansia, tutti elementi che amplificano la sofferenza. Spesso, l’angoscia che proiettiamo e introiettiamo è il risultato dell’azione silenziosa della seconda freccia.

Negli ultimi anni, si è molto discusso sui modelli filantropici e sul contesto italiano, penso ai preziosi contributi di Carola Carazzone, Tiziano Blasi, Christian Elevati, Carlo Borgomeo, Andrea Silvestri e tanti altri che hanno evidenziato la necessità di un radicale passaggio di paradigma, che potremmo riassumere nella transizione dalle filantropia del controllo a quella della fiducia.

Negli ultimi anni si è molto discusso sui modelli filantropici del contesto italiano, evidenziando la necessità di un radicale cambio di paradigma: dal metodo del “controllo” a quello della “fiducia”

Per tornare al sutra della freccia, è plausibile immaginare, in un esercizio di empatia, che alcuni donatori abbiano avuto delle esperienze non positive con un numero esiguo di grantees. Progetti implementati con superficialità, bassa efficienza, mancanza di trasparenza nella relazione, scarsa accountability, e soprattutto pochissimo impatto generato. Questa è la prima freccia: l’errore, la selezione non accurata, la fiducia che è venuta meno. Da questo primo doloroso vulnus, parte la seconda freccia: la paura di sbagliare ancora, di trovare nuovamente un grantee inaffidabile, di disperdere preziose risorse in progetti che non generano impatto.

Provando a camminare nelle scarpe del donatore, la ricerca di processi stringenti, il bando di cui tanto discutiamo, al quale associare poi accurati meccanismi di controllo, potrebbe rappresentare una soluzione – a mio avviso fugace e solo parzialmente efficace – per evitare/limitare l’intenso dolore provocato dalla seconda freccia. Le procedure, dunque, come antidoto all’errore di selezione di un cattivo progetto.

Eppure, il bando rappresenta una sottile corazza a difesa della seconda freccia, poiché non elimina affatto i rischi insiti nel processo di selezione di un progetto. Sappiamo che a una buona scrittura di progetto non sempre corrisponde un elevato livello di implementazione e raggiungimento degli obiettivi. Ancor di più, in un contesto nel quale l’intelligenza artificiale avrà un crescente ruolo nella stesura di una proposta.

Qui c’è una prima grande sfida: codificare un nuovo modello di relazione tra soggetti della società civile ed attori della filantropia. Ciò non vuol dire spogliarsi completamente di meccanismi in grado di garantire trasparenza nella selezione. Ad esempio, al fine di assicurare trasparenza nella scelta delle organizzazioni, i donatori potrebbero adottare un sistema di accreditamento che valuti la governance, le competenze organizzative e gestionali, nonché le competenze specifiche legate agli ambiti di bisogno che il finanziatore intende affrontare. Un approccio simile potrebbe determinare diversi vantaggi:

  • Un maggiore allineamento tra la missione delle organizzazioni e gli obiettivi d’impatto del finanziatore;
  • Una riduzione del carico amministrativo legato alle richieste di finanziamento, con conseguente maggiore attenzione ai risultati;
  • Minori spese per la progettazione per le organizzazioni e semplificazione nella selezione delle proposte progettuali da parte dei finanziatori.

E magari il sistema di accreditamento potrebbe essere collegato ad un elemento fondamentale del grant, ovvero i livelli di riconoscimento dei costi indiretti, che non sono oggetto di rendicontazione. Su questo tema, con Tiziano Blasi qualche tempo fa abbiamo avanzato la proposta di incrementare la percentuale di costi indiretti alle organizzazioni virtuose, quasi fosse un’extra remunerazione basata sulla fiducia.

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Al di là delle soluzioni metodologiche, più o meno raffinate, il passaggio cruciale è di natura culturale. Essere consapevoli che l’errore nella selezione è uno dei rischi che l’azione filantropica si troverà sempre ad affrontare, e che la soluzione non risiede nella sofisticazione delle barriere di accesso e nella complessità dei controlli, bensì nella conoscenza e nella fiducia. Usare il proprio tempo non per leggere centinaia di proposal, un recente post di Stefano Oltolini su questo tema ha generato moltissimi commenti, ma per conoscere davvero le organizzazioni, ciò che effettivamente le nuove, i modelli di leadership, i punti di forza e quelli di debolezza. Avere il tempo per mettersi reciprocamente alla prova e capire se c’è quell’allineamento di intenti che costituisce la malta per costruire una partnership durata, priva di asimmetrie di potere e davvero imperniata nella fiducia. Solo così potremmo davvero limitare l’effetto della seconda freccia.

Foto: Rdne Stock project/Pexels


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