Idee Editoriale
Cittadinanza senza cittadini: è questo quello che vogliamo?
Maggioranza e opposizione fanno a gara per intestarsi la vittoria al referendum. La realtà è che dalla urne è arrivato l’ennesimo segnale dell’inverno democratico in cui siamo immersi. Come uscirne? Premiando chi partecipa: servizio civile, volontariato, associazionismo e cooperazione, economia sociale

Nessuno dei cinque referendum abrogativi su lavoro e cittadinanza ha raggiunto il quorum. L’affluenza definitiva si è fermata al 30,6%, ben lontana dalla soglia del 50%+1 degli aventi diritto necessaria per rendere valido il voto. Come segnala Youtrend con questa tornata si arriva a 10 referendum abrogativi su 19 nella storia repubblicana in cui non si è raggiunto il quorum. L’ultima volta in cui fu superato era il 2011, quando si votò su acqua pubblica, nucleare e legittimo impedimento. Il trend discendente dell’affluenza ai referendum abrogativi prosegue dunque senza interruzioni.
Qui l’analisi dell’istituto Cattaneo: «i referendum del 2025 hanno registrato un tasso di partecipazione (30,6% degli aventi diritto residenti in Italia; 29,9 se si considera anche il voto estero) sostanzialmente in linea con gli altri tenuti dal 2000 ad oggi: in media, tra i residenti in Italia, la partecipazione era stata pari al 34,7% se si include il referendum del 2011, del 27,3% se lo si esclude».
Quando il cittadino è passivo è la democrazia che s’ammala”
Alexis de Tocqueville
Venendo al risultato deludente del Sì sulla cittadinanza, sempre secondo l’istituto Cattaneo «è frutto di vari fattori. La quota relativamente piccola di elettori dell’area liberal-riformista che ha partecipato al voto, si è schierata nettamente per il No sul primo quesito (lavoro), per il Sì sul quinto. Al contrario, gli elettori Cinque Stelle massicciamente per il Sì sul primo quesito, si sono divisi sulla cittadinanza: nel complesso, ma soprattutto al Nord, sembrano andati in netta prevalenza sul No. Così come ha fatto tra il 15 e il 20% degli elettori Pd delle Europee. Questo è avvenuto nelle grandi città, dove il fenomeno del disallineamento tra le indicazioni del partito e il voto dei suoi elettori è stato più contenuto».
La tirannia di un principe in un’oligarchia non è pericolosa per il bene pubblico quanto l’apatia del cittadino in una democrazia
Montesquieu
Della reazione dei media di fronte a questa ennesima manifestazione dell’inverno democratico (a cui fa da sfondo quello demografico) in cui siamo immersi ha ragionato qui Alessandro Banfi.
D’altro canto sono altrettanto sconcertanti le reazioni dei e delle leader politici, ognuno a tirare per la giacchetta i risultati referendari. A partire dalla segretaria del Partito democratico Elly Schlein che sostiene che «14 milioni di elettori hanno detto no a questo governo». E il centrodestra di maggioranza che esulta per «la mancata spallata al Governo». Parole al vento da una parte e dall’altra.
Ancora una volta. In un Paese dove ormai si presentano alle elezioni, europee, politiche o amministrative che siano meno di 50 cittadini su cento. Che diventa 30 se non meno ai referendum, la questione da porsi è perché tanti cittadini ex lege, rinuncino in modo crescente, ad esserlo nella sostanza. Ovvero prendendo parte alla democrazia del loro Paese e delle loro comunità. Insieme al perché bisognerebbe poi chiedersi come recuperarli a una dimensione partecipativa attiva. Altrimenti il rischio è quello di passare da una democrazia di forma a un’oligarchia de facto.
Occorre mettere a punto un vero e proprio piano per la partecipazione e la democrazia. Il paradosso è che non sarebbe niente di straordinario: gli strumenti ci sono già tutti. Nell’ultima tornata sono stati oltre 135mila le domande di adesione al servizio civile dei ragazzi e delle ragazze fra i 18 e i 28 anni. Domande di partecipazione civile. Il 55% delle quali sarà rigettata per mancanza di fondi. Un Governo che si impegni a dire di sì a tutti loro, nella logica di un autentico, servizio civile universale avrebbe effetti immediati sui livelli di impegno e di partecipazione di tanti giovani cittadini elettori.
La certificazione delle competenze di milioni di volontari e un’azione di comunicazione e sostegno robusto alle organizzazioni di volontariato sarebbe un altro tassello in questa direzione. Così come il mantenimento della promessa a togliere l’Iva alle associazioni di promozione sociale e al Terzo settore di cui da mesi il Governo e le opposizioni non parlano più.
Non meno varrebbe, in termini di sostegno a una cittadinanza attiva, un impegno politico (di maggioranza e opposizione) per valorizzare chi in questo Paese lavora nel sociale. Centinaia di migliaia di persone, cittadini di questa Nazione, impegnati in professioni di cura e prossimità ormai in larga misura assorbiti nel perimetro sempre più largo del lavoro povero. Con grave danno allo spirito altruistico e civico di chi decide di impegnare la propria vita lavorativa a favore degli altri, molto spesso in una logica ideale e non lucrativa.
Se non vogliamo che la cittadinanza rimanga una scatola vuota, apatica, passiva senza cittadini, occorre riaccendere la fiamma della partecipazione. È in gioco la democrazie e la qualità della vita di tutti noi. Questo ci hanno detto i referendum. Il resto è in grande parte fumo negli occhi.
Foto: Alexis de Tocqueville
Vuoi accedere all'archivio di VITA?
Con un abbonamento annuale potrai sfogliare più di 50 numeri del nostro magazine, da gennaio 2020 ad oggi: ogni numero una storia sempre attuale. Oltre a tutti i contenuti extra come le newsletter tematiche, i podcast, le infografiche e gli approfondimenti.