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Disoccupati lunga durata: perché l’Italia non trova il bandolo della matassa

Per il 2022 Eurostat stima il dato italiano al 57,3%, Spagna 39%, Germania 33%, Francia 27,4%. La domanda che dovremmo farci è allora chi sono i disoccupati di lunga durata e perché non riusciamo a recuperare uno stock che sembra solido e difficilmente scalfibile. Qualche risposta e qualche ipotesi di soluzione

di Simone Cerlini

Nella seconda metà di giugno 2023 Eurostat ha pubblicato i dati sulla durata della disoccupazione in Europa, che hanno fatto molto discutere gli addetti ai lavori. Il punto chiave è l’aumento del tasso di disoccupati di lunga durata sul totale dei disoccupati. L’incidenza è significativamente più alta in Italia che nei maggiori Paesi europei. Per il 2022 Eurostat stima il dato italiano al 57,3%, Spagna 39%, Germania 33%, Francia 27,4%. L’andamento trova il suo minimo nell’anno pandemico per poi tornare a crescere negli anni successivi e stabilizzarsi ovunque tranne che in Italia.

Ora, è perfettamente inutile stracciarsi le vesti per un dato prevedibile. Che il tasso di disoccupati di lunga durata sul totale aumenti è fisiologico nei momenti di crescita occupazionale, quale quello straordinario che stiamo vivendo con il nuovo boom post pandemia. Se la disoccupazione totale diminuisce, i primi a beneficiarne sono le persone in transizione breve. Coloro che sono distanti dal mercato del lavoro da più tempo segnano il passo. La domanda che dovremmo farci è allora chi sono i disoccupati di lunga durata in Italia e perché non riusciamo a recuperare uno stock che sembra solido e difficilmente scalfibile. Sempre Eurostat ci ricorda che la schiacciante maggioranza di chi è senza lavoro da 12 mesi è disoccupato addirittura almeno da 24 e dunque sono probabilmente percettori di sostegno al reddito.

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Quando parliamo di mismatch, e cerchiamo soluzioni nei percorsi di aggiornamento e riqualificazione, ci rivolgiamo a quella parte dei disoccupati mobili, per accelerare il più possibile i tempi di transizione tra disoccupazione e lavoro, ma dimentichiamo invece il problema che sta alla radice del sistema: l’universo di coloro che non hanno le precondizioni per entrare in azienda, che hanno gettato la spugna o che nessuno vuole, per cui le strategie verso le persone dovrebbero essere invece azioni profonde di riattivazione, empowerment, inclusione. Il legislatore ha pensato di affrontare il problema con incentivi all’assunzione. Sarebbero auspicabili inoltre sistemi per la cumulabilità dello stipendio (in percentuali decrescenti) rispetto al sostegno al reddito. Evidentemente non basta.

Ci sono due strade che è urgente indagare per trovare le risposte: il social procurement, cioè la possibilità di inserire criteri sociali negli acquisti della Pubblica Amministrazione e la cooperazione sociale di inserimento lavorativo.

— Simone Cerlini

Ci sono due strade che è urgente indagare per trovare le risposte: il social procurement, cioè la possibilità di inserire criteri sociali negli acquisti della Pubblica Amministrazione e la cooperazione sociale di inserimento lavorativo. La disciplina dei contratti pubblici è stata recentemente oggetto di numerosi interventi legislativi. L’art. 47 del D.L. 77/2021 determina l’integrazione di valori sociali, quali le pari opportunità e l’inclusione lavorativa, quando gli acquisti sono finanziati attraverso i fondi del PNRR e del PNC. Al comma 5 si stabilisce che la stazione appaltante ha la facoltà di assegnare un punteggio aggiuntivo quando l’offerente si impegna ad assumere, oltre alla soglia minima percentuale prevista come requisito di partecipazione, persone disabili, giovani e donne per l’esecuzione del contratto o per la realizzazione di attività ad esso connesse o strumentali. Basterebbe aggiungere “disoccupati di lunga durata” e sperare che le amministrazioni si accorgano del potenziale incorporato da questa opportunità. Parimenti l’art. 4 della legge 381/1991 dettaglia le categorie che appartengono alle persone svantaggiate per essere conteggiate nel computo del 30% nelle cooperative sociali di inserimento lavorativo (di cui alla lettera b dell’art.1 comma 1). L’impatto di tali provvedimenti è tutto da dimostrare, ma orientare gli acquisti della pubblica amministrazione attraverso requisiti sociali e promuovere negli appalti il sistema della cooperazione sociale così riformata sono azioni che conviene sperimentare. 

Foto di Joanna Kosinska su Unsplash


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