Idee Maturità 2025
Il silenzio dei maturandi, fra protesta debole e giudizio facile
La scelta di alcuni ragazzi di fare "scena muta" all'orale di maturità non parla solo di una scuola troppo centrata sulla performance e di una valutazione da rivedere. Mette a tema anche la questione del dissenso, della protesta e dell'esercizio del potere
di Ivo Lizzola

Per una decina di giorni la scuola ha mosso al confronto e al dibattito, qualche volta alla riflessione, per le scelte e le parole di alcune studentesse e di alcuni studenti che, in modi diversi, hanno “protestato” o “evitato”, o “non collaborato” in occasione dell’esame di maturità. Hanno rappresentato una sorpresa, certo, al punto da creare difficoltà a scegliere le parole adatte a definire il senso della loro parola e dei loro gesti. Evidenti, ma non privi di ambivalenze.
Chi lavora in campo educativo, chi ha a che fare con vite giovani, nel caso specifico appena oltre la soglia della maggior età, dovrebbe comunque chiedersi: di cosa mi parlano? cosa mi stanno dicendo (al di là delle loro intenzioni)? come incontrare la loro critica? Senza accondiscendenze facili, ma anche senza risposte liquidatorie. Per rispettarli e per prenderli sul serio, e non fare loro mancare il confronto con una “differenza adulta”.
Sono almeno quattro le questioni sollevate da questi giovani uomini e donne (non sono ragazzi, sono giovani adulti). La prima denuncia un’esperienza scolastica caratterizzata dalla performance e dalla competizione, dalla selezione gerarchizzante e dal predominante orientamento al risultato. La seconda è una critica al sistema di valutazione. La terza questione, molto delicata, tocca il valore dell’incontro tra adulti ed adolescenti nella scuola. La quarta è quella del rispetto, come cura seria (il contrario di umiliazione), come riconoscimento e sincerità.
Sono almeno quattro le questioni sollevate da questi giovani uomini e donne: non sono ragazzi, sono giovani adulti. La performance, la valutazione, l’incontro tra adulti e adolescenti, il rispetto. Più il tema del dissenso
Ma questi “casi” muovono riflessioni su altri due temi, almeno per chi come me appartiene a una generazione che ha avuto come fratelli maggiori Paulo Freire, Danilo Dolci, don Lorenzo Milani, e Luciano Corradini, Lucio Lombardo Radice, Alex Langer e Václav Havel… E a cui i primi obiettori di coscienza, andando in carcere, aprirono la possibilità di un impegnativo e lungo servizio civile. Si tratta dei temi del dissenso e delle sue forme, della protesta e della sua condivisone. […]
L’esperienza della valutazione e l’esercizio del potere
L’esperienza della valutazione pare essere stata maturata male e in modo parziale dalle studentesse e dagli studenti che hanno mostrato critica e protesta contro i “meccanismi” di valutazione previsti per l’esame di maturità. È certo riduttivo ridurre la questione al cambiamento dei meccanismi dei crediti e dei punteggi, come mi pare inadeguata e reattiva la “risposta” alla protesta con la certezza della bocciatura: quasi un evitamento, un po’ superficiale.
La valutazione fatica ad essere esperienza significativa nei percorsi scolastici. Esperienza, e non esercizio di potere e di arbitrio. Dentro una relazione attenta ed esigente, formativa, perché orientativa grazie alla “veglia” (che è anche correzione ed indicazione) di chi è riconosciuto come autorevole e credibile. Mentre un adolescente vive e partecipa alla valutazione del suo percorso, disegna e assume le sue responsabilità. Ma all’interno dell’esperienza educativa scolastica la valutazione si colloca spesso come un totem. Attorno ad esso si sviluppa una danza, a volte frenetica e un po’ ossessiva, alla ricerca di dispositivi affidabili, ai quali si chiede davvero molto: di evidenziare il “prodotto” e l’utilità dell’attività scolastica, il senso dell’esercizio professionale dei docenti, oltre che di indicare le prestazioni attese dagli studenti. A volte viene da pensare che dietro una certa “ansia di valutazione” che prende molti insegnanti si celi la fatica nell’assumere e fronteggiare delicate e importanti questioni critiche che attraversano in questi anni l’esperienza scolastica.
Dietro una certa “ansia di valutazione” che prende molti insegnanti si celi la fatica nell’assumere e fronteggiare delicate e importanti questioni critiche che attraversano oggi l’esperienza scolastica
La prima questione è rappresentata dalle nuove allieve e dai nuovi allievi che entrano nella scuola italiana: questi giungono da diversificate e inedite storie familiari, cognitive, emotive (sia che i loro genitori siano nati in un lontano altrove sia che le loro famiglie abbiano forti radici locali). Storie che chiedono di valutare bene come cogliere, conoscere e far evolvere le conoscenze, le forme del pensiero, i paesaggi interiori, le strutture psicologiche e del sentire di studenti e studentesse nell’incontro con l’esperienza scolastica. È un problema di valutazione e riguarda la scuola, gli insegnanti. Loro devono sviluppare una buona valutazione di quanto portano a scuola gli allievi e le allieve.
La seconda questione critica riguarda il rapporto tra l’esperienza scolastica e le diverse esperienze che ragazze e ragazzi vivono nel tempo non scolastico: esperienze spesso decisive sul piano formativo, in cui si sviluppano conoscenze, competenze, e abilità, si riutilizzano linguaggi e strumenti, si aprono integrazioni ed incontri. L’esperienza scolastica un tempo era centrale e quasi esclusiva nella trasmissione culturale, oggi deve ri-disegnare il suo senso e la sua specificità in relazione ad altre esperienze formative e di crescita. Una ricerca recente dell’Università Cattolica mostrava che più del 35% degli adolescenti lombardi fosse impegnato come caregiver per almeno 10 ore la settimana. Come pure è certamente intensa l’esperienza sui social e nelle “piazze virtuali”. Solo lo spazio scolastico, per moltissimi adolescenti, può proporre una occasione formativa di critica e ricomposizione (e di sistematizzazione) dei vari vissuti; un luogo di rilettura e ridescrizione (anche delle direzioni di senso e valore) di storie e apporti formativi; l’occasione di correzione e di integrazione di conoscenze e abilità; una possibilità di incontro e di confronto tra diversità; infine una proposta di elaborazione non superficiale e condivisa di linee di ricerca, di domande, di prospettive.

La terza questione critica che appare sullo sfondo dell’ansia valutativa ha a che fare con gli insegnanti, il loro ruolo, il loro lavoro. Nella valutazione gli insegnanti esprimono il loro modo di interpretare la loro attività professionale. La pedagogia ha messo a fuoco, progressivamente, tre forme di valutazione, con il loro bagaglio di dispositivi: la valutazione come attività di misurazione, in riferimento a “standard”; la valutazione come attività di messa a fuoco di stili cognitivi e di prestazioni; la valutazione come attività di scoperta di potenziali espressivi, cognitivi e creativi degli allievi e degli studenti. È indubbio che la tradizione didattica, l’interpretazione dell’esercizio professionale di molti docenti, la centratura sulla disciplina della relazione educativa e delle strategie didattiche, e la “funzione totem” della valutazione riducono spesso la valutazione ad attività di misurazione (e di giudizio di adeguatezza/inadeguatezza, successo/insuccesso nelle prestazioni degli studenti). Su questo piano valutare è esercizio di potere, ma è anche sguardo parziale.
Dissenso e protesta
Due note conclusive su dissenso, obiezione e protesta. Il dissenso e l’espressione di spirito critico verso molti aspetti e modi del fare scuola (del suo “funzionare”, verrebbe da dire) sono forti soprattutto quando riescono a mostrare che “c’è dell’altro” (per dirla con Kristeva), che ci può essere, lo si può provare. Anche se mostrarlo chiede di lavorare molto, di studiare di più: perché esperienze e progetti condivisi in cui la scuola si fa ricerca, o confronto esigente tra generazioni e con il proprio tempo… chiedono molto.
Una protesta che si ritrova “protetta” dai funzionamenti dello stesso sistema che vuol cambiare, o mettere in discussione, è più debole
Ci sono sospensioni delle lezioni o conquiste dell’uso di spazi scolastici pomeridiani che hanno avuto questi caratteri. E ci sono anche alcune esperienze di cogestione nelle quali confluiscono percorsi di studio e preparazione molto impegnativi di studenti “grandi” che si offriranno ai più giovani. Ci sono esperienze di alternanza e tirocinio, o sevizio civile nei quali ci si confronta criticamente con culture organizzative e dei servizi, e per questo si studia e si ricerca al di là del disciplinare, e con altri adulti ed esperti. Quando in un istituto tecnico di frontiera si è realizzato un percorso di learning service in una scuola dell’infanzia, e giovani idraulici hanno sistemato gli impianti e accompagnato i bambini e le bambine nell’educazione all’uso dell’acqua e dell’igiene, il salto di qualità e di impegno nello studio, nell’uso della lingua e nella valutazione delle proprie competenze è stato netto. Ma per ottenere di fare questa esperienza c’è stato bisogno di un conflitto con una parte del collegio, per fortuna ben gestito dalle funzioni di responsabilità.
Circa la protesta, direi che vale quando se ne paga un prezzo che la rende credibile e non “facile” o pura dichiarazione. L’obiezione di coscienza è qualcosa di molto serio e sofferto: per avere capacità di scuotere coscienze e vecchie certezze deve subire e soffrire le conseguenze previste dalle normative e dai funzionamenti delle logiche che si vorrebbero cambiare. Una protesta che si ritrova “protetta” dai funzionamenti dello stesso sistema che vuol cambiare, o mettere in discussione è più debole.
È giusto che ci siano spazi ed espressioni di esperienze critiche e che si esprimano dissensi e dibattiti. Meglio sarebbe fossero segnati dalla coraggiosa proposta di forme alternative, da prese di responsabilità
La critica e la protesta però non possono mai lasciare spazio al disprezzo, almeno in una convivenza democratica, dove anche il conflitto ha luoghi e modi per poter essere generativo. La scuola, l’istruzione, sono importantissime esperienze, messe a disposizione di tutti i minori che crescono, delle vite giovani. Sono una conquista preziosa, un dono ricevuto. Di questo siamo responsabili: anche dei limiti e dei cattivi funzionamenti. E per questo è giusto che ci siano spazi ed espressioni di esperienze critiche e che si esprimano dissensi e dibattiti. Meglio sarebbe fossero segnati dalla coraggiosa proposta di forme alternative, da prese di responsabilità. Magari da ironia. La scuola non va disprezzata: in moltissime realtà, la maggior parte, ospita esperienze di crescita, di pensiero, di responsabilità, anche di riscatto, di dedizione, di relazione che sono liberanti: anzi, che sono “pratiche di libertà”, di legame tra diversità, di giustizia.
Ivo Lizzola, pedagogista, già ordinario di pedagogia all’Università di Bergamo. Foto di Daiano Cristini/Sintesi
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