Idee Il Piano strategico nazionale

La favola del declino irreversibile delle aree interne

È nelle aree interne che si stanno collaudando forme innovative di abitare, educare, prendersi cura. Ma chi disegna le strategie sembra ancora legato a un’idea superata di “interno” come perimetro amministrativo da salvare con politiche forse toroppo burocratiche, più che come sistema vivo di relazioni, scambi, riconoscimenti. L'intervento del direttore di Aiccon

di Paolo Venturi

Nel giro di pochi giorni, due articoli apparsi su quotidiani nazionali sembrano raccontare due Italie inconciliabili. Da un lato, l’analisi di Alfonso Scarano sul Fatto Quotidiano, che denuncia la svolta nichilista del nuovo Piano Strategico Nazionale per le Aree Interne (Psnai): un documento che, senza giri di parole, certifica l’“irreversibilità” del declino di vasti territori italiani, rinunciando a invertirne la traiettoria. Dall’altro, un’inchiesta del Sole 24 Ore che mostra come proprio nei borghi e nei piccoli comuni – cioè nei cuori pulsanti delle aree interne – si registrino i risultati migliori nell’attuazione del Pnrr, con progetti concreti già in corso e fondi ben spesi.

Due narrazioni opposte. Ma davvero inconciliabili?

Forse no. Forse queste due fotografie dicono la stessa cosa, solo da angolature diverse: le aree interne pur nella loro strutturale debolezza non stanno morendo perché sono marginali. Stanno rischiando di morire nonostante siano vive, creative, generative. Il problema non è il territorio. È la strategia.
Il nuovo Psnai abbandona ogni ambizione trasformativa e si limita a “gestire la decadenza”, codificando di fatto una politica eutanasica verso territori che la statistica considera perdenti. Eppure è proprio in questi territori che, contro ogni aspettativa, stanno germogliando esperienze di rigenerazione, di nuova imprenditorialità, di welfare e cultura. Progettualità che ricostruiscono sui fallimenti di Stato-Mercato infrastrutturano progetti di sviluppo faticosi ma desiderati. È nelle aree interne che si stanno collaudando forme innovative di abitare, educare, prendersi cura. Ma chi disegna le strategie sembra ancora legato a un’idea superata di “interno” come perimetro amministrativo da salvare con politiche forse toroppo burocratiche, più che come sistema vivo di relazioni, scambi, riconoscimenti.

Politiche di coesione, qui sta il nodo

Le politiche di coesione, lungimiranti nel design, sono state spesso tecnocratice nell’attuazione, troppo “blindate” rispetto a risorse latenti e poco incoraggianti verso la responsabilità delle comunità e delle imprese. Così si è finito per trattare questi luoghi come spazi da sostenere “per non farli morire”, più che come ecosistemi da cui partire per innovare.

Serve allora una svolta. Non per distribuire sussidi, ma per investire sul potenziale. Perché rigenerare significa sì portare scuola, sanità e mobilità, ma anche sostenere cultura, lavoro, legami sociali. Le risorse pubbliche devono andare dove si costruiscono beni comuni, non solo dove si tenta di rianimare funzioni perdute. La rigenerazione non può più essere la somma di tanti micro-progetti dispersi: occorre un’alleanza tra istituzioni, cittadini e imprese che si riconoscono nel destino del luogo.

Nel piano del Governo nessuno si aspettava una formula magica per salvare tutti. Ma neppure ci si attendeva un disarmo strategico che premia i centri affollati e dimentica chi, nei margini, sta tentando la risalita. Come se la meritocrazia valesse solo per chi si popola, e non anche per chi resiste allo spopolamento, magari a caro prezzo.
Eppure, come ci ricorda Vaclav Havel, la speranza non è credere che andrà tutto bene: è agire perché abbia senso farlo. È questa la posta in gioco. Restituire speranza a chi investe nei luoghi fragili è forse il modo più autentico di dare speranza a un’intera generazione, che in quella fragilità intravede una possibilità di felicità, di senso, di futuro.
Perché ciò che oggi sembra periferico, domani sarà centrale. A patto di volerlo vedere.

Foto Archivio VITA: La comunità di Ostana, in valle Po (Cuneo)

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