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La lezione di Barbie: il pubblico è parte dello spettacolo

Dai grandi concerti pop ai festival disseminati sul territorio, dalle mostre evento fino alle performance artistiche di nicchia, tutta la produzione culturale sembra caratterizzata da una presenza piena, non solo in senso quantitativo, di pubblico. Tanto che alle volte l’esserci del pubblico sembra eccedere rispetto al contenuto dell’attività proposta

di Flaviano Zandonai

Questa estate così travagliata ha segnato un vero e proprio “ritorno sulla scena” del pubblico. Dai grandi concerti pop ai festival disseminati sul territorio, dalle mostre evento fino alle performance artistiche di nicchia, tutta la produzione culturale sembra caratterizzata da una presenza piena, non solo in senso quantitativo, di pubblico. Tanto che alle volte l’esserci del pubblico sembra eccedere rispetto al contenuto dell’attività proposta. Forse è l’effetto del post pandemia che ha finalmente liberato un’energia partecipativa repressa, prima per imposizione e poi come ripiegamento personale. Ma forse è anche l’effetto di una migliore capacità di organizzare e, nei casi più avanzati, di costruire il pubblico da parte degli addetti ai lavori. Lo si nota guardando alla dimensione gestionale – logistica, sicurezza, servizi di supporto – ed esperienziale – incontro con gli artisti a margine dello spettacolo e scelta di location inconsuete – oltre che, non da ultimo, al coinvolgimento attivo del pubblico nella costruzione degli eventi e dei palinsesti. Il tutto, va detto, anche con l’intento di giustificare il prezzo, spesso salato, del biglietto.

Ma forse c’è anche altro, ovvero una maturazione delle persone nel saper essere e saper fare il pubblico, sfruttando le potenzialità connesse a una presenza onlife che ormai è un dato di fatto antropologico. Lo si nota sia in termini di qualità produttiva – ad esempio editare e postare contenuti sui propri profili social che vengono poi utilizzati per promuovere e arricchire live gli eventi – sia in termini di aggregazione sociale, organizzando e gestendo community che generano inedite presenze collettive agli eventi, con tanto di meccanismi di autoregolazione come nel caso delle fan di Herry Styles per la gestione della fila.

Quel che cambia quindi non è solo l’offerta ma anche lo “starci dentro” di un pubblico sempre più in grado di costruire modalità di fruizione dove la performance in sé è solo uno degli elementi che determina il valore. Queste capacità sono ormai così mature che i produttori culturali tradizionali sono già all’opera per massimizzare il valore generato dalla fruizione del pubblico. Non si tratta di mettere mano ai format, ma piuttosto di riproporli in modo seriale e ubiquo arricchendoli di tool partecipativi: mostre immersive, concerti reunion, festival territoriali hanno già ben compreso l’antifona e il pubblico, va detto, si presta ben volentieri.


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Ben diversa è invece la sfida per quegli operatori che riconoscono l’innovazione come fatto innanzitutto culturale. In questo caso non si tratta più solo di aprire i propri processi di produzione, ma anche di saper partecipare la fruizione. Un passaggio non da poco conto che richiede, tra l’altro, di assumere una nuova postura rispetto alle elaborazioni, a volte ambivalenti, di pubblici che fruiscono secondo modalità sempre più autonome.

Due esempi, praticamente agli antipodi rispetto al tipo di prodotto e soprattutto al modello di produzione, ci restituiscono la rilevanza del focus sul pubblico. Il primo è il film Barbie che ha costruito il suo successo guardando molto al dibattito riguardante i macro temi sottostanti più che il prodotto cinematografico in senso stretto. Il secondo è il festival Lagolandia pioniere dell’innovazione a base culturale nelle aree interne dell’appennino bolognese che ascoltando anche il suo circoscritto e affezionatissimo pubblico ha avuto il coraggio di dirsi che, dopo dieci anni, questa del 2023 sarebbe stata la sua ultima edizione.

Foto LaPresse


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