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Il peso delle parole

La pesantezza della comunicazione del non profit

Si propongono storie emozionanti, che commuovono, scaldano il cuore, ma non sempre sono in grado di provocare un cambio di passo, o accendere una curiosità autentica sul tema che vorrebbero illuminare. Come invertire la rotta? Il mito di Perseo riletto da Calvino, ci può dire qualcosa di molto utile

di Maria Laura Conte

“Parole di burro” canta Carmen Consoli, e la metafora spiazza lì per lì, ma funziona: di burro sono quelle parole che si sciolgono una volta pronunciate, svaniscono perché hanno una consistenza sentimentale: passano insieme all’onda emotiva che si trascinano dietro. Nell’immediato sono d’effetto, ma appena l’eccitazione cala, svaniscono e non lasciano traccia. Solo noia.

Accade spesso alla comunicazione di ong e Terzo settore: si propongono storie emozionanti, che commuovono, scaldano il cuore, ma non sempre sono in grado di provocare un cambio di passo, o accendere una curiosità autentica sul tema che vorrebbero illuminare. Capita quando giocano con il sentimentalismo combinato a slanci di moralismo: se ti emozioni – sottintendono certi messaggi di campagne social – sei ancora dalla parte dei buoni; se doni – ti suggeriscono – o se partecipi a una buona causa, almeno nelle intenzioni, sei una persona rispettabile. Insomma ti esortano: fa’ il tuo dovere. 

si propongono storie emozionanti, che commuovono, scaldano il cuore, ma non sempre sono in grado di provocare un cambio di passo, o accendere una curiosità autentica sul tema che vorrebbero illuminare

Ma così la comunicazione ne esce pedante: come se per aderire alla drammaticità dei temi che tratta, delle vulnerabilità delle persone per cui lavora, non riuscisse ad evitare di essere ripetitiva, insistente, di essere percepita greve come un macigno. Quindi alla fine non efficace.

Per fortuna non mancano buoni antidoti a questa tendenza e si possono attingere ai valori base che animano la vita stessa di tante nostre organizzazioni.

Cominciamo dal primo: la leggerezza. Saccheggiando la lezione americana di Calvino, datata 1985 ma ancora fresca, dedicata alla leggerezza ne estraiamo il riferimento al mito di Perseo: l’unico eroe che riesce a sconfiggere la Gorgone, il mostro che con uno sguardo trasforma in pietra chi s’azzarda a puntarle gli occhi addosso. Tu la guardi e diventi la statua di pietra di te stesso. Un incubo. 

Perseo la sconfigge grazie proprio alla sua leggerezza, lui che vola su piedi alati, si appoggia a ciò che è senza peso, come vento e nuvole, ed escogita un trucco: osserva la Gorgone nel suo riflesso sullo specchio, evita di incrociarne lo sguardo diretto e la decapita. Il lieve vince.

Il potere terribile, mortifero, della Gorgone sta nel bloccare ogni dinamismo e vitalità umana, nel fermare il battito pulsante. La virtù di Perseo è l’esatto opposto: aria, libertà, astuzia, dunque vita. 

Ma c’è altro nel nucleo più profondo del mito: Perseo non rifiuta il confronto con la realtà e con i suoi mostri – fuor di metafora le gorgoni sono la povertà, la fame, la guerra, la diseguaglianza, la violenza… tutta la materia pesante con cui lavoriamo – e comprende che per non farsi schiacciare da questi, deve affrontarli a partire dall’impatto che hanno sulle persone, da come investono o travolgono le persone, le loro relazioni, le loro comunità. 


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Ecco come Calvino-Perseo aiuta la ricerca di una “nuova narrazione”: la leggerezza che propone è quella che non scansa la fatica di stare davanti ai mostri del tempo in cui viviamo, che avrebbero il potere di togliere speranza e cementificare.  Al contrario permette di starci di fronte fino a misurarne l’impatto sull’esistenza quotidiana di uomini e donne, le implicazioni nelle giornate ordinarie e di dare ascolto ai bisogni più concreti che si creano.

La leggerezza dell’eroe dai piedi alati risveglia la consapevolezza che le persone, in particolare le più vulnerabili, i migranti, i senzatetto, i bambini di sperduti villaggi che vanno a scuola a piedi per chilometri, le donne maltrattate, le persone i cui diritti sono calpestati, tutti costoro vanno raccontati senza trasformarli nelle loro statue di pietra, derubandoli della loro unicità e riducendoli a simboli, o peggio ad armi di battaglie ideologiche, a pietra contundente. Perché la loro vicenda umana unica e inafferrabile non è modellabile a piacere dentro i margini di uno storytelling moralistico o strumentale. 

Il volo di Perseo apre brecce, fa spazio alla narrazione che sappia interessarci davvero. Che sottraendo peso ci liberi tutti. 

Statua di Perseo nella foto di Lia Cornicello su Unsplash


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