Idee Cultura

La società “handicappata” rende le persone disabili

«La persona non è disabile in sé. Lo diventa quando si scontra con un gradino davanti alla carrozzina, con un’audioguida assente al museo, con un convegno privo di sottotitoli. A scuola, quando l’inclusione resta un principio astratto e lo studente con disabilità viene ancora "portato fuori", come se l’aula non fosse anche sua». L'intervento del direttore della Consulta per le Persone in Difficoltà

di Giovanni Ferrero

Viviamo in un’epoca in cui ci vantiamo di conoscenze, tecnologie, diritti sanciti. Eppure, per chi ha una disabilità, la quotidianità resta un percorso a ostacoli. Invisibili ai più, ma reali e faticosi. Ostacoli che dicono una cosa semplice: la società continua a non essere all’altezza. La persona non è disabile in sé. Lo diventa quando si scontra con un gradino davanti alla carrozzina, con un’audioguida assente al museo, con un convegno privo di sottotitoli. A scuola, quando l’inclusione resta un principio astratto e lo studente con disabilità viene ancora “portato fuori”, come se l’aula non fosse anche sua. Lo diventa sotto lo sguardo imbarazzato di chi dice al figlio di non fissare. Nell’indifferenza di un commesso che parla all’accompagnatore invece che alla persona con disabilità. Nella solitudine dell’attesa. Aspettare il bus con pedana. Le chiavi del montascale. Il ritorno dell’automobilista che ha occupato il parcheggio riservato. Aspettare che l’ascensore della metro venga riparato. Che qualcuno ti dica quando potrai uscire di casa — se vivi in un alloggio popolare al terzo piano con periodicamente l’ascensore rotto.  Vuoi un caffè con gli amici in centro? Non trovi un bar accessibile. O peggio: trovi un bar accessibile, ma il bagno non lo è. Ti muovi con il bastone bianco, conosci il percorso a memoria. Ma un giorno c’è un monopattino parcheggiato male. Finisci in pronto soccorso. Faccia sull’asfalto. E allora viene da dirlo: la società, così come è progettata, è lei a essere “handicappata”

Oggi, grazie alle tecnologie e all’intelligenza artificiale, potremmo abbattere il 90% delle barriere. Quel che resta si risolverà presto. Ma intanto quel gradino di 15 centimetri, fuori dal negozio, resta lì. E con 30 euro si potrebbe comprare una pedana.

Non serve essere politici, insegnanti o imprenditori per fare la differenza. Basta il coraggio di dire: “Così non va bene.” Perché il silenzio è la barriera più alta. Pensiamo sempre che il problema dell’accessibilità riguardi gli altri, come se fossimo destinati a restare per sempre dalla parte di chi attraversa la strada con passo sicuro, sale e scende scale senza fatica, entra ovunque senza accorgersi nemmeno se c’è un gradino. Ma basta un incidente, un infortunio, una malattia, un genitore anziano da accompagnare, un figlio con una disabilità, e ci ritroviamo dall’altra parte. E allora capiamo che tutto ciò che non abbiamo fatto prima, ci riguarda. Che ogni nostra omissione ha un peso. Che il cambiamento non è un atto di generosità verso qualcun altro. È una forma di responsabilità verso noi stessi, verso la nostra stessa vita futura. Domani potresti essere tu, a non riuscire più a fare ciò che fai oggi. E allora capiresti che la disabilità vera è nell’indifferenza di chi potrebbe cambiare le cose e non lo fa.

Come diceva Paolo Osiride Ferrero, presidente storico della Cpd (Consulta per le Persone in Difficoltà): «La cosa che più mi dà fastidio e mi fa arrabbiare è che chi potrebbe cambiare la vita delle persone con disabilità in meglio, non lo fa. Per indifferenza o pigrizia.»

Basta promesse. Basta scuse. Servono scelte. E assunzione di responsabilità.

Vuoi accedere all'archivio di VITA?

Con un abbonamento annuale potrai sfogliare più di 50 numeri del nostro magazine, da gennaio 2020 ad oggi: ogni numero una storia sempre attuale. Oltre a tutti i contenuti extra come le newsletter tematiche, i podcast, le infografiche e gli approfondimenti.


La rivista dell’innovazione sociale.

Abbònati a VITA per leggere il magazine e accedere a contenuti
e funzionalità esclusive