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Le parole giuste per il 2024? Scegliamocele da soli

Scegliere noi termini di buon auspicio per il nuovo anno, potrebbe contrastare trend negativi. Per contenere la war fatigue, per esempio, o per prevenire incendi, su quali parole oseremmo puntare? Per mitigare il cambiamento climatico o per fermare le mani dei violenti contro le donne, su quale parola proporremmo a Oxford University Press di scommettere? 

di Maria Laura Conte

Si potessero scegliere in anticipo le parole-regina dell’anno, quali sceglieremmo per il 2024? Potessimo deciderle noi, adesso, e non limitarci a registrarle a posteriori, riusciremmo a dare una forma buona al nuovo anno? Sono domande che entrano nel capitolo “fascinazione per il potere delle parole”, questione non secondaria se ricordiamo che l’intelligenza artificiale sta cercando di rubarcele, “sintetizzandole” per ragionare come noi.

Ma torniamo per un attimo a dicembre: come ormai da tradizione, piattaforme e realtà del settore hanno comunicato le parole più pronunciate e ricercate del 2023. Babbel per esempio – la piattaforma di insegnamento delle lingue – ha censito nella top ten war fatigue, che sta a indicare la stanchezza che si prova a sentir parlare sempre di guerra (in particolare di quella ucraina), e ceasfire, la richiesta di cessate il fuoco. Queste avrebbero condensato più di frequente il nostro pensiero intorno alle guerre in corso, restituendoci non solo i fatti, ma anche quel sentimento grigio che ci ha accompagnati per 12 mesi.


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Ma non ha registrato solo parole belliche, Babbel ha anche inserito in classifica espressioni come “mamma, distruggi tutto”, il verso dell’attivista divenuta celebre per la sua battaglia contro la violenza sulle donne e contro i femminicidi, altro tema su cui ci siamo interrogati quasi ogni giorno; e poi deepfake riferita a video e foto falsi creati dall’intelligenza artificiale, combinazione di deep learning, la capacità cioè dei computer di imparare a fare ciò che l’uomo naturalmente sa fare, e fake, falso, contraffatto; e ancora wildfire, cioè gli incendi selvaggi, di proporzioni inedite, che hanno divorato foreste preziose per contrastare la crisi climatica. 

C’è anche qualcosa di più leggero secondo l’Oxford University Press, che ha “incoronato” come parola dell’anno la gergale rizz, derivata da carisma, che indica quel quid che ci attrae, usata da una star in un’intervista diventata virale e poi divenuta una bandiera della generazione Z.

Anche solo questa manciata di parole trendy evoca tanta cronaca vissuta e i grandi e piccoli temi che hanno riempito il nostro spazio pubblico e privato. Ma fare una lista a posteriori è banale. L’esercizio contrario, scegliere noi parole di buon auspicio per il 2024, potrebbe contrastare trend negativi. Per contenere la war fatigue, per esempio, o per prevenire incendi, su quali parole oseremmo puntare? Per mitigare il cambiamento climatico o per fermare le mani dei violenti contro le donne, su quale parola proporremmo a Oxford University Press di imporre la sua corona? 

È un test di consapevolezza del potere del nostro dire come espressione di noi, delle nostre scelte e orientamenti. Un potere che abbiamo in mano per il solo fatto di esser-ci, di intessere relazioni e agire e abitare questa realtà. Siamo potenti per il fatto di essere cittadini di questi tempo e spazio, che possono leggere, lavorare, manifestare, far sentire la loro voce e perfino andare a votare. 

Siamo potenti per il fatto di essere cittadini di questi tempo e spazio, che possono leggere, lavorare, manifestare, far sentire la loro voce e perfino andare a votare

Lo abbiamo visto recentemente al cinema nel film di Paola Cortellesi, “C’è ancora domani”, quando ci ha raccontato di Delia, la protagonista, che il giorno delle elezioni si alza all’alba, esce con il rossetto nella borsetta e va a votare. Ci va perché quel gesto – in apparenza singolare, oggi percepito da tanti come inefficace – aveva a che fare direttamente con la sua fatica quotidiana, poteva incidere positivamente nella sua vicenda personale e nel destino di sua figlia. Tanti indizi, collocati nel film con maestria, lasciano credere allo spettatore che l’opzione salvifica per la protagonista sia la fuga, lei invece sceglie altro. Non molla, non rimane chiusa in casa, fa una mossa audace: vota. Fa sentire la sua voce per cambiare in meglio la vita sua e di tante altre persone. 

Attorno a questo gesto si potrebbe delineare un set di parole giuste per il 2024, qualcosa tipo partecipazione come antidoto alla noia dell’indifferenza? Oppure dare voce a chi non ce l’ha (advocacy) per sfondare orizzonti stretti? 

Aldilà dei giochi di parole, resta il fatto che noi possiamo scegliere quelle giuste, e non per forza lasciare che altri ce le impongano.

Foto di Polina Kovaleva/Pexels


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