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“Piccolo è bello”, ma non è questo il punto

Se intendiamo raccogliere con serietà la sfida dei territori, andando oltre esercizi intellettuali più o meno raffinati, dobbiamo lavorare allo sviluppo di nuove governance, aperte e fluide, davvero inclusive, accoglienti, generose e generative

di Federico Mento

Da oltre 30 anni, si discute della crisi della governance globale: il mondo multipolare, il ruolo dei Paesi emergenti, la fine dello stato nazione, l’esaurimento delle monete nazionali ecc.

Pari passu, nei cedimenti delle architetture nazionali, è emersa una narrazione volta ad enfatizzare la dimensione locale, le governance di prossimità: “piccolo è bello”. Nell’utopia localista si sono avvitate visioni del mondo che rispondono sia a ciò che potremmo definire progressismo, pensiamo all’enfasi sullo zapatismo fine anni ’90, sia ai conservatori che nelle piccole patrie ricercavano la purezza ormai perduta della Nazione. Il locale, quindi, come risposta ai cambiamenti radicali, collegati all’accelerazione dei flussi di beni, di finanza, di persone.

Continuo a pensare, alla luce della sproporzione di mezzi e di risorse tra ciò che fluisce, veloce ed inafferrabile, nei territori globali e chi sta sotto, che le dinamiche di territorio possano rappresentare uno spazio fecondo di pratiche in grado di sperimentare nuovi modelli di creazione e distribuzione di valore economico, di abitare, di stare insieme e stare con il pianeta. Così come ho avuto modo di apprezzare, una volta acceso l’innesco del cambiamento, la forza trasformatrice delle comunità, al medesimo tempo avverto la necessità di aprire un dibattito sulle governance di territorio.

Se guardiamo ai processi di attivazione del protagonismo dei territori, ne ha scritto di recente Emmanuele Curti sull’esperienza della cooperativa di comunità di Seneghe, non possiamo non identificare nei sistemi di governance il fattore che spesso agisce ostacolando o disabilitando i processi di cambiamento. Le architetture di governance dei territori (istituzionali, filantropiche, imprenditoriali, associative ecc.) sono inevitabilmente il riflesso delle storie economiche, sociali e culturali delle nostre comunità e, nel lungo dopoguerra, hanno rappresentato dei preziosi puntelli, sui quali si è andato consolidando il modello della Terza Italia.


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Il lento smottamento dei distretti, non solo come unità produttive ma sistemi complessi di relazioni, determina l’esaurimento delle governance di territorio, la cui funzione costituente viene meno, lasciando “buchi” nelle comunità. Pensiamo, a livello istituzionale, al superamento delle province, cancellate sulla spinta della retorica efficientista, di una macchina amministrativa più leggera, una migliore performance a fronte di costi minori.

Alla crisi delle governance, non sfuggono le organizzazioni della società civile, nonostante le innovazioni normative che hanno caratterizzato il lungo processo di riforma del Terzo settore, anche perché norme e realtà si muovono a velocità non comparabili

Nell’ambito dei Changemaker Days promossi ad Ascoli Piceno da Ashoka e Bottega del Terzo Settore, ho partecipato a un tavolo di lavoro rivolto agli amministratori locali di aree marginali. Tutte e tutti, al di là del ruolo e della collocazione politica, evidenziavano, a seguito della soppressione delle province, l’assenza di meccanismi di coordinamento che fossero in grado di rispondere ai bisogni consolidati, ma soprattutto di intercettare nuovi bisogni che, a loro volta, necessitano di nuove politiche da disegnare.

Potremmo fare un discorso simile per il sistema della filantropia di territorio, figlia della riforma Amato-Ciampi. All’epoca, lo stesso Amato, guardando alla missione ibrida delle fondazioni, che camminava sul sottile confine tra il diritto pubblico e quello privato, le definì “un mostro giuridico”. Un “mostro” che nasce per essere intenzionalmente buono, eppure oggi porta i segni di un modello di governance ancora legato alla precedente configurazione sociale, per certi versi isomorfico alle logiche istituzionali. Alla crisi delle governance, non sfuggono le organizzazioni della società civile, nonostante le innovazioni normative che hanno caratterizzato il lungo processo di riforma del Terzo settore, anche perché norme e realtà si muovono a velocità non comparabili. E potremmo ampliare l’analisi al mondo della rappresentanza, ai partiti, al sistema delle imprese ecc. Se intendiamo raccogliere con serietà la sfida dei territori, andando oltre esercizi intellettuali più o meno raffinati, dobbiamo lavorare allo sviluppo di nuove governance, aperte e fluide, davvero inclusive, accoglienti, generose e generative. E nuove governance fioriscono solo se ci sono nuove leadership diffuse, in grado di andare oltre la dimensione carismatica o, nel peggiore dei casi, padronale. 

Foto di David Selbert per Pexels


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