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Mondo digitale

Storia dell’app solidale (nata in bicicletta) che apre le porte ai rifugiati

A fondare "Riding the Rainbow” è stato Emanuele Santi, un manager 46enne italiano residente in Lussemburgo. L'applicazione è nata in occasione della prima accoglienza agli ucraini in fuga della guerra ed è stata realizzata da un'azienda di Leopoli. Oggi la utilizzano oltre 2mila persone. Ecco come funziona

di Antonio Palmieri

Nell’era digitale è l’ennesima stranezza festeggiare il primo compleanno di una app? Non lo è, se l’app in questione genera solide connessioni tra persone e valorizza appieno la forza della solidarietà. L’app di Riding the Rainbow, approdata negli store digitali un anno fa, unisce umanità e tecnologia, accoglienza e circolarità, managerialità e altruismo. 

È la conferma che i “custodi del seme” possono generare vita nuova. Per farlo non è necessario essere santi, nonostante il protagonista di questa storia si chiami proprio così: Santi. 

Fine febbraio 2022. Subito dopo l’invasione dell’Ucraina da parte dell’esercito russo anche in Lussemburgo arrivano migliaia di persone, soprattutto donne e bambini. In quei giorni Emanuele Santi – 46 anni, manager che ha lavorato per più di vent’anni nei Paesi in via di sviluppo con realtà come la Banca Mondiale e ora è un business angel – mette in Facebook un post: vuole sgombrare il garage da due biciclette che I figli non usano più. A sorpresa, si presenta per il ritiro un bambino rifugiato dall’Ucraina. «Con la mia famiglia – mi dice Emanuele – abbiamo visto la gioia negli occhi di quel ragazzo. Avere di nuovo una bicicletta gli offriva un legame con la vita che si erano lasciati alle spalle. In più le bici erano di colore giallo e blu, il che ha dato loro una gioia particolare. Allora abbiamo pensato: perché non regalare una bicicletta a ogni bimbo rifugiato». Così a fine febbraio 2022, è nata “Riding the Rainbow”.

Toccati da questo incontro, Santi e la sua famiglia iniziano a distribuire biciclette dal loro garage. Chiedono ad amici e conoscenti di portare biciclette e monopattini che non usano più. Il garage di casa Santi diventa un punto d’incontro tra residenti in Lussemburgo e famiglie ucraine. In poche settimane, regalano più di 200 biciclette, monopattini e skateboard a bambini richiedenti asilo o con lo status di rifugiati in Lussemburgo. Non solo ucraini ma provenienti da Paesi come l’Afghanistan o il Mali. Nel frattempo si aggiungono spontaneamente altre famiglie, che mettono a disposizione i loro garage come centri di raccolta.

Diventa presto evidente a Santi, ai suoi amici, alla rete di volontari riunita sotto la ong da lui fondata Afrilanthropy che avere solo punti di raccolta fisici è un limite alla capacità di soddisfare le esigenze di tutti, donatori e rifugiati. Inoltre è complicato per le persone portare grandi biciclette in auto o fare lunghi viaggi per raggiungere un punto di raccolta, magari per poi scoprire che i rifugiati che venivano a ritirare le biciclette vivevano vicino ai donatori. 

La soluzione viene dalla tecnologia. Grazie al sostegno dei volontari di Afrilanthropy, di due fondazioni locali (l’Oeuvre Nationale de Secours Grande-Duchesse Charlotte e la Fondazione André Losch) e di un finanziatore privato viene creata una app che disintermedia la donazione e facilita lo scambio tra donatori e riceventi che vivono nelle vicinanze. 

Non è solo un fatto puramente tecnologico o logistico. Nei suoi incontri pubblici Santi spiega sempre che facilitare l’incontro diretto offre un’opportunità unica di promuovere la solidarietà, perché permette di «toccare il dolore dei rifugiati e di offrire la luce dell’arcobaleno negli occhi dei bambini», come gli ha detto una madre ucraina. 

In questo modo i rifugiati hanno l’opportunità di entrare in contatto con la comunità locale, creando legami che vanno oltre la donazione di attrezzature sportive. 

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L’uso dell’app permette anche di evitare che ci sia chi approfitta della situazione per avere gratuitamente una bici pur non avendone diritto oppure usi la donazione come cavallo di Troia per azioni delittuose. Infatti la persona rifugiata si deve registrare, fornendo nome completo, e-mail, telefono e caricare la prova dello status o la domanda di status di rifugiato. Solo dopo aver creato il profilo e superato il controllo dell’organizzazione il rifugiato può contattare il donatore della bicicletta, aprendo un canale di comunicazione privato tra donatore e ricevente per organizzare il ritiro. In questo modo il donatore può completare la donazione in un luogo a propria scelta, senza necessariamente rivelare il proprio indirizzo privato.

Col digitale si può generare una nuova cultura del dono, perché la donazione di oggetti diventa occasione per creare nuove relazioni che ci facciano comprendere il dolore dell’altro

«Con la nostra tecnologia – continua Santi – si può generare una nuova cultura del dono, perché la donazione di oggetti diventa occasione per creare nuove relazioni, costruire reti di supporto e regalare conforto, oltre ad attivare un circolo virtuoso per l’ambiente, nel caso delle biciclette. Siamo abituati a delegare la beneficenza agli altri, rimanendo nella nostra zona di comfort. Ma se gli esseri umani si incontrano riescono davvero a comprendere il dolore dell’altro». 

Attualmente Santi ha assunto due rifugiati per la gestione quotidiana del progetto e più di 2mila ersone usano l’app, che è stata realizzata da un’azienda ucraina di Leopoli. Ora l’app è operativa in dodici Paesi, Italia compresa. Oltre alle biciclette si possono donare altri articoli sportivi ma anche strumenti musicali o cellulari.

Il prossimo passo è sfruttare l’intelligenza artificiale, integrando l’app con un chatbot dedicato, che possa rispondere alle domande più frequenti, come: dove trovare corsi di lingua? Come ottenere permessi di lavoro? Oppure indicare ai residenti che vorrebbero aiutare rifugiati e persone vulnerabili come poter esser d’aiuto.

«La nostra visione di lungo termine – conclude Santi – è creare la piu grande comunità digitale della solidarietà mai esistita, che metta in relazione migliaia di persone in più Paesi, in una piattaforma dinamica che possa evolvere inserendo servizi alle persone e ampliando i propri benefici ad altre persone vulnerabili, per esempio le madri single. Per questo invito a provare la nostra app specialmente le organizzazioni coinvolte nell’aiuto dei rifugiati e dei migranti in difficoltà.  Siamo aperti a collaborare e a federare altre organizzazioni del mondo associativo e anche amministrazioni pubbliche e pronti ad accogliere partner e sponsor interessati non solo a sostenere economicamente l’iniziativa, ma a coinvolgere anche il proprio personale».

Foto: Riding the raibow


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