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Non cerchiamo scuse

Transizione, il debito pubblico non è il problema. Chiedete al Cile e al Gabon

L’economista britannico Keynes è stato il primo grande teorico del debito pubblico e gli Stati Uniti, appresa la sua lezione, lo hanno trasformato in uno strumento di dominio mondiale dalla seconda guerra mondiale in poi. Senza debito pubblico non avremmo superato la crisi finanziaria globale del 2008 e il fermo dell’economia a causa del Covid. Quindi il tema è: come usiamo il debito pubblico?

di Filippo Addarii

Spesso mi capita di sentire che l’italia non può permettersi la transizione verde e sociale. Il Paese deve crescere e rispondere ai bisogni degli italiani. Non si può continuare a indebitarsi.  Il debito impedisce all’Italia di fare gli investimenti necessari. 

A dire il vero sentiamo la stessa musica in tutti i Paesi industrializzati, ma prendiamo l’Italia come caso emblematico a noi tutti familiare, e domandiamoci se questa valutazione del debito sia corretta come anche la presunta conseguenza. 

Dalla crisi globale finanziaria del 2008 gli italiani hanno scoperto l’entità e il costo del debito italiano. Successivi governi hanno cercato di contenerlo, se non di ridurlo. In realtà il debito italiano è cresciuto e, anche a causa all’esigenza di risponde alla crisi Covid e a misure discutibili come il superbonus, oggi è arrivato al 150% del Pil. Gli italiani si ritrovano ogni anno sempre più indebitati e, alla lunga, più poveri.

Quindi il debito pubblico, in questa lettura, risulterebbe il male di tutti i mali. Eppure la storia ci indica il contrario. Il debito è antico tanto quanto lo Stato e, nella sua forma moderno, ovvero quale prodotto d’investimento venduto ai propri cittadini, è stata una delle invenzioni che ha fatto la fortuna dei più fiorenti Comuni italiani e delle repubbliche marinare. Si utilizzava il debito pubblico per finanziare le guerre come anche le grandi opere pubbliche. Il debito fu ingegnerizzato nel ‘600 da Olanda per finanziare le avventure coloniali e permise alla Gran Bretagna di sconfiggere Napoleone e poi costruire il primo impero globale. L’economista britannico Keynes è stato il primo grande teorico del debito pubblico e gli Stati Uniti, appresa la sua lezione, lo hanno trasformato in uno strumento di dominio mondiale dalla seconda guerra mondiale in poi. Senza debito pubblico non avremmo superato la crisi finanziaria globale del 2008 e il fermo dell’economia a causa del Covid. 

Si fa debito per ripagare le clientele, sovvenzionare settori industriali improduttivi e finanziare programmi pubblici al solo scopo di creare posti di lavoro

Pertanto non porrei l’accento sul debito pubblico di per sé, ma sull’uso delle risorse raccolte. Ovvero, il debito pubblico può essere utilizzato per i grandi investimenti. Gli stessi che richiede la digitalizzazione dell’industria e la transizione energetica, così come la ricerca genetica e quella in intelligenza artificiale. Però si può far debito per sostenere i consumi, anche quelli voluttuari. Si fa debito per ripagare le clientele, sovvenzionare settori industriali improduttivi e finanziare programmi pubblici al solo scopo di creare posti di lavoro. Quest’ultimo punto non era sfuggito a Keynes. La semplice differenza è che se il debito si fa per gli investimenti questi generano la crescita che nel tempo permette di ripagare , mentre le spese rischiano soltanto di calmare gli animi e riempire gli stomaci al momento, per poi generare ancor più indebitamento e problemi connessi sul lungo periodo. 

Si fa debito per ripagare le clientele, sovvenzionare settori industriali improduttivi e finanziare programmi pubblici al solo scopo di creare posti di lavoro

A questo punto come garantire che lo Stato quando si indebita non utilizzi i denari raccolti in investimenti produttivi? Questa è una questione annosa che economisti e riformatori si pongo dal ‘700 ed è al cuore del dibattito su margini di indipendenza ed efficacia del governo. L’economista francese Abdeldjellil Bouzidi e l’economista italo-americano Michael Mainelli hanno disegnato una nuova forma di debito pubblico che hanno battezzato sustainability-linked bond (Slb) che possiamo tradurre come “BoT legato alla sostenibilità”. In altre parole si tratta di un buono del tesoro, un titolo di debito pubblico, il cui rendimento finanziario dipende da obiettivi di sostenibilità che lo stato definisce al momento dell’emissione rispetto ai sottoscrittori e che determina il prezzo minore o maggiore pagato a questi ultimi in base ai risultati conseguiti. In altre parole lo Stato virtuoso è premiato con un costo del proprio debito inferiore. Per chi ha familiarità con la storia del social impact bond è lo stesso principio applicato alle finanze dello Stato. 


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L’aspetto non trascurabile è che dà al cittadino che investe in questo tipo di bond la trasparenza sull’impiego delle risorse e risultati raggiunti. Il mercato finanziario, in questo caso, lavora per lui. 

L’idea del sustainability-linked bond è stato adottato subito da alcuni Paesi non occidentali. Per primo il Cile nel 2019 ha emesso il suo primo bond legato a obiettivi di transizione energetica e investimenti in stabilimenti industriali per la produzione energetica da fonti rinnovabili. L’obiettivo era quello di attrarre nuovi investitori attenti alla sostenibilità e disposti a dare uno sconto in cambio. La sostenibilità era strumentale ma perché no? La chiesta è aperta a credenti, conformisti e opportunisti. L’importante è che seguano tutti la regola.  

Da  allora ogni hanno il Cile raccoglie miliardi con qusto strumento che, naturalmente, piace ai grandi investitori istituzionali perché combinano un rendimento certo, sicuro e un impatto ambientale. Lo strumento del Slb, da quest’anno, è stato adottato anche da Paesi in via di sviluppo per ristrutturare il proprio debito. Recentemente il Gabon ha emesso un Slb con un swap ovvero scambiando i propri vecchi titoli di debito con dei nuovi legati a degli obiettivi di preservazione del patrimonio naturale e con un costo inferiore rispetto al passato. Slb sono stati utilizzati anche con obiettivi sociali. Ad esempio, sempre il Cile, ha emesso un Slb sulla parità di genere nel mercato del lavoro. 

Abbiamo anche casi di multinazionali. L’anno scorso, Snam ha emesso il suo primo Slb. Altre corporations stanno seguendo l’esempio. 

Ora mancano soltanto gli Stati occidentali soprattutto quelli come l’Italia che, con un debito di oltre 2 miliardi di euro che richiede ogni anno di essere rifinanziato, potrebbe così fare raccolta impostando una nuovo modello che alla trasparenza e all’accoutability verso i cittadini unisce l’efficacia dell’azione nel perseguire l’upgrade del Paese per giocare la partita del nuovo secolo. 

Foto di foto di Pawel Czerwinski su Unsplash


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