Idee Bilancio Ue
Un budget unico per agricoltura, pesca e sociale: così l’Europa di Von der Leyen mette in un angolo la coesione
Lungi dal rafforzare il progetto europeo in modo equo, la proposta sul budget della presidente della Commissione europea comporta una sostanziale riduzione dei finanziamenti per la coesione sociale e territoriale. Ad essere minato è un principio sancito dal trattato costitutivo dell'Unione europea: promuovere la convergenza tra le regioni e sostenere i territori più svantaggiati. L'analisi
di Sofia Lai Amândio e Gianluca Salvatori

A soli otto giorni dalla chiusura della sessione estiva del Parlamento europeo, Ursula von der Leyen ha presentato quella che è senza dubbio la proposta politica più significativa del prossimo decennio: il quadro finanziario pluriennale (Qfq) per il periodo 2028-2034.
Con una cifra record di quasi 2mila miliardi di euro, pari all’1,26% del reddito nazionale lordo dell’Unione europea, si tratta, sulla carta, del bilancio più consistente mai proposto dall’Unione. Tuttavia, lungi dal rafforzare il progetto europeo in modo equo, la proposta comporta una sostanziale riduzione dei finanziamenti per la coesione sociale e territoriale. Ad essere minato è un principio sancito dal trattato costitutivo dell’Unione europea: promuovere la convergenza tra le regioni e sostenere i territori più svantaggiati.
La proposta della Commissione riorganizza il bilancio dell’Ue attorno a tre pilastri principali. Il più consistente, pari a 865 miliardi di euro, riunisce in un unico fondo le politiche in materia di agricoltura, pesca, coesione e affari sociali. Questa riorganizzazione mette insieme le due voci di bilancio storicamente più consistenti: la politica agricola comune (PAC), che comprende le sovvenzioni agli agricoltori, e i fondi di coesione, finalizzati allo sviluppo sociale dei paesi membri. Anziché operare separatamente, questi fondi sarebbero riuniti in un unico strumento finanziario, con una discontinuità strutturale rispetto al modello attuale, in cui la PAC e la coesione rappresentano oltre il 60% della spesa dell’UE, ma con meccanismi separati e autonomi.
Presentata all’insegna dell’efficienza e della semplificazione, la fusione dei fondi di coesione e agricoli rischia di indebolire l’efficacia di entrambe le politiche e il loro impatto tangibile sulle regioni, le comunità e i cittadini.
Tuttavia, la mossa della Commissione non è inaspettata. Rappresenta il culmine di un processo lungo e graduale, orchestrato bilancio dopo bilancio. Inizialmente strutturata attorno al Fondo sociale europeo (1957), al Fondo europeo di sviluppo regionale (1975) e al Fondo di coesione (1994), dal 2014 la politica di coesione opera nell’ambito più ampio dei Fondi strutturali e di investimento europei (ESIF), insieme alla Pac e, più recentemente, ai fondi per l’azione per il clima, la migrazione, la sicurezza e il controllo delle frontiere. Quello che viene proposto ora è il punto di arrivo di una progressiva marginalizzazione della coesione territoriale. Prima è arrivata la riorganizzazione finanziaria, ora arriva la ristrutturazione delle stesse politiche.
Ciò che davvero sorprende è il ritiro del sostegno politico a politiche pubbliche che hanno dimostrato la loro efficacia. Secondo la Banca mondiale, l’UE ha funzionato come un efficace “meccanismo di convergenza”, determinando miglioramenti significativi dei risultati economici e della qualità della vita, specialmente nei nuovi Stati membri. Questa convergenza economica ha anche portato a progressi sociali, migliori risultati in termini di salute, minore disoccupazione e riduzione della povertà. Recenti studi empirici che utilizzano metodi controfattuali confermano gli effetti positivi complessivi della politica di coesione sul PIL pro capite, con risultati particolarmente positivi nei paesi dell’Europa orientale.
La politica di coesione ha silenziosamente dimostrato di essere un potente motore di sviluppo economico, inclusione sociale, resilienza territoriale. Tuttavia, la proposta della Commissione rischia di ridurla a una mera funzione compensativa
La politica di coesione ha silenziosamente dimostrato di essere un potente motore di sviluppo economico, inclusione sociale, resilienza territoriale. Tuttavia, la proposta della Commissione rischia di ridurla a una mera funzione compensativa: una rete di sicurezza minima per i più vulnerabili, privata del suo potenziale trasformativo. Ignorare il suo comprovato impatto sarebbe un errore strategico. Strumentalizzare i fondi di coesione a vantaggio di regioni già competitive significa invertire il loro scopo originario e aggravare proprio quelle disuguaglianze che erano stati chiamati ad affrontare.
Agosto può essere un mese tranquillo nei corridoi di Bruxelles, con i parlamenti nazionali in pausa estiva e il Parlamento europeo quasi vuoto. Ma già dopo l’estate, e durante tutto il 2026, si vedranno intense negoziazioni sul prossimo bilancio dell’UE, con un acceso confronto tra paesi contributori netti e i cosiddetti “amici della coesione”. I paesi dell’Europa meridionale e orientale chiederanno il mantenimento o addirittura il rafforzamento dei fondi di coesione e agricoli. Mentre gli Stati del nord e del centro, come Germania, Paesi Bassi, Danimarca e Svezia, spingeranno probabilmente per un bilancio più snello, incentrato sulla transizione climatica, la sicurezza, la difesa, l’innovazione e la competitività industriale, in linea con le esigenze delle loro economie altamente sviluppate.
Nella prossima fase di negoziazioni, spetterà agli Stati membri, al Parlamento europeo e alla società civile garantire che la coesione sociale e territoriale rimanga al centro del progetto europeo. Perché senza coesione non può esserci un’Europa competitiva, equa, resiliente e veramente unita.
Gli autori di questo articolo sono rispettivamente: ricercatrice (PhD), Centro di ricerca e studi in sociologia (Cies-Iscte), Istituto universitario di Lisbona e segretario generale di Euricse.
Foto La Presse: Ursula Von der Leyen
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