Adolescenti

Il bullismo si azzera in sei mosse. Ma agli adulti diciamo «basta paura, occorre agire»

A Latina un quattordicenne, Paolo, si è tolto la vita poche ore prima dell’inizio della scuola. «Era perseguitato dai bulli», affermano i familiari. Gli adolescenti e i giovani di “Mabasta” hanno messo a punto un protocollo d'azione in sei step, dal "Maba-prof" al "bulliziotto" e con 60 volontari tra gli 11 e i 17 anni girano le scuole d'Italia. L'anno scorso ne hanno raggiunte 250 e in nessuna ci sono stati casi di bullismo. «Docenti e dirigenti devono smettere di avere paura e i genitori devono denunciare di più»: intervista al presidente, Mirko Cazzato

di Chiara Ludovisi

«Per sconfiggere il bullismo a scuola, bisogna che i docenti e i dirigenti smettano di avere paura»: l’appello arriva da Mirko Cazzato, presidente dell’associazione Mabasta, impegnata nella prevenzione del bullismo all’interno delle scuole. All’indomani del drammatico caso di Paolo, che si è tolto la vita ad appena 14 anni a Latina, questo appello ha particolare significato e forza. Paolo, da quanto hanno denunciato i genitori e il fratello, era «perseguitato dai bulli» fin dalla scuola primaria. I genitori assicurano di aver più volte segnalato e chiesto aiuto alla dirigente, lei nega.

Nell’attesa che le indagini accertino cause, responsabilità ed eventuali omissioni si riaccende un faro, proprio all’inizio dell’anno scolastico, su una realtà che presenta, almeno nei numeri, contorni drammatici: secondo l’Osservatorio sul Bullismo 2025 (ScuolaZoo + C’è Da Fare Ets), aggiornato a febbraio 2025, il 60% degli studenti dichiara di aver subito atti di bullismo o violenza. Una violenza che può essere verbale (61%), psicologica (46%), o fisica (26%). Spesso le diverse forme si presentano insieme, o si accompagnano a qualche forma di discriminazione (22%). Una percentuale molto alta di studenti (76%) riferisce inoltre di aver assistito ad atti di bullismo o violenza. 

Mabasta, il bullismo si sconfigge dal basso

Non rari casi isolati, quindi, ma tante storie che se in pochi casi hanno un esito drammatico come quella di Paolo, sempre procurano sofferenza e spesso traumi. Per intercettare e soprattutto prevenire questa sofferenza, nel 2016 è nata l’associazione Mabasta. «Era il 2016, avevo 14 anni e frequentavo il primo anni di superiori, a Lecce. Una mattina, il nostro professore, Daniele Manni, ci ha raccontato di una ragazza di 12 anni che aveva tentato il suicidio dopo aver subito atti di bullismo. Quella mattina stessa, abbiamo deciso di fondare una startup, per prevenire e contrastare il bullismo. Abbiamo iniziato a studiare, a fare incontri e poi siamo entrati nelle scuole, per incontrare i nostri coetanei e capire con loro da dove nascesse il bullismo e come fare per combatterlo. È nato così il modello Mabasta».

Mirko Cazzato

In cosa consiste?

Sei azioni semplici e concrete, che oggi portiamo in tutte le scuole elementari e medie d’Italia, perché è lì che nascono i semi del bullismo. Primo, far eleggere un “Maba-prof”, ovvero un insegnante referente che abbia questa attenzione particolare. Secondo, somministrare un “Maba-test” sulle relazioni tra i compagni, che poi viene restituito alla nostra associazione. Terzo, eleggere una “bulliziotta” e un “bulliziotto”, ovvero compagni che tendano occhi e orecchie ben aperti per intercettare segni di bullismo.  Quarto, installare in ogni scuola una “bullibox”, ovvero una scatola in cui inserire segnalazioni anche anonime. Quinti, informare tutti i ragazzi che sul nostro sito è attiva la “Digital Antibullying Desk (Maba-dad)”, ovvero un centro per le segnalazioni anonime online. Infine, fornire ad ogni classe l’obiettivo di diventare “classe debullizzata”, che si impegna a contrastare e spegnere ogni focolaio laddove dovesse nascere.

E i risultati si vedono?

Decisamente sì: nelle scuole in cui siamo entrati negli ultimi tre anni, non si sono verificati casi di bullismo, sebbene alcune si trovino in contesti molto complessi. Solo nell’ultimo anno abbiamo raggiunto circa 250 scuole e 1.800 classi in tutta Italia. Per tre di noi questo è diventato un lavoro, ma abbiamo accanto un nucleo di 60 ragazzi volontari, tutti tra i 14 e i 17 anni, che rendono questo progetto possibile. Alcuni sono stati a loro volta vittime di bullismo. Anche Diego, uno dei tre ragazzi dello staff, ci ha conosciuto come vittima, quando era alle medie e noi, con Mabasta, siamo entrati nella sua scuola. Oggi contrastare il bullismo nelle scuole è il suo lavoro. Per ora, l’unico nucleo è a Lecce e quindi viaggiamo molto per andare nelle scuole di tutto il Paese. Ma stiamo cercando di creare quattro nodi territoriali a Treviso, Milano, Trento, Torino, perché raggiungere quei territori da qui è veramente un lungo viaggio!

I ragazzi di Mabasta

Come possono gli adulti cogliere i primi segni di bullismo?

Il bullismo si manifesta attraverso cambiamenti improvvisi e comunque si legge la sofferenza sul volto di chi lo subisce. Io, che ho 25 anni, entrando in una classe me ne accorgo quasi sempre. Come può non rendersene conto un adulto che quei ragazzi li vede tutti i giorni? E poi ci sono i compagni: loro intercettano per primi gli episodi di bullismo. Per questo, dobbiamo ascoltarli, osservarli e coinvolgerli.

I dirigenti hanno tanti mezzi per intervenire e devono farlo. Però hanno paura, non capisco perché: temono le reazioni delle famiglie, soprattutto, li preoccupa ciò che potrebbe succedere. Così, spesso fanno un passo indietro

Cosa può fare un docente o un dirigente, di fronte a una segnalazione, o anche solo a un sospetto?

Non deve avere paura. I dirigenti in particolare hanno tanti mezzi per intervenire e devono farlo. Però hanno paura, non capisco perché: temono le reazioni delle famiglie, soprattutto, li preoccupa ciò che potrebbe succedere. Così, spesso fanno un passo indietro: che significa fare finta di niente, “insabbiare” il caso o al limite risolverlo in modo sbrigativo. I genitori, dal canto loro, dovrebbero denunciare di più. A volte ci telefonano, anche dopo aver parlato con professori e dirigenti, lamentandosi che non hanno risolto nulla, che nessuno muove un dito e il figlio o la figlia continuano a subire atti di bullismo. Allora noi chiediamo di denunciare, ma le denunce sono ancora poche. 

La scuola di oggi sta facendo tutto il possibile per diventare un luogo più accogliente, in cui non ci sia spazio per prepotenze e violenze? O le priorità sono altre?

Fino a qualche giorno fa avrei risposto che sì, le scuole si stanno impegnando per avere la giusta attenzione: ce lo dicono le tante chiamate che riceviamo. Ma dopo aver letto la storia di Paolo, mi rendo conto che tante sono ancora le scuole che non fanno un passo avanti e continuano a sottovalutare il problema: non si accorgono, o fanno finta di non accorgersi, quando qualcosa non va. E in ogni caso, preferiscono non fare rumore, non sollevare il caso: per non dare troppo peso, rischiano di darne troppo poco. 

Qualche giorno fa è uscito il tuo libro, Non chiedermi se va tutto bene (Ed. Piemme). Perché questo titolo?

Perché se qualche giorno fa avessimo chiesto a Paolo: «Va tutto bene?», lui avrebbe risposto: «Sì». Quella domanda serve solo a sollevarci la coscienza. Se pensiamo che non vada tutto bene, meglio fare piuttosto che domandare.

Foto fornite da Mabasta

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