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Dibattiti

Il senso d’urgenza: spazi di nuovi volontariati e attivismi

Parte dal Csv Trentino una riflessione sulla necessità di interrogarsi sul senso dell'attivarsi, della cittadinanza attiva e della partecipazione. Temi al centro di una "non-conferenza" in programma sabato 18 novembre a Trento

di Emanuele Pastorino e Mirella Maturo

Ad un certo punto, nella cucina di Carmy Berzatto in The Bear compare un pezzo di scotch di carta. Sopra c’è scritta una frase in stampatello: “Sense of urgency”. Senso di urgenza: il protagonista lo appiccica al piano del pass, il tavolo da cui Sydney (la sua seconda) chiama gli ordini, verifica i piatti e fa proseguire il servizio. Quel pezzo di scotch serviva a richiamare l’attenzione di Sydney su quale fosse il ritmo e il tono che dovevano avere le chiamate dei piatti. 

Premura

Tradurre quello che intende il protagonista di The Bear con “senso d’urgenza”, comunque, potrebbe risultare riduttivo: questa espressione, per come viene usata, ha a che fare anche con un altro concetto, quello di premura

Se è vero che urgenza è “il fatto, la condizione di essere urgente; situazione che richiede interventi immediati e rapidi” soltanto mescolando questo significato con quello di premura si ottiene una sfumatura simile a quella che Carmy prova a suggerire: ecco che il senso di urgenza riguarda, quindi, una “situazione che richiede interventi immediati e rapidi” che vanno agiti con “cura, sollecitudine” perché quella situazione “sta molto a cuore”.

Ci sono cose che ci stanno molto a cuore, che richiedono un’azione, di cui dobbiamo parlare prima che diventi inutile farlo, prima che sia troppo tardi

Pensando a cosa sia urgente quando ragioniamo attorno alla partecipazione e alla crisi delle sue forme, ci sono (almeno) due elementi anche abbastanza banali su cui occorre riflettere.

Il primo: siamo davvero sicuri che quello che noi (dove questo noi guarda alla comunità vasta di chi fa volontariato e/o attivismo) definiamo come partecipazione o cittadinanza attiva siano definizioni ancora valide in quanto comuni e condivise?

Il volontariato libero

Da questo punto di vista, qualche sera fa – durante un laboratorio a Vezzano realizzato per un percorso promosso da Csv Trentino – una partecipante ci ha raccontato alcune esperienze di “volontariato libero”: dimensioni di estrema prossimità, di vicinato, in cui persone non associate né inserite in contesti di volontariato aiutano vicini in difficoltà con azioni anche molto poco strutturate come offrire un caffè, fare la spesa, chiacchierare.

Si tratta di azioni minute che spesso (e anche nel dibattito di quella sera questo aspetto è emerso) passano inosservate per via di un meccanismo che ci porta a dire che che, per essere volontariato, c’è bisogno che le azioni messe in campo siano più strutturate. Siamo sicuri di volerlo dire?

Certo facciamo fatica a definire, a circoscrivere e raccontare un fenomeno se questo perde le strutture che ha sempre avuto: Marco Cau e Graziano Maino, nel Piccolo erbario della progettazione pubblicato da Svolta hanno ragionato attorno ad alcune parole chiave del progettare insieme: curiosità, incontri, desideri, energie, spazi, iniziative, progetti, cambiamenti, apprendimenti, racconti, convivialità.

La bellezza di queste parole è sicuramente la loro declinazione al plurale, a significare che non esiste un unico modo di intenderle. Un altro tratto di bellezza è il  filo rosso che si intravede in queste undici chiavi di lettura che è la spontaneità con cui tanti di questi aspetti si muovono nella realtà. Dentro questa parola – spontaneità – sta un pezzo di conflitto (interno ed esterno) che attraversa i mondi della progettazione sociale, del volontariato e – forse – anche quelli di alcune forme di attivismo. 

Le organizzazioni faticano a riconoscere una capacità di trasformazione a ciò che emerge con e nella spontaneità: tuttavia anche chi fatica ad uscire dall’idea che i volontari siano solo quelli iscritti al libro dei volontari di un’associazione non può non riconoscere come il volontariato si basi sull’idea di una messa a disposizione volontaria, libera e gratuita di sé stessi e del proprio tempo. Ecco, se questa è una spiegazione mediana e non definitiva del concetto di volontariato, cosa significa il fatto di dover aggiungere l’aggettivo libero accanto ad una attività che libera lo è già di per sé? Forse abbiamo esagerato nel pretendere dal volontariato un ruolo che il volontariato non dovrebbe avere.

E se questo fosse il momento?

La seconda questione: siamo davvero, davvero, sicuri che tutti debbano in qualche modo essere attivi? O, ancora, siamo sicuri che tutti siano posti nella possibilità di poter immaginare di attivarsi?


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Sono due temi in parte collegati: la rinuncia ad attivarsi, in qualsiasi forma, è spesso collegata alla sfiducia e alla frustrazione di essere costantemente nell’impossibilità di attivarsi in qualsiasi forma.

È centrale il tema dell’accessibilità: quante persone hanno a loro disposizione tempo, sicurezza economica, disponibilità emotiva, di poter avere accesso ad un volontariato molto più burocratico di quanto non lo sia stato in passato, gestito da logiche che spesso respingono chi ha incarichi di cura (perché le riunioni sono troppo lunghe, perché sono in orari inaccessibili) oppure respingono chi ha minor voce e minori privilegi (perché focalizzate su dinamiche che risultano incomprensibili alle generazioni più giovani o perché dominate da uomini adulti che faticano a cedere spazio di decisione ad altre persone).

Vogliamo parlare di tutte queste cose. Anzi: dobbiamo parlarne, prima che sia troppo tardi.

Con Csv Trentino siamo andati a chiedere quali altre siano queste cose a attivisti, organizzazioni di volontariato, enti del Terzo settore, corpi sociali, fondazioni, realtà che sui territori fanno questo ogni giorno: lo abbiamo fatto scegliendo un pezzetto di questo ragionamento che crediamo però essere abbastanza importante, cioè il modo e le motivazioni che spingono le persone ad attivarsi. 

In questi anni di crisi perpetua della partecipazione, ci sembrava urgente fare qualcosa. Aria | Spazi di contaminazione tra volontariato e attivismi è l’esito di molte cose ma parte – soprattutto – da una domanda: e se questo fosse il momento? Quello di affrontare tutta una serie di cose che lasciamo spesso da parte, quello di far dialogare di più chi fa attivismo con chi si attiva in contesti più istituzionali. Quello, insomma, di trovare alleanze che parlino di tutte queste cose. 

E se questo fosse il momento, allora? Il 18 novembre sarà un’occasione in più: una non-conferenza con cui Csv Trentino chiede a tutti di partecipare. 

Aria sarà composta da laboratori, racconti di pratiche, tavole rotonde, occasioni per ragionare sui temi più diversi, dal modo in cui istituzioni e attivismo si influenzano a vicenda fino alle connessioni tra rappresentanza sindacale e pratiche dal basso; dall’attivismo ambientale alla linea sottile che separa volontariato e lavoro non retribuito; dalla ricerca di un benessere all’interno delle organizzazioni fino al ruolo di volontariato e attivismo nella crescita delle nostre comunità. 

Aria sarà un’occasione per ragionare insieme attorno a volontariato e attivismi, per mettere a sistema quello che funziona nei due mondi per far diventare le istanze sociali e ambientali troppo grandi per essere ignorate. 

Ci troveremo a Trento, nello storico Dipartimento di Sociologia di via Verdi a partire dalle ore 9.  Dentro questo senso d’urgenza, Aria sarà uno spazio per tutti: leggi il programma qui. A questo link potrete iscrivervi alla giornata e, in particolare, scegliere le sessioni della mattina.

In apertura photo by Priscilla Gyamfi on Unsplash


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