Prepararsi al futuro
Intelligenza artificiale e formazione: problema o soluzione? Sta a noi decidere
Luciano Floridi, filosofo fondatore del Digital Ethics Center dell'Università di Yale ha incontrato gli studenti dell'Università Bicocca di Milano e dialogato con la rettrice Iannantuoni sulle sfide che l'intelligenza artificiale pone a scuola e accademia
«È ora di comprendere che quello della telepresenza non è altro che un mito e che più tecnologia non significa vedere meno gli studenti di persona. Al contrario, essa ci mette a disposizione del tempo usualmente speso per altri compiti e, quindi, ci consente di interagire di più con loro». Luciano Floridi, filosofo responsabile del Digital Ethics Center dell’Università di Yale, Centro sull’etica digitale che è stato chiamato a fondare e dirigere, e docente dal 2021 docente dell’Università di Bologna, è intervenuto all’Università di Milano-Bicocca all’evento «Orbitiamo in Bicocca. Dialogues with intelligence» dialogando sui temi dell’educazione e dell’intelligenza artificiale con la rettrice Giovanna Iannantuoni. «Parliamo di intelligenza artificiale ma lo facciamo in presenza» ha subito fatto notare la rettrice: «Nei campus universitari, dove le persone si incontrano, succedono cose meravigliose: scambi stimolanti, nascita di nuove idee originali e fiorire di relazioni. Guardando alle nostre studentesse e studenti, nel figurarci il professionista di domani, siamo consapevoli che un futuro di crescita e benessere è permeato di pensiero critico». Che si acquisisce e si allena, come anche la capacità di valutazione, interagendo con gli altri di persona. Come accade perlomeno dai tempi del Peripato, avranno pensato i presenti al dialogo in Aula Magna, anche i più digiuni di filosofia e storia dell’educazione. Non a caso, fa eco il filosofo (35 anni a Oxford), un favorevole rapporto del numero tra docenti/studenti è una cifra della bontà e del prestigio di un ateneo.
Nonostante la tentazione alla pigrizia dello schermo data dalle nuove e prorompenti tecnologie digitali, con cui durante la pandemia tutti sono stati costretti a confrontarsi, «l’approccio deve sempre essere quello della bottega. Riuscite a immaginare un cuoco che voglia apprendere una nuova ricetta senza mai entrare in una cucina? Senza sentire l’odore di cipolla? Come imparare a cucinare, pensando di insegnarlo ad altri, guardando dei video esplicativi? Allo stesso modo, la trasmissione della sapienza, qualora vi sia, non può avvenire attraverso uno schermo» incalza Floridi, ricordando che lo stretto e prolungato rapporto con gli allievi è di beneficio agli accademici stessi, perlomeno a coloro che intendano continuare a imparare, «che è l’acquisizione di conoscenze già note e non va confuso con l’attività di ricerca, che è invece il passaggio dall’ignoto al noto della scoperta». A poco serve l’atteggiamento ipercritico di chi denigra la scuola e ne lamenta l’inadeguatezza: «Bisogna andare comunque in cucina, perché anche lavorare con pentole vecchie e attrezzi non al top è parte importante della formazione».
L’approccio formativo efficace prescinde in parte dalle singole conoscenze trasmesse, sulle quali Floridi chiarisce che sbaglia l’industria nel lamentare l’inadeguatezza della scuola: «Dicono “la scuola non li prepara al lavoro” e ci mancherebbe! Il momento pratico non spetta certo agli atenei che devono invece fornire altro, competenze di un diverso livello, quelle che poi restano per tutta la vita o, come dice, on the shelf». La capacità di ragionare e di navigare il nostro ambiente, l’infosfera, sempre più inquinato da false informazioni di cui non sappiamo individuare la fonte, ci sottrae dai tentativi di manipolazione altrui. E, a proposito dell’uso da parte dei ragazzi degli strumenti più avanzati, come i chat bot, nel contesto educativo, Floridi è chiaro: «Non si pensi di usarli per imparare. Bisogna essere utenti esperti dell’argomento, perché sono strumenti che aumentano le potenzialità dell’agere, è questo il loro uso più appropriato. Altrimenti, ragazzi, abbiate l’accortezza di controllare una, due, tre volte». Siate cervelli pensanti.
Secondo il rapporto della World Bank sul futuro del lavoro, «il pensiero analitico e il pensiero creativo rimangono le capacità più importanti per i lavoratori («Analytical thinking and creative thinking remain the most important skills for workers»). In un mondo in rapido cambiamento, dove le specifiche conoscenze diventano presto obsolete, gli atenei si sforzano di individuare i più adeguati iter formativi, nella convinzione che prima di tutto vadano forniti i fondamenti e la capacità di apprendere. «Il nostro sistema educativo viene spesso criticato perché troppo astratto. I nostri stakeholder ci chiedono di trasmettere queste o quelle competenze» dice Iannantuoni. «Ma la World Bank prevede da tempo che tra un decennio ci saranno delle occupazioni che oggi non conosciamo ancora. Quindi, l’università pubblica deve fornire strumenti, come la consapevolezza di sé e della realtà circostante, per un mondo flessibile. Noi puntiamo a dare ai giovani un solido background e un approccio metodologico e le conferme poi arrivano, ad esempio, quando vanno all’estero e si confrontano con gli altri. Quanto alle competenze trasversali necessarie, come quelle relative all’intelligenza artificiale, abbiamo creato dei corsi brevi per tutti i corsi di laurea indistintamente e siamo certi che questo farà poi la differenza».
Di IA parlano tutti ma la sensazione è che in pochi capiscano veramente. «Nessuna precedente generazione è mai stata esposta a una così straordinaria accelerazione del potere tecnologico sulla realtà, con i relativi cambiamenti sociali e responsabilità etiche» scrive Luciano Floridi nella traduzione italiana del suo Filosofia dell’informazione, in uscita il 7 ottobre per Raffaello Cortina. L’intelligenza artificiale è pervasiva, plastica e potente. Quella generativa, poi, ha cambiato la produzione dei contenuti, dietro i quali non c’è più necessariamente qualcuno, un agente umano, alla cui identità si poteva cercare di risalire (e la cui opera era fallibile ma correggibile). «Il paradosso è che non ce ne siamo quasi accorti: come se non si riuscisse ad assorbire la magnitudine di questa trasformazione mai avvenuta nella storia dell’umanità e che van ben oltre la perdita del lavoro per alcuni professionisti».
Quanto poi l’intelligenza artificiale sia parte del problema o della soluzione, sia uno strumento di equità e di contrasto al digital divide e quanto invece le amplifichi le diseguaglianze, «è una questione sociale e politica. Bisogna occuparsi dell’accesso e dell’impatto delle nuove tecnologie, che come ogni innovazione regalano vantaggi a chi le ha e le sa usare» dice Floridi. «L’Università di Yale investe in intelligenza artificiale 150 milioni di dollari l’anno. Per quanto non abbia alcun senso confrontare un’azienda privata, quale essa è, con il sistema educativo pubblico italiano, perché sono cose assolutamente diverse, in Italia andrebbe compreso una volta per tutte che l’università non è un costo per lo Stato ma è un investimento». Il fondo di finanziamento ordinario per l’università in Italia è di 9 miliardi di euro: «Dovrebbero essere 90» commenta il filosofo, «anche perché l’Italia è una potenza mondiale e potrebbe permetterselo. Sono scelte».
Quanto poi l’intelligenza artificiale sia parte del problema o della sua soluzione, è una questione sociale e politica. Bisogna occuparsi dell’accesso e dell’impatto delle nuove tecnologie
Luciano Floridi
«Oggi un laureato su due è il primo in famiglia a ottenere il titolo e nel 60% dei casi sono ragazze. L’università pubblica continua a essere un ascensore sociale e dobbiamo farlo funzionare», dice Iannantuoni, presidente della Conferenza dei rettori italiani Crui: «Appropriamoci di questo ruolo, combattiamo l’approccio alla formazione che crea cittadini di serie A e di serie B, usiamo l’intelligenza artificiale come motore di equità».
Foto di Growtika su Unsplash
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