Proteste in Ucraina
Io, cittadino russo, invidio gli ucraini che possono manifestare il loro dissenso
Per la prima volta dall’inizio dell’invasione Russa dell’Ucraina, migliaia di cittadini sono scesi in piazza per protestare dopo l’approvazione di una legge che mina l’indipendenza di due agenzie fondamentali nella lotta alla corruzione. «Anche in Russia la corruzione ha un carattere sistemico», scrive il dissidente russo Alexander Bayanov. «Ma la società civile in Ucraina, nonostante tutto il dolore e le perdite della guerra, e nonostante i divieti, è ancora in grado di scendere in piazza. E non trova davanti a sé reparti speciali in uniforme»

Kiev, Dnipro e ancora Odessa, Leopoli. Per la prima volta dall’inizio dell’invasione Russa dell’Ucraina, migliaia di cittadini sono scesi in piazza per manifestare contro il loro presidente Volodymyr Zelensky.
La manifestazione è partita dopo l’approvazione di una legge che mina l’indipendenza di due agenzie fondamentali nella lotta alla corruzione: l’Ufficio nazionale anticorruzione dell’Ucraina – Nabu e la procura specializzata – Sapo, mettendole sotto il controllo del procuratore generale Ruslan Kravchenko, nominato dal presidente. La corruzione è una questione estremamente importante e dolorosa in tutto lo spazio post-sovietico. Una manifestazione pacifica, a cui hanno preso parte veterani, famiglie dei soldati e tanti giovani che difendono al fronte il futuro del proprio Paese. E con una corruzione sistemica, un futuro semplicemente non può esserci. I manifestanti denunciano un attacco alla democrazia e alle libertà civili. Viene chiesto a Zelensky di porre il veto al provvedimento, temendo un ritorno agli abusi della presidenza di Viktor Yanukovych. È importante che l’investigazione e l’accusa siano indipendenti dal potere politico, che spesso rappresenta al tempo stesso l’obiettivo e il cliente di tali strutture. È evidente che la società ucraina ha reagito in modo così forte con motivazioni ben precise.
Anche in Russia la corruzione ha un carattere sistemico, anzi, essa rappresenta il fondamento stesso della dittatura mafiosa di Putin. Un sistema in cui tutti sono legati tra loro. Per ciascuno si può trovare un fascicolo penale nel caso decidesse improvvisamente di andarsene o di manifestare autonomia. Il sistema, di tanto in tanto, sacrifica “i suoi”, quando le violazioni corrotte diventano talmente eclatanti da mettere in dubbio la sicurezza dello Stato stesso. Un caso emblematico è stato l’apertura di un procedimento penale contro il governatore della regione di Kursk, Aleksey Smirnov, accusato di appropriazione indebita di un miliardo di rubli (10 milioni di euro) destinati alla costruzione delle fortificazioni difensive al confine con l’Ucraina. L’assenza di tali fortificazioni ha permesso all’esercito ucraino di penetrare senza ostacoli nel territorio russo. E l’ex governatore della regione di Kursk, Roman Starovojt, nominato ministro dei trasporti da Putin nel maggio 2024, sotto il quale erano iniziati i lavori di costruzione delle fortificazioni, due settimane fa si è tolto la vita o forse è stato ucciso. Questo fatto clamoroso non ha suscitato alcuna reazione da parte della società civile in Russia. Perché ormai essa non esiste più. La dittatura putiniana, sfruttando lo stato di guerra, con l’aiuto della polizia e dei servizi speciali, ha talmente terrorizzato la società russa che qualsiasi forma di protesta, anche la più innocua e insignificante, può costare a chi vi partecipa fino a 10, se non 15 anni di carcere. Questa è la Russia dopo il colpo di stato costituzionale compiuto da Putin nel 2020. Eppure ancora nel 2021 si registravano proteste di massa nelle grandi città russe, legate all’arresto di Alexey Naval’ny, tornato dalla Germania dopo essere stato curato in seguito all’avvelenamento organizzato dall’Fsb durante un suo viaggio nelle città della Siberia.
Che contrasto netto osserviamo oggi tra due Paesi post-sovietici. Sia in Russia che in Ucraina vige lo stato di guerra. Ma in Ucraina la società civile, nonostante i divieti, è ancora in grado di scendere in piazza. E ciò che colpisce è che non trova davanti a sé reparti speciali in uniforme blindata come “cosmonauti”. Anzi, il presidente Zelensky, vedendo la reazione accesa della società, ha già cercato di trovare un compromesso e ha ordinato un passo indietro rispetto al decreto da lui firmato che prevedeva lo scioglimento e la riorganizzazione delle strutture anticorruzione. In Russia, invece, osserviamo una condizione collettiva di terrore: un popolo paralizzato dalla paura dell’arresto per qualsiasi manifestazione di dissenso. E tutto ciò che resta, in simili circostanze, è un grido silenzioso.
La società civile in Ucraina non è solo viva: nonostante tutto il dolore e le perdite della guerra, è ancora in grado di reagire ai cambiamenti politici che possono danneggiare il popolo. E il potere tiene conto di questa reazione. Le foto delle proteste di massa nel centro di Kiev suscitano subito stupore e domande – com’è possibile? C’è la guerra, ci sono continui attacchi dei droni russi. Eppure, anche all’interno di un Paese devastato dalla guerra, nella coscienza collettiva rimane vivo l’ideale di uno Stato democratico, aperto e trasparente.
Nel frattempo, in Russia assistiamo all’opposto: una struttura mafiosa chiusa alla maggioranza, dove la protesta è impossibile anche per il semplice fatto che spesso la gente non sa nemmeno cosa stia accadendo all’interno del potere. E “grazie” a un sistema di controllo poliziesco estremamente efficiente, la condizione del popolo russo è segnata dalla paura dell’arresto per qualsiasi forma di dissenso.
Foto AP/Alex Babenko/LaPresse
Cosa fa VITA?
Da 30 anni VITA è la testata di riferimento dell’innovazione sociale, dell’attivismo civico e del Terzo settore. Siamo un’impresa sociale senza scopo di lucro: raccontiamo storie, promuoviamo campagne, interpelliamo le imprese, la politica e le istituzioni per promuovere i valori dell’interesse generale e del bene comune. Se riusciamo a farlo è grazie a chi decide di sostenerci.