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Solidarietà & Volontariato

Io, Gianni Bugno volo più di prima

È stato uno degli ultimi campioni a far sognare gli appassionati italiani di ciclismo. A qualche anno dal ritiro ha deciso una svolta nella sua vita: diventare elicotterista

di Paolo Manzo

Eravamo abituati a vederlo volare sui tornanti dell’Alpe d’Huez, impugnando il manubrio della sua fida Bianchi. Da qualche mese, invece, ha messo da parte la bici ed è passato alla cloche dell’elicottero. In ogni caso Gianni Bugno vola sempre alto; ha semplicemente cambiato mezzo di trasporto. L’ex campione del mondo su strada, infatti, lavorerà fino ad ottobre al servizio di pronto intervento del 118 della Regione Piemonte. Ottenuto il brevetto da pilota, Gianni ha voluto tagliare i ponti con il passato e coronare un sogno che lo accompagnava sin da bambino, quello di pilotare un elicottero. E ora può finalmente dirsi felice anche perché aiuta chi è in pericolo di vita «anche se spesso si arriva in tempo solo per raccogliere i cadaveri, come durante il rally della Lana, a Biella», dice mestamente, «ero in servizio…è stata una tragedia ma non c’è stato nulla da fare. Sono morti tutti e quattro sul colpo. Una famiglia distrutta. Terribile». Nel decimo anniversario dell’approvazione della legge italiana sul volontariato, Gianni è sicuramente lo sportivo più adatto da intervistare. «Ho sempre cercato di aiutare chi soffre, correndo senza ingaggio in numerosi circuiti il cui incasso era devoluto in beneficenza», ricorda regalando i premi ad associazioni che operavano nel sociale, visitando i malati gravi, spesso bambini, negli ospedali e cercando di dare una mano a chi aveva più bisogno. Ma tutto il nostro del pedale è a stretto contatto con chi opera nel sociale. Basti pensare all’iniziativa della Gazzetta dello Sport durante l’ultimo Giro d’Italia: regalare biciclette ai bimbi poveri dell’Africa». Vita: Come si svolge una giornata tipo con il 118? Gianni Bugno: Sono in servizio per 15 giorni consecutivi al mese, dalle otto di mattina alle nove di sera per un totale di 13 ore. Al mio fianco c’è il comandante Cannas, un medico, una guida del Cai, un tecnico ed un’infermiera. Siamo sempre pronti. In attesa di una chiamata di emergenza. Quando arriva l’allarme partiamo immediatamente, una volta decollati ci danno le coordinate predefinite e tutte le altre informazioni del caso per poter essere efficienti ed efficaci. Vita: Ha già fatto interventi in autostrada? Bugno: Certo, sia sulla Torino – Milano che sulla Torino – Savona. Spesso anche in montagna e su strade secondarie, come nel rally di Biella. Interveniamo dappertutto in modo rapido, è uno dei vantaggi del soccorso aereo, non ci sono problemi di ingorghi. Vita: È di questi giorni la dichiarazione del ministro delle Infrastrutture Lunardi di elevare il limite di velocità a 160 chilometri l’ora. Lei è d’accordo? Bugno: Dipende su che autostrada, in quali tratti e con quale mezzo. La mia macchina non ci arriva nemmeno ai 160 e poi preferisco partire qualche minuto prima, piuttosto di rischiare la pelle mia e degli altri. Il limite, in ogni caso, deve essere uguale per tutti, non si può differenziare tra macchina e macchina, come per i Tir e i camion. Se poi la sede stradale è bagnata, anche la carreggiata a tre corsie, non è così sicura. Io ci andrei cauto con l’innalzamento del limite sopra i 130. Vita: Che sensazione prova quando va in soccorso di chi è in pericolo di vita? Bugno: Ti senti veramente utile. È bellissimo coronare il mio sogno di volare e, in più, aiutare gli altri. Vita: Ha mai avuto attimi di sconforto? Bugno: Intervenendo con l’elicottero del 118 sei sempre preparato ad affrontare situazioni gravi o, comunque, in zone difficilmente raggiungibili da mezzi di soccorso più tradizionali, come l’ambulanza. Devi essere sempre pronto al peggio. Bene o male io sono preparato a portare l’équipe medica sul posto. Dopo tocca a loro. Io devo solo pensare ad arrivare il più presto possibile sul luogo degli incidenti. Non c’è tempo per provare sconforto. Vita: Lei è direttamente a contatto con il dolore e la sofferenza, spesso con la morte. Un’esperienza che l’ha cambiato? Bugno: No, sono sempre me stesso. Certo sto conoscendo una realtà differente da quella della bici. Vita: Chi la conosce da tanti anni cosa dice della sua scelta? Bugno: Quella del 118 è stata senz’altro una parentesi di vita fondamentale, mi ha fatto maturare sia dal punto di vista professionale che umano. La gente mi chiede sempre il perché e il per cosa delle scelte che faccio. È una professione che amo, credo in ciò che faccio, ad ottobre mi scade il contratto e ancora non so se verrò riconfermato. Certo che resterei volentieri. Vita: In Italia sono circa 700 mila le persone che dedicano due pomeriggi la settimana a fare qualcosa per gli altri gratuitamente. Vuol mandare loro un messaggio? Bugno: Bravissimi! Ho una stima profonda e una grande ammirazione per chi dedica il proprio tempo a fare del bene, in modo disinteressato. La realtà in cui sono inserito oggi mi permette di conoscere moltissime di queste persone, che fanno del volontariato una missione. Lavorano benissimo e sono un supporto ottimo ed indispensabile per chi, come noi, lavora al 118 con l’elicottero. Siamo complementari. Vita: Sicuramente il ciclismo è lo sport più popolare e sociale che esista in quanto non si paga per vedere passare i corridori, non esiste la pay per view ed è immune dalla violenza da stadio. Dopo il blitz del Giro, però, il problema doping per il ciclismo italico ha assunto una dimensione inquietante. Come vede il futuro di questo bellissimo sport? Bugno: Sicuramente non morirà e continuerà a richiamare tanta gente. Certamente tocca a chi è attore protagonista, partendo dal Presidente della Federazione sino all’ultimo degli atleti, ridare credibilità al mondo del ciclismo. In Italia ed all’estero. Sono loro che ci lavorano, ci guadagnano e, pertanto, devono attivarsi in tal senso. Trilla il telefono della sala operativa, c’è bisogno dell’elicottero in alta Val Susa, incidente stradale, auto contro camion, c’è pericolo di vita per alcune persone. Tocca a Gianni guidare, il comandante, suo coetaneo, lo guarda ma gli lascia fare. Ormai è una sicurezza. E Gianni, come all’epoca dei Giri e dei Tour, ci lascia in un battibaleno. Come quando ci sfrecciava accanto in bici e noi a spellarci le mani sui tornanti alpini, immobili.


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