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Istruzione professionale, la riforma necessaria che non ha fatto i conti con i prof in esubero

Il Consiglio dei ministri ha approvato la riforma degli istituti tecnici e professionali. Un cambiamento di cui c'era grande necessità ma che non sarà così facile da realizzare...

di Giovanni Biondi

La riforma dell’istruzione tecnica e professionale che è stata annunciata dal ministro Giuseppe Valditara completa un iter che era già stato avviato dal governo Draghi e di cui c’era bisogno. I contorni della riforma non sono ancora definiti, ma le ragioni per intervenire in questo segmento del sistema scolastico erano ormai note ed urgenti. Tra le competenze in uscita da questi percorsi e le esigenze del mondo del lavoro si era creato infatti ormai un solco profondo, che lo sviluppo tecnologico di questi ultimi anni aveva accentuato.

Le indagini internazionali ma anche i molti studi usciti in questi ultimi anni hanno certificato la distanza insostenibile tra scuola e mondo del lavoro. Già nel 2018 un’indagine di Alma Laurea pubblicata poi nel 2020 evidenziava come per il 72% degli studenti usciti dagli istituti professionali le competenze acquisite con il diploma fossero inutili nel lavoro. Andava ancora peggio per quelli usciti dagli istituti tecnici che nell’80% dichiaravano che le competenze acquisite nel percorso di studi erano poco o del tutto inutili. «Sebbene si tratti di dati di percezione, le implicazioni restano preoccupanti e rivelano che la scuola – perfino quella pensata e realizzata con la vocazione di preparare al lavoro – di fatto non riesce ad accompagnare gli studenti nel mondo lavorativo, scaricando sugli interessati l’onere di una riconversione professionale in corso d’opera», si legge in Scuola, i numeri da cambiare (Fondazione Rocca, Giunti, 2022); un onere che in molti casi si dovevano assumere le imprese.

L’80% degli studenti usciti dagli istituti tecnici dichiaravano che le competenze acquisite nel percorso di studi erano poco o del tutto inutili nel lavoro. Lo stesso dice il 72% degli studenti usciti dagli istituti professionali. L’onere di una riconversione professionale in corso d’opera ricade oggi sulle imprese

Giovanni Biondi

È chiaro che quello che oggi si richiede ad un giovane che entra nel mondo del lavoro è molto simile a quello che alcuni anni fa si richiedeva ad un dirigente: saper prendere delle decisioni, analizzare i problemi, saper lavorare in squadra ecc… I curricoli degli istituti professionali e tecnici escono frammentati da una serie di fattori anche storici. Prima di tutto in questi percorsi il numero delle materie è superiore in confronto, ad esempio, a quello dei licei e, di conseguenza, l’orario scolastico risulta molto frazionato. Tutto questo deriva dall’idea che un’ora la settimana di una materia possa contribuire ad arricchire le competenze o addirittura a caratterizzare il percorso di studio in quel settore. Percorsi ed orari risultano così dei grandi puzzle nei quali si mescolano materie cosi dette di base ad altre che dovrebbero invece caratterizzare gli indirizzi specifici dei vari istituti. Il risultato è che il tempo dedicato sia alle une che alle altre finisce per essere largamente insufficiente per raggiungere il livello di competenze utili al mondo del lavoro.


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Fare delle scelte che dovrebbero essere più nette in modo da puntare allo sviluppo di specifiche competenze contrasta però con l’organico di ruolo che si ha a disposizione. Nel momento in cui si volessero aprire nuovi indirizzi o potenziare alcune materie magari eliminandone altre ci troveremo a dover fare i conti con insegnanti di ruolo su cattedre e materie da eliminare che però non possono essere licenziati e che è difficile convertire. In passato, ad esempio, è successo lo stesso con gli insegnanti di dattilografia che si è provato a ricollocare nel settore tecnologico o digitale con risultati molto “parziali”. Quindi l’organico rappresenterà un ostacolo alla trasformazione degli istituti professionali e tecnici, tanto che il ministro propone di ricorrere a professionalità esterne per coprire l’insegnamento in settori nuovi dove non esistano competenze interne alla scuola. Resta comunque il problema dei docenti di ruolo di materie che dovranno essere tagliate e che resteranno in carico al sistema.

Fare delle scelte che dovrebbero essere più nette in modo da puntare allo sviluppo di specifiche competenze contrasta con l’organico di ruolo che si ha a disposizione. L’organico esistente rappresenterà un ostacolo alla trasformazione degli istituti professionali e tecnici

Giovanni Biondi

L’idea di ricorrere a docenti esterni, anche provenienti dalle aziende, è sperimentata con successo dagli ITS. In questo caso però si tratta di strutture agili, che non hanno personale di ruolo e che reclutano le risorse in base agli obiettivi, modulando anche l’orario e le attività laboratoriali in rapporto alle competenze da raggiungere. Partire da una struttura ingessata come la scuola è molto più difficile se non si affrontano alcuni nodi strutturali come l’autonomia e la valutazione che invece restano irrisolti.

La proposta di potenziare stage in azienda, alternanza scuola lavoro e di collegare gli istituti agli ITS è certamente determinante. Gli ITS hanno dimostrato di poter offrire una risposta efficace per le esigenze del mercato del lavoro quindi rappresentano il naturale proseguimento degli studi per chi esce dai tecnici e professionali. Anche qui nascono però problemi nuovi in rapporto al numero e alla tipologia dei corsi disponibili attualmente nei percorsi ITS rispetto al numero dei ragazzi che escono ogni anno da questi istituti. Non solo questo: esiste un mismatch tra la varietà degli indirizzi degli istituti tecnici e professionali e i settori coperti dagli ITS che in alcune regioni sono davvero limitati. Quindi i ragazzi che usciranno da questi percorsi quadriennali faranno fatica a trovare un “naturale” sbocco per proseguire gli studi in quello stesso settore.

Sulla carta tutto è logico, ma purtroppo l’esigenza di flessibilità e di rinnovamento si scontra con un modello scolastico ingessato

Giovanni Biondi

Quindi tutto logico sulla carta e certamente necessario per smuovere percorsi che dovrebbero formare gli studenti per il mondo del lavoro e che invece sono sempre più lontani dalle esigenze delle aziende. Purtroppo però l’esigenza di rinnovamento, di flessibilità che non solo il mondo del lavoro ma anche la rapidità delle trasformazioni della nostra società richiede, si scontra con un modello scolastico rigido, ingessato di cui anche questa filiera formativa fa parte. Non sarà facile realizzare gli obiettivi della riforma ma è già molto importante che questo percorso si sia avviato.

Foto di Gaetano Lo Porto/Sintesi


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