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Il volontariato? Tutti lo abbiamo nel dna, ma non lo sappiamo

Angela Martino è la nuova presidente di Aism. L'associazione dedicherà tutto il mese di settembre al volontariato. «Io stessa ero restia a fare volontariato, poi sono diventata una volontaria H24. La molla scatta nel momento in cui capisci che fare volontariato è andare alla scoperta dell’altro e di se stessi, non fare una prestazione».

di Sara De Carli

Diecimila volontari nel 2015, di cui la metà in associazione da tre anni. Mille nuovi volontari formati ogni anno in Accademia Aism. Sono loro il cuore, l’anima e le braccia di Aism, l’Associazione Italiana Sclerosi Multipla. Nelle sezioni, nelle piazze per gli eventi di sensibilizzazione e raccolta fondi, sul web: il volontariato in Aism ha tanti volti. Angela Martino, 52 anni, insegnante di Vibo Valentia, già consigliere nazionale, da poche settimane è la nuova presidente nazionale di Aism e alla vigilia di un mese di settembre interamente dedicato al volontariato, racconta come è stata conquistata dall’associazione e diventata una volontaria H24.

Lei ha detto che due cose hanno cambiato la sua vita, la SM e AISM. Perché?
La SM me l’ha cambiata come è facile immaginare, perché nel 2007 quando mi sono ritrovata in mano un foglio con scritta la diagnosi c’è stato ovviamente un impatto forte. La botta c’è stata però ho razionalizzato presto, intanto perché avevo già più di 40 anni e un lavoro, poi perché l’incontro con AISM mi ha permesso di cambiare punto di vista. Provo a spiegarmi: un conto è conoscere io la diagnosi, un altro è dirlo agli altri. Ho realizzato la differenza quando l’ho comunicato ai miei genitori, a cui inizialmente avevo nascoso tutto. Mi sono resa conto dell’effetto che le parole “sclerosi multipla” avevano su di loro e immaginato quale effetto potessero avere su altre persone… da allora questa consapevolezza non mi ha più lasciata. Per esempio io uso stampelle molto colorate, appariscenti, Antonella Ferrari è stata la prima ma anche io le ho sempre molto apprezzate: è la cosa di me che si vede per prima, è un segnale scherzoso, anche per i bambini che si avvicinano incuriositi, non hanno sovrastrutture e fanno domande e tu spieghi… Diventa un modo per veicolare un messaggio, favoriscono un passaggio culturale. È importante dare un messaggio di speranza per i giovani, per chi ha una diagnosi recente: non credo che di SM si debba sempre parlare in termini seriosi, si può parlarne anche con la sana leggerezza di Calvino.

E l’incontro con AISM?
L’incontro AISM è stato inizialmente con la sezione provinciale di Vibo Valentia. In ospedale, a Varese, dove avevo avuto la diagnosi, un neurologo mi aveva parlato subito dell’associazione, così ho telefonato senza aspettative, solo per curiosità. Dopo un anno mi hanno proposto di partecipare a un incontro associativo a Roma, “magari ti appassioni a questo mondo”, anche se io ero un po’ restia all'idea di fare volontariato. Da allora sono volontaria H24: è stato determinante l’incontro con persone appassionate e propositive come Roberta Amadeo (la presidente precedente, ndr), che mi hanno fatto pensare che forse anche io potevo dare un contributo. È il messaggio che cerco di far passare con i nuovi volontari, perché il volontariato nel dna un po’ lo abbiamo tutti, ma a volte abbiamo anche pregiudizi sul troppo tempo che ci potrebbe venir richiesto… la molla scatta nel momento in cui capisci che fare volontariato è andare alla scoperta dell’altro e di se stessi, non fare una prestazione. Facendo volontariato ho scoperto di avere una passione sociale, la voglia di impegnarmi per qualcosa che non riguarda solo me stessa ma anche gli altri: questo in termini empatici, di mettermi a disposizione di chi vive la mia stessa condizione, ma anche razionali, la scoperta di avere competenze e di farci qualche cosa… Diventa un modo per dare valore e senso al proprio percorso.

Lei è stata formatore dei ragazzi in servizio civile e formatore territoriale dei volontari della Calabria. Che cosa vede nei giovani che si avvicinano ad Aism?
Il volontariato in Aism è cresciuto tanto, i ragazzi sono molto interessati al contatto diretto con le persone con SM. Sono spinti dal desiderio di costruire relazioni con le persone e questo fa la differenza. Oggi è cambiata la visione, si sentono parte di una progettualità: il volontario sa che non fa solo l’assistente, sa che viene ad affermare dei diritti e insieme alle persona con SM progetta momenti di empowerment. Quando io faccio formazione ai ragazzi in servizio civile, dico sempre che la loro ottica deve essere questa: loro affermano un diritto anche quando fanno supporto alla mobilità di una persona o spingono la sedia a rotelle. Se ti metti in questa prospettiva tutto diventa non la risposta al singolo ma la risposta alla collettività. Ragionare in ottica di diritti, ovvero di risposte per tutti, significa questo. Poi è vero che tra i ragazzi in tanti mi dicono che la molla per avvicinarsi a noi è stata la curiosità, che può essere interpretata sia in senso positivo sia negativo: se è scoperta di sé e dell’altro è un motore, che poi noi dobbiamo indirizzare e gestire. “Ma tu perché lo fai?”, mi chiedono spesso… ma io come posso chiedere ad altri di essere volontari in Aism se io per prima non mi metto in gioco? Posso coinvolgere gli altri solo se io per prima sono coinvolta, emotivamente ed empaticamente, solo allora posso dire a un altro “mettiti in gioco anche tu”.

Presentandola, Roberta Amadeo ha detto di lei: «È una persona concreta, non si spaventa per le battaglie da affrontare per cambiare la realtà della sclerosi multipla. Ha imparato a trasformare le difficoltà in opportunità. Credo che Angela rappresenti oggi la condizione delle SM più di me: io sono in sedia a rotelle, lei a 52 anni combatte contro i cento sintomi di questa malattia ma lavora e sta in piedi. Rappresenta bene il fatto che si è allungato molto il tempo in cui si vive senza una disabilità importante». Conta?
Sì, ma questo non significa sminuire la condizione di chi, con la SM, vive una disabilità elevata. Però se è vero che di SM non si muore, è anche vero che è una condizione di vita che accompagna per lunghissimo tempo. Un presidente nazionale non mette in campo la propria SM ma la SM di tutti, la mia visione deve essere davvero a 360 gradi, dalla SM pediatrica alle forme progressive, se parliamo di diritti è ovvio che questi devono essere per tutti, anche per chi vive una condizione di maggior disagio. È vero però che pensando ai giovani – insegno francese in una scuola secondaria di primo grado a Gioia Tauro, sono proiettata verso i giovani – la sottolineatura di Roberta dà un messaggio di speranza, dice attenzione la SM non è immediatamente invalidante. Della sedia a rotelle a volte anche io ho necessità e quando mi serve la uso: anche questo è un messaggio importante, concreto, perché in alcuni casi le persone non capiscono che non è un miracolo il fatto che in alcuni momenti io riesco a camminare e in altri no. È un messaggio da far passare. Io uso la sedia quando non ce la faccio oppure quando questa diventa strumento ulteriore di autonomia.

Rispetto all’Associazione, quali sono i suoi obiettivi?
Mi piace pensare che il presidente non sia da solo a fare e decidere: con me c’è una squadra di lavoro a cominciare dai 15 consiglieri nazionali. Andremo a fare un piano strategico 2016-19, che immagino avrà per obiettivi quelli della Carta dei diritti, e su quella base definiremo le azioni sul territorio. Il valore aggiunto di Aism è l’avere una rete territoriale capillare, che in maniera operativa declina la strategia nazionale sui territori, in modo che gli obiettivi strategici non restino solo enunciati sulla carta. Sicuramente l’empowermet è un obiettivo principale.

Lei ha detto che la SM non deve essere un semaforo rosso che ferma la vita.
Esatto. O meglio, ci sono momenti della vita in cui vai avanti tranquillamente e altri in cui la SM ti costringe a un "piano B", ma questo non significa che essa sia un semaforo che ti blocca. Magari devi crearti una strada diversa, aggirare l’ostacolo. In questo l'essere insieme ad altri è importantissimo. Voglio raccontarle un fatto personale: nello stesso periodo in cui io ho avuto la diagnosi di SM, mio fratello ha avuto la diagnosi di una malattia rara, orfana di farmaci e ricerca. Io ho pensato che ero fortunata ad avere una patologia così diffusa, con tante attenzioni, con la ricerca, le istituzioni, un’associazione così forte alle spalle, un’agenda globale. Tutto questo ti rende forte. Sapere che il percorso non lo fai da sola ma insieme a un esercito di volontari e altre persone con SM che combatte quotidianamente le tue stesse sfide, ti fa capire che puoi raggiungere gli obiettivi. Sa quel detto? “Se vuoi arrivare primo corri da solo, se vuoi andare lontano cammina insieme agli altri”: in Aism lo facciamo davvero.