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Le scuole a settembre devono riaprire, è questione di diritti

«C’è un problema strutturale? Troviamo soluzioni strutturali o logistiche. Riapriamo i vecchi plessi, facciamo i turni, dimezziamo le classi, assumiamo personale… La risposta non può essere eliminare le persone, segregandole. Forse non ce ne rendiamo conto, ma stiamo ledendo i diritti dei bambini», dice Samantha Tedesco. Che chiede un esperto di infanzia nella task force del Governo per la Fase 2

di Sara De Carli

C’è un gran fermento di idee e pensieri per capire come potremo salvare le vacanze e andare in spiaggia, restando sicuri. Sul tappeto ci sono diverse ipotesi, dagli ombrelloni a tot metri alle cabine in plexiglas di 4,5 m per lato attorno a ogni coppia di ombrelloni. Per la scuola invece quasi si da per scontato che a settembre non riapriranno, come se non ci fosse possibilità di nulla di più intelligente da dire, da pensare, da fare. «C’è una visione assolutamente adultocentrica, che i bambini nemmeno li vede in questa emergenza. E siccome non li vede, dà prospettive di questo tipo. Se la visione non fosse così adultocentrica, una risposta così non verrebbe neanche in mente», afferma Samantha Tedesco, Responsabile Programmi e Advocacy di SOS Villaggi dei Bambini.

Pariamo dalla fase emergenziale. I bambini sono stati dimenticati: c’è voluta una mobilitazione per rendere possibile acquistare i pennarelli, per avere una circolare che chiarisse che possono uscire da casa almeno per i famosi 200 metri, adesso ci sono polemiche sul fatto che riaprano i negozi di abbigliamento per bambini…
I bambini in questa emergenza non sono stati visti. Anzi, sono stati visti come untori, coloro che andavano segregati perché erano portatori del virus, quando i dati dicono che nonostante le scuole siano chiuse da quasi due mesi, almeno qui in Lombardia, il contagio va avanti. La chiusura delle scuole è stata la decisione più semplice. Senza pensare che per molti bambini la casa non è affatto un luogo sicuro e come organizzazione, insieme ad altre realtà, siamo intervenuti per dirlo. Alcune regioni si sono attivate bene rispetto al proseguimento di alcuni interventi diurni legati a famiglie vulnerabili, ma non tutte.

Non vedere i bambini cosa comporta?
Significa che i bambini non sono considerato come soggetti di diritti propri, con una loro specificità. Nonostante 30 anni di Convenzione Onu i bambini sono ancora figli di, alunni di… Forse non ce ne rendiamo pienamente conto, ma si stanno ledendo i loro diritti: il diritto all’istruzione, al gioco, alla socializzazione anche alla protezione perché ci sono case dove non sono protetti. Nella task force che progetterà la fase 2 non c’è una figura esperta di infanzia e adolescenza, mentre è importante che nel momento in cui si devono prendere le decisioni ci sia qualcuno che abbia in mente i bambini e i loro diritti, quali sono le azioni che fare per tutelare i loro diritti, pur mantenendo gli standard di sicurezza. Ci vuole un diciottesimo esperto in quella task force.

Non finirebbe che ci vuole un esperto per ogni area?
Non è mettere un esperto per area. Pensiamo che come si è riconosciuta la disabilità come area che ha bisogno di competenze e attenzioni specifiche, lo stesso sia necessario farlo per i bambini. Non ci sono ricetti facili, se non ci sono persone competenti sui loro diritti avviene quel che è avvenuto finora: avremo sempre una visione adultocentrica e si danneggiano i bambini.

Quali sono le preoccupazioni principali?
Una è sull’estate. Cosa immaginiamo? Andiamo avanti così, con i bambini a casa, i nonni fuori gioco e i genitori al lavoro? Chi rimane a casa con i bambini? È un tema grosso per le famiglie. Ma soprattutto, dal punto di vista dei bambini, possiamo davvero pensare a cinque, sei mesi a casa, senza socializzare con nessuno? È possibile che non si possa pensare a una soluzione diversa dal segregare i bambini in casa? Dobbiamo garantire al contrario spazi educativi e di socializzazione presidiati. Non ho in mente soluzioni da proporre, so solo che chiudere i bambini in casa ancora non è giusto né pensabile. E che le amministrazioni locali non possono essere lasciate sole a decidere, ognuno per conto proprio, se fare o no i campi estivi. Servono linee di indirizzo, che possono poi essere adattate ai vari territori. Stanno pensando a come regolamentare gli stabilimenti balneari, va benissimo, ma qualcuno sta pensando a come riaprire i centri estivi? Siamo a fine aprile, non si può rinviare ulteriormente il pensiero.

Lo stesso vale per la riapertura delle scuole.
Esatto. Il solo ipotizzare che la scuola possa non riaprire a settembre perché c’è un problema di distanze, ci dice che la visione è adultocentrica. C’è un problema strutturale? Troviamo soluzioni strutturali o logistiche. Riapriamo i vecchi plessi, facciamo i turni, dimezziamo le classi, assumiamo più personale… La risposta non può essere eliminiamo le persone, segregandole. È vergognoso che si sia anche solo pensato di non tornare a scuola a settembre perché non si può garantire che non ci siano le “classi pollaio”. Andiamo avanti con la didattica a distanza? Nemmeno quella è una risposta, perché l’educazione è relazione.

Foto Unsplash


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