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In Aspromonte la comunità si mette al centro della scena

In questi due anni di pandemia il Centro Sperimentale di Arti sceniche Dracma di Polistena ha sperimentato una nuova ricetta in cui l’allestimento è a cura del quartiere, gli attori professionisti si mescolano agli allievi e i testi sono scritti a più mani

di Maria Pia Tucci

L’allestimento è a cura del quartiere. Gli attori professionisti si mescolano agli allievi che hanno preso parte ai laboratori. I testi sono scritti a più mani e vivono della contaminazione del luoghi: incontri, ambiente, persone.

A scrivere i titoli di coda della messa in scena della produzione della residenza teatrale di Polistena, città d’arte con poco più di diecimila abitanti nell’Aspromonte reggino, ci si imbatte in un lavoro sociale che merita di essere raccontato.

In due anni la pandemia da Covid-19 ha quasi disintegrato un intero settore culturale ma il Centro Sperimentale di Arti sceniche Dracma, ha portato a termine il percorso dei tre anni della seconda residenza teatrale (2018- 2020) con un concept calato perfettamente nel clima del momento: le “rEsistenze”.

Progetto che Dracma ha usato per raccontare in un solo momento le difficoltà di persone comuni e operatori culturali, durante la pandemia.

«Un doppio intreccio tra la parola Residenza e Resistenza – dicono i responsabili della compagnia – che ci ha portato a continuare la nostra attività di laboratorio teatrale e di arti, in questa fase di pandemia, seppur riducendo gli ingressi, per dimostrare che un intero settore poteva e doveva continuare ad esistere, continuando a contaminare il territorio per restituire conversazioni e attenzione ai temi sociali che erano al centro della nostra triennalità».

Donna (2018); Bi-Sogni (2019); Diversità (2020): questi temi del percorso affrontato che ha portato a Polistena nove residenze artistiche, laboratori aperti e diffusi e restituzioni sceniche tra il centro storico e strade solitamente meno frequentate. Ed è quello che è accaduto di recente con la rassegna Popularia 2021, andata in scena nei quartieri in trasformazione della città.

Un modo per riscoprire scorci e ridare parola e partecipazione all'intero tessuto sociale «è in fondo il fine ultimo per il quale nascono le residenze – continuano a raccontare – quello di mescolare le visioni e di conoscere e riconoscere alle arti, al teatro, un ruolo determinate nel progresso sociale e culturale dei luoghi. L’idea degli artisti che colgono e creano rapporti come comunità intermittenti, nomadi che si incontrano attraverso i laboratori teatrali ma anche tra persone che vivono e fanno il territorio».

Così accade che a Polistena il territorio dialoga con il teatro, che la residenzialità degli attori provenienti da tutta Europa, non sia circoscritta ai camerini e al palcoscenico dell’Auditorium teatro Comunale, ma che le piazze del borgo antico, le scalinate e gli affacci diventino luogo di incontro e di racconto.

Che persone di ogni età aderiscano ai laboratori e che durante la preparazione della messa in scena del progetto residenziale si affacci ad assistervi un pubblico numeroso: « tra i centocinquanta e le 200 persone circa » – ci dicono ancora – questi in numeri prima del Covid « E poi è capitato non di rado, che durante le restituzioni pubbliche del nostro lavoro, fatto non solo di laboratori d’ interpretazione, ma anche di momenti in cui il teatro viene improvvisato con le cene a tema piuttosto che con le sperimentazioni artistiche, le persone si siano sedute con gli artisti e che la cena sia diventata la scena di un copione dove il racconto personale e sociale di avvenimenti passati sono diventate scenografia e drammaturgia del presente».

Se dalla sua nascita (2009) il Centro Sperimentale di arti sceniche fondato dall’attore e regista Andrea Naso che ne continua la direzione artistica, si è posto l'obiettivo di portare al centro dell'azione culturale il teatro come esercizio di comunità, questo concetto si è ancor più amplificato da quando, nel 2013 è nata la prima residenza teatrale.

Oggi, in questa fase post-pandemica, gli interrogativi legati alla riapertura e alla ripresa trovano sostanza nelle ultime residenze previste in un anno codiddetto ponte che il MiC ha concesso prima del nuovo bando ministeriale, legate al tema “Sacro e Profano”.

E così il teatro continua ad essere pungolo e visione, con domande che scavano nell' animo per restiture senso sociale.

La conversazione con il gruppo della compagnia teatrale si chiude infatti con domande che lasciano spazio alla riflessione intim e che, inevitabilmente si trasformeranno in una nuova messa in scena: «Quanto, anche grazie al coronavirus, sta cambiando la percezione e il bisogno generale della sfera sacra e di quella profana nella società? In quale forma la ricerca umana del sacro è impregnata di profano? Come il teatro può diventare un nuovo rito che reintegra l’umano dal trauma e traccia un cammino verso una nuova dimensione di equilibrio tra uomo e natura, luogo del sacro per eccellenza?»