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I profughi bambini che dall’Italia già se ne vanno

I Tribunali per i Minorenni stanno considerando minori non accompagnati anche quelli arrivati in Italia con il direttore dell'orfanotrofio o i genitori della casa-famiglia in cui vivevano in Ucraina. Nonostante i documenti dicano chiaramente che per la legge ucraina quelli sono i loro tutori. Così c'è già chi è tornato in Polonia, per timore che il gruppo venga diviso e i minori siano affidati ad altri

di Sara De Carli

«Una casa famiglia che noi ospitavamo dall'inizio della guerra, tre giorni fa ha preferito lasciare l’Italia e trovare ospitalità in Polonia. Hanno avuto paura che potessero dividerli dai bambini, non riconoscere le tutele, dividere il gruppo. Ci hanno chiesto di accompagnarli all’aeroporto e ora sono in Polonia. E da Leopoli ci giungono segnalazione di decine e decine di minori degli istituti che vorrebbero venire in Italia, ma i loro responsabili hanno paura che una volta giunti qui, i Tribunali per i Minorenni dividano i minori a loro affidati e li dividano anche da loro. Chiedono garanzie che le tutele siano riconosciute». La testimonianza è quella di Marco Griffini, presidente di AiBi. Sono passati pochi giorni dalla presentazione del Piano Minori sull’accoglienza dei minori arrivati dall’Ucraina e sul territorio italiano la situazione è questa: «I Tribunali per i Minorenni, in larga parte, non riconoscono le tutele regolarmente rilasciate dalle autorità ucraine ai responsabili di istituti e case famiglia, stanno togliendo loro le tutele per affidarle ad altri tutori italiani. In altre parole stanno considerando tutti i minori come minori stranieri non accompagnati, in barba a quanto c’è scritto nel Piano, alla Convenzione dell’Aja ratificata dall’Italia e alla legge 47 del 2017. Venerdì c’è stata una lettera urgente da parte del Ministero della Giustizia ucraino al Ministero della Giustizia italiano in cui si chiede che la magistratura italiana rispetti la Convenzione dell’Aja e si prendano misure contro la separazione dei bambini dalle persone a cui sono stati formalmente affidati dinanzi alla legge ucraina».

AiBi, che lavora da 20 anni in Ucraina, ha un panorama che va da Bolzano a Salerno. Griffini racconta di una mamma affidataria – l’orfanotrofio di tipo familiare è una delle possibili forme di accoglienza in Ucraina per i minori orfani o privi di cure parentali – a Bolzano per cui il consolato d’Ucraina ha confermato al Tribunale per i Minorenni i documenti dei bambini e della donna che è a capo dell’orfanotrofio, chiedendo «di considerare la possibilità di preservare il gruppo, evitando la suddivisione del gruppo e l’affido a terzi o ai servizi sociali». I Tribunali di Napoli e Salerno invece stanno «equiparando correttamente i minori accompagnati dal direttore dell’orfanotrofio o da genitori affidatari in possesso di regolare tutela ucraina a quelli accompagnati da un genitore: non sono MSNA. Hanno tutti i documenti, ovviamente sono in ucraino, vogliamo pensare che chi scappa dalla guerra, prima di scappare, faccia tradurre i documenti in italiano? Stiamo facendo fare traduzioni a tempi di record. Il problema è serio, capisco la prudenza e le ragioni della sicurezza, ma qui ci sono dei documenti, bambini già stressati a cui viene chiesto di andare in Tribunale, genitori affidatari con cui i bambini vivono da anni che vengono bypassati da tutori che i bambini non hanno mai visto. Non può essere questa la nostra accoglienza. E l’Italia non può non rispettare la Convenzione dell’Aja». Un punto, quello relativo al fatto che la Convenzione dell’Aja – che l'Ucraina e l'Italia hanno entrambe ratificato – all’articolo 43 prevede che “i documenti trasmessi o rilasciati in applicazione della Convenzione sono esentati dall’obbligo di legalizzazione o di ogni analoga formalità” già sottolineato dalla professoressa Joëlle Long, esperta di diritto minorile che per l’Università di Torino e del Piemonte orientale coordina un progetto di formazione e sostegno per i tutori volontari di minori stranieri non accompagnati: «Da qui la non necessità di apostille, legalizzazioni etc. Dovrebbe bastare una comunicazione in una lingua veicolare, ad esempio l’inglese, dalle competenti autorità ucraine o una traduzione certificata del documento che conferisce la tutela», ci ha detto.

Anche Silvia Giudici, sindaco del comune di Mulazzano (Lo), quest’oggi è amareggiata. È qui che – dopo una temporanea accoglienza nella bergamasca – ha trovato casa uno dei due gruppi di minori che Aibi ha messo in salvo dalla guerra nelle scorse settimane: sono due genitori affidatari con 9 minori, alcuni fratelli. La casa famiglia è stata accolta in un complesso nel cuore del paese, dove c’è anche la scuola materna parrocchiale. Nello stesso contesto sono state accolte anche tre mamme con bambini, in tutto sono 18 persone. Il paese ha messo in piedi un sistema di spesa sospesa, per poter dare una mano. La struttura, sistemata a tempo di record proprio per accogliere profughi ucraini, è stata battezzata “Casa della Pace”. I bambini avevano pensato a Casa della Gioia, sono stati i genitori affidatari a caldeggiare “Casa della Pace”, perché il pensiero è sempre alla situazione che hanno lasciato a Odessa, a maggior ragione in queste ultime ore. «Siamo andati in Questura lunedì scorso, i minori sono stati provvisoriamente affidati a me come accade sempre, ma i documenti sono chiari. Loro hanno tutte le sentenze relative ai minori, AiBi ha già fatte tradurre tutto, noi ci mettiamo come garanti ma vediamo quanto sia forte l’affezione dei bambini nei confronti di questi genitori che chiamano mamma e papà», racconta la sindaca. Che questa mattina invece aprendo la posta ha trovato la documentazione del Tribunale per i Minorenni, che nomina un avvocato come tutore secondo la legge 47 e convoca i genitori affidatari con i figli in Tribunale, per settimana prossima. Servizi sociali e polizia locale di Mulazzano dovranno preparare una relazione sulla casa e il contesto in cui sono ospitati. «Avevamo iscritto i bambini a scuola, avevamo fissato delle visite mediche: devo mettere tutto in stand by, aspettando il parere del tutore. E soprattutto ora dovrò comunicare questa novità ai genitori affidatari e ai bambini: capisco le garanzie, le tutele… la necessità di vederci chiaro nelle situazioni grigie che ci sono, ma qui ci sono documenti ufficiali ucraini. Sono disponibile a prendermi io la tutela, ci sta che ci sia una figura di garanzia nel territorio, ma quantomeno il sindaco sarebbe una figura che i genitori e i bambini già conoscono, lo comprenderebbero di più. Con un estraneo, invece, capisco che possa scattare in loro il timore su qualcosa di differente che si potrebbe aprire».

Viene in mente quanto ci scriveva nei giorni scorsi una lettrice, avvocato e tutore volontario, sulla necessità di trovare un equilibrio tra garanzie e urgenza della situazione, proprio sull'accoglienza di minori ucraini: «Occorre realismo e capacità di rispondere ai bisogni, approcciando le persone in modo concreto e sostanziale. La crisi dell’Ucraina è uno tzunami che si abbatte su di un sistema che ha già molte criticità interne, ma forse non è un male perché di fronte alla tragedia davanti alla quale stiamo assistendo, la scala delle priorità deve essere riletta. Questo grande problema ci pone davanti nuove sfide che scardineranno forse i vecchi schemi ma acquisteremo un approccio nuovo di operare più realistico, sostanziale, umanamente benefico e economicamente sostenibile. Anche per le istituzioni».

In foto, la casa di Mulazzano


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