Media, Arte, Cultura

Come raccontare la disabilità sui media? I giornalisti si danno una regola(ta)

Si chiamerà “Carta di Olbia” il Protocollo deontologico che guiderà il lavoro delle giornaliste e dei giornalisti che trattano notizie che riguardano o coinvolgono persone con disabilità. A inizio dicembre il documento è stato presentato all'Ordine nazionale dei giornalisti da Giulia giornaliste, Sensibilmente Odv, Uildm e dall'avvocata Sara Carnovali

di Sabina Pignataro

Nelle notizie che riguardano o coinvolgono persone con disabilità sono ancora molto presenti terminologie scorrette, discriminatorie e non rispondenti alle attuali conoscenze scientifiche, narrazioni che oscillano tra il pietismo e il sensazionalismo. Lo testimoniano le numerose osservazioni di associazioni, attivisti e attiviste, professionisti e professioniste che si occupano di disabilità. Per “Combattere gli stereotipi, i pregiudizi e le pratiche dannose concernenti le persone con disabilità, compresi quelli fondati sul sesso e sull’ età, in tutti gli ambiti” e incoraggiare “Tutti i mezzi di comunicazione a rappresentare le persone con disabilità in modo conforme” nasce quindi una nuova Carta Deontologica, la Carta Olbia.

Esiste La Carta di Treviso, (sui diritti dei bambini); la Carta di Perugia (sulla modalità di trattare argomenti di comunicazione sulla salute), la Carta di Roma (concernente richiedenti asilo, rifugiati, vittime della tratta e migranti), la Carta di Milano (per i giornalisti che trattano notizie concernenti carceri, persone in esecuzione penale, detenuti o ex detenuti): la Carta Olbia – quando approvata- sarà proprio dedicata alla rappresentazione delle persone con disabilità nei media, andando a colmare quindi un vuoto normativo del Testo unico dei doveri dei giornalisti.

A inizio dicembre il documento è stato presentato al presidente dell'Ordine nazionale dei giornalisti Carlo Bartoli, che si è detto favorevole. «Una proposta che apprezzo molto: è importante dotarsi di una carta di questo genere – ha detto Bartoli – un gruppo di lavoro dell'Odg si sta occupando della riscrittura del testo unico dei doveri dei giornalisti: la proposta sarà inviata a questo gruppo».

Si chiama Carta di Olbia perché nasce proprio nella città gallurese, nel dicembre 2019, in occasione di un corso sul tema organizzato dall'Ordine dei Giornalisti della Sardegna e Giulia giornaliste, in collaborazione con le associazioni Sensibilmente Odv e Uildm Sardegna, per riflettere e trovare alternative alla commiserazione o alla spettacolarizzazione dei casi di disabilità.

Il lavoro è firmato da Caterina De Roberto, Vannalisa Manca e Susi Ronchi, per Giulia giornaliste Sardegna in collaborazione con Veronica Asara (Sensibilmente Odv), Francesca Arcadu (Uildm, Unione italiana lotta alla distrofia muscolare) e Sara Carnovali, avvocata. (qui l'intervista a Francesa Arcadu su donne e disabilità)

La carta deontologica sarà di grande supporto nella narrazione dei fatti che coinvolgono le persone con disabilità sia nella parte dei principi che in quella del linguaggio. «Il linguaggio su cui Giulia giornaliste lavora da sempre – ha commentato Susi Ronchi, per Giulia giornaliste Sardegna- è uno strumento fondamentale che ci permette di scegliere le parole giuste per una rappresentazione rispettosa In questo modo si riesce a rovesciare il paradigma frutto di pregiudizi e discriminazioni e a costruire una corretta percezione della disabilità nell'ambito di un nuovo modello sociale, attraverso un linguaggio che non ceda a facili pietismi o trionfalismi».

La proposta della Carta si ispira alla Convenzione Onu sui diritti della persona con disabilità, ratificata dall'Italia nel 2009. La Convenzione riconosce la disabilità come "risultato dell'interazione tra persone con menomazioni e barriere comportamentali e ambientali che impediscono la loro piena partecipazione alla società su base di uguaglianza con gli altri" e non come patologia. La persona, quindi, e non la sua disabilità dovrebbe essere al centro della comunicazione. La disabilità andrebbe raccontata solo se rilevante ai fini della notizia.

Sul modo in cui le persone con disabilità debbano essere rappresentate nei media era intervenuto anche Iacopo Melio in questa intervista a Vita.it. «In quanto caratteristica come qualunque altra – aveva spiegato- dovrebbe essere totalmente superfluo ribadire la disabilità di qualcuno quando è fuori luogo rispetto al discorso affrontato o alla situazione vissuta: direste mai che “Marta, ragazza dai capelli biondi, si è laureata con 110 e lode”? A parte il fatto che di persone che si laureano con lode ne abbiamo fortunatamente molte ogni giorno, perciò raccontarlo con un articolo di giornale solo perché Marta ha i capelli biondi (o una disabilità) non fa altro che enfatizzare la sua diversità attraverso una sua “normalissima” caratteristica, discriminandola con tono pietistico e compassionevole come se avesse compiuto chissà quale impresa, eroificandola (si parla, nello specifico, di “inspiration porn”, ma poi il fatto che lei abbia i capelli biondi (o una disabilità) non cambia nulla e non aggiunge niente alla notizia in sé. Perciò dovremmo imparare a chiamare semplicemente le persone con il loro nome, e basta».


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