Sezioni

Attivismo civico & Terzo settore Cooperazione & Relazioni internazionali Economia & Impresa sociale  Education & Scuola Famiglia & Minori Leggi & Norme Media, Arte, Cultura Politica & Istituzioni Sanità & Ricerca Solidarietà & Volontariato Sostenibilità sociale e ambientale Welfare & Lavoro

Politica & Istituzioni

Lisa Noja: politiche sociali, ripensiamo i servizi insieme al Terzo settore

«In tema di sanità e politiche sociali si possono fare molte cose a livello nazionale, ma è a livello regionale che si incide davvero sulla vita dei cittadini. È qui che mi piacerebbe spendermi, so bene cosa non funziona», dice Lisa Noja, capolista del Terzo Polo per il collegio di Milano alle elezioni regionali in Lombardia, in sostegno di Letizia Moratti. Un'intervista a tutto campo, dalla sanità all'housing sociale, da Trenord all'allargamento dello screening neonatale da fare «subito». E al Terzo settore dice: «Sediamoci a un tavolo, immaginiamo come ripensare i servizi»

di Sara De Carli

Le tre cose che vorrebbe veder cambiare presto, in Lombardia, Lisa Noja le ha ben in mente. Una priorità è «che le case della comunità non siano solo gusci vuoti, ma siano il luogo della medicina di base, che include anche gli specialisti, soprattutto per la cronicità». La seconda è «attuare la recente legge regionale sulla vita indipendente, dentro il contesto della legge delega sulla disabilità, così che le persone con disabilità abbiano e realizzino i loro progetti individuali di vita, contando su servizi ridisegnati sui bisogni specifici della persona. La Lombardia su questo deve essere un esempio per il Paese. Ho ben presente le difficoltà che ci sono nel passaggio da una legge nazionale all’attuazione nel territorio. Dobbiamo lavorare di più perché ci sia un cambiamento concreto nella vita dei cittadini». Il terzo obiettivo, da realizzare nel primo anno, riguarda l’ampliamento degli screening neonatali: «Deve essere al più presto un diritto per tutti i bambini che nascono in Lombardia, cominciando dall'atrofia muscolare spinale-Sma. Oggi esistono terapie efficaci e diagnosticare la malattia nei primissimi giorni di vita, avviando immediatamente i bambini alle terapie, fa un'enorme differenza. C’è una legge nazionale, ci sono dei fondi, ci sono regioni che hanno già fatto dei progetti pilota, c’è l’esperienza di Famiglie Sma, c’è un modello: bisogna farlo, non ci sono scuse».

Lisa Noja, attualmente consigliera comunale a Milano, è capolista del Terzo Polo per il collegio di Milano alle elezioni regionali in Lombardia del 12-13 febbraio. Appoggia, come noto, Letizia Moratti. Classe 1974, avvocata specializzata in diritto della concorrenza, ha una forma di atrofia muscolare spinale. Nell’estate del 2016 il sindaco di Milano Beppe Sala le diede la delega per le politiche sull’accessibilità e nel 2018 venne eletta in Parlamento con il Pd: l’anno dopo seguì Matteo Renzi in Italia Viva, partito di cui ha contribuito a scrivere la carta dei valori. «Ho lavorato in Commissione Affari Sociali alla Camera negli anni della pandemia, è stata un’esperienza super accelerata», dice. Nel 2021 è stata relatrice della Legge Delega in materia di disabilità (la 227/2021), di cui in questo momento il Governo Meloni sta scrivendo i decreti attuativi.

Partiamo da qui, da questa full immersion che è stato l’aver vissuto in Parlamento gli anni della pandemia. Cosa porta in Regione rispetto ai temi cruciali della sanità e delle politiche sociali?

Nel mio lavoro da parlamentare e come membro della Commissione Affari sociali ho capito che in tema di sanità e politiche sociali si possono fare molte cose a livello nazionale, ma è a livello regionale che si incide davvero sulla vita dei cittadini. È qui che mi piacerebbe spendermi di più. Abbiamo fatto tanto a livello nazionale, ma ai cittadini, sui territori, è arrivato ancora troppo poco. Il “dopo di noi” è un esempio chiarissimo, come mostra la recente analisi della Corte dei Conti: è una legge buona, ma che fatica a dare i frutti attesi. Ho ben presenti i processi che rendono difficoltosa la trasformazione di una buona legge nazionale in misure concrete. E anche la contrapposizione che talvolta c’è tra il legislatore nazionale e gli enti regionali: bisogna superare questa ottica partigiana, la tentazione dello scarico di responsabilità e scegliere la via dell’assunzione comune di responsabilità.

Ogni legge ha il proprio fondo, i fondi non si parlano e così le misure. Penso invece che il compito della Regione sia quello di raccordare tutte queste risorse, per ricondurle al bisogno della singola persona. Questo richiede anche di strutturare i servizi affinché non siano più dei “pezzettini” slegati fra loro.

Se questi sono i nodi critici, come si fa ad andare oltre?

Per esempio riconducendo a sistema i vari fondi: il dopo di noi, la non autosufficienza, i caregiver… Ogni legge ha il proprio fondo, a cui si appoggia sui territori una misura diversa. I fondi non si parlano e così le misure. Penso invece che il compito della Regione sia quello di raccordare tutti questi fondi, per ricondurli al bisogno della singola persona. Questo richiede anche strutturare i servizi affinché non siano più dei “pezzettini” slegati fra loro. Vengo per esempio da un incontro con la Fondazione Sacra Famiglia, dove ho visto una serie di servizi che loro offrono ma che non rientrano nei codici attuali e che quindi la Fondazione deve autofinanziare. Sediamoci a un tavolo con il Terzo settore e invece di discutere solo di rette, facciamo un piano regionale, in coprogettazione, immaginando come ripensare i servizi e come riorganizzare i fondi – tanti – che arrivano dal livello nazionale. Io credo che il Terzo settore debba essere protagonista anche di questa fase, deve essere chiamato alla corresponsabilità e coinvolto tramite la coprogettazione nella sostenibilità del sistema. Regione Lombardia invece – lo abbiamo visto nella pandemia – ha usato il Terzo settore come erogatore di servizi o chiamandolo a “mettere pezze”. No, la Regione deve svolgere un ruolo di regia, capace di facilitare e accelerare i processi e di interconnettere le reti, senza l’ideologia per cui “pubblico” è solo ciò che è svolto dall’ente pubblico, perché non è così.

La Lombardia destina il 70% del budget alla sanità. Prima del Covid eravamo convinti che la Lombardia fosse la regione con la sanità migliore d’Italia, un’eccellenza. Abbiamo visto che non era poi così vero. Oggettivamente questa regione ha puntato più di altre sulla sanità privata. È un modello da cambiare o cos’altro?

Io vedo due punti nel tema sanità. Il primo è che dobbiamo tornare ad occuparci di tutto quel che avviene prima e dopo l’ospedale, che significa costruire una buona sanità territoriale ma anche con una buona integrazione sociosanitaria, che faccia sì che le persone si rivolgano all’ospedale il meno possibile e solo per le prestazioni che non trovano altrove e che – una volta dimesse – abbiano una rete a cui fare riferimento per i loro bisogni. Regione Lombardia ha lavorato molto poco su questo aspetto, cosa molto grave in una regione che vede aumentare invecchiamento e cronicità. Questo oggi è condiviso, il punto è attuarlo concretamente. Un esempio per tutti sono le case della comunità. L’altro tema è il rapporto tra pubblico e privato. In questa campagna elettorale il dibattito sul punto è povero perché sembra che la soluzione alle storture sia scatenare una guerra tra privato e pubblico. L’accreditamento è un sistema che funziona se ben guidato, del resto alcune delle grandi eccellenze sanitarie lombarde – eccellenze non solo in Italia ma in Europa – sono private accreditate. Ma in linea generale Regione Lombardia non ha creato un sistema equilibrato e coordinato tra pubblico e privato, quel che è mancato è la regia del rapporto: non puoi lasciare che sia il privato a scegliere quello che fa e non fa. Occorre ripensare il sistema dell’accreditamento, renderlo più trasparente anche agli occhi degli utenti e renderlo un sistema in cui si parte dai bisogni dei territori – Letizia Moratti ha iniziato a fare una mappatura in questo senso – per costruire gli accreditamenti e le prestazioni che li compongono a partire dalle persone e dai loro bisogni, non dai gestori.

L’accreditamento è un sistema che funziona se ben guidato, mentre qui è mancata la regia. Occorre ripensare il sistema per costruire gli accreditamenti e le prestazioni che li compongono a partire dalle persone e dai loro bisogni, non dai gestori.

Lisa Noja

In Lombardia i cittadini hanno a che fare quotidianamente con medici di medicina generale che non ci sono. Ovviamente non è un tema esclusivamente regionale, però…

Anche qui vedo due aspetti. Uno è iniziare a parlare di medicina generale e di base e non solo di medici di base. Il tema delle case di comunità va inserito nel ripensamento di cosa è la medicina di base. Le case della comunità devono essere il luogo della medicina di base per la cronicità, dove le persone trovano tutte le professionalità di base, inclusi gli specialisti di base. La nostra posizione sullo psicologo di base è chiara, per esempio: il progetto di legge a dicembre 2022 in consiglio regionale è stato difeso praticamente solo dal Terzo polo, lo ripresenteremo. L’altro aspetto è che se la carenza di medici e di operatori sanitari generale non è tema per la Regione, è anche vero che abbiamo fatto ricadere sui medici di base tanti adempimenti amministrativi: i medici devono poter fare medicina di base, non amministrazione di base degli adempimenti sanitari.

Nelle grandi città lombarde, Milano in particolare, comprare casa sta diventando proibitivo, soprattutto per i giovani e per i precari. Che fare per accompagnare i giovani a progettare il loro futuro, anche in termini di autonomia e genitorialità?

In Lombardia abbiamo buoni esperimenti di housing sociale, portati avanti soprattutto dal Terzo settore, ma anche sull’housing non vedo un pensiero complessivo che riconosca intanto la necessità di interventi pubblici che non siano concentrati solo sulle categorie meno abbienti ma si rivolgono a fasce di popolazione che hanno bisogno di un supporto temporaneo, in una fase della vita, come gli studenti fuori sede o i giovani all’inizio della loro vita lavorativa. Questo sarebbe tra l’altro utile per uscire da situazioni in cui l’housing pubblico diventa un po’ l'housing dei ghetti. La sua domanda è sui giovani, ma in tema di abitare l’altro tema da sviluppare è quello dell'housing per persone anziane, dove ciascuno ha la sua casa ma ha anche servizi di sostegno. Tornando ai giovani, l’altro punto – so che sembra un sogno – è la riflessione sui trasporti. Ci vuole sì un supporto all’abitare ma occorre anche rendere il trasporto pubblico più efficiente, sia in città che verso la città: questo permetterebbe a un giovane (e non solo a lui) di vivere fuori Milano, con costi inferiori, e di lavorare in città senza dover mettere in conto ore e ore di viaggio. Come noto, la nostra proposta qui è netta: mettere a gara la gestione del trasporto pubblico.

“Milano non si ferma”, si disse nei primissimi giorni del Covid, anche sbagliando. Però Milano e la Lombardia hanno bisogno di continuare ad essere avanguardia, luogo di innovazione, di sviluppo. Come intendete farlo?

Intanto non essendo Milano-centrici. È giusto che Milano sia un punto di riferimento ma noi in Lombardia abbiamo tante realtà di eccellenza, un po’ abbandonate a se stesse. Le proposte che sono nel programma di Letizia Moratti puntano a rendere la regione un luogo di accelerazione dei processi. Un pezzo importante di questo lavoro riguarda la formazione: i mondi dell'eccellenza lombarda, fatto anche dell'artigianato innovativo, lamenta la scarsissima disponibilità di personale qualificato. Non compete a noi entrare nei programmi delle scuole professionali, ma certamente Regione Lombardia con noi darà tutto il supporto possibile all’alternanza scuola-lavoro e a creare sinergie tra le scuole professionali e le eccellenze del mondo del lavoro.


Qualsiasi donazione, piccola o grande, è
fondamentale per supportare il lavoro di VITA