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L’accessibilità è un vantaggio per tutti e Milano è pronta al salto

L'accessibilità non è solo assenza di barriere architettoniche, ma una città più semplice per tutti. Non si tratta di eliminare, ma di progettare. E di farlo in maniera nuova. Questa è la sfida che il sindaco Sala ha affidato a Lisa Noja, avvocato con delega alle politiche per l'accessibilità. «Vorrei che tutti i milanesi vivessero la mancata accessibilità non come una scortesia verso un disabile ma come un oltraggio a se stessi, un’offesa alla cittadinanza tutta»

di Sara De Carli

Rendere Milano una città sempre più accogliente, internazionale e a misura di tutti: è questo il “salto” che il sindaco Giuseppe Sala vuole fare nel suo mandato. Per riuscirci, ha scelto una persona a cui affidare in maniera esplicita le deleghe alle politiche per l’accessibilità. È Lisa Noja, classe 1974, avvocato, da sempre impegnata nella tutela dei diritti sociali e in particolare di quelli delle persone con mobilità ridotta: lavorerà – dice il comunicato di Palazzo Marino – in stretta collaborazione con tutti gli assessorati interessati, a cominciare da quello alle politiche sociali.

Avvocato, qual è esattamente il mandato che le ha dato il sindaco?
Quello di lavorare in stretta collaborazione con tutti gli assessori per ideare, incentivare e realizzare politiche per l’accessibilità: non si tratta solo di individuare interventi da realizzare ma di dare un indirizzo culturale all’azione dell’amministrazione. Il mio compito è quello di “punzecchiare” e verificare, nell’intenzione di dare un aiuto a tutti gli assessori per far sì che l’accessibilità diventi un elemento centrale in qualsiasi decisione. Quindi al di là del fatto che questa delega sia andata a me, sono contenta che esista la delega, perché è l’affermazione che per Milano l’accessibilità è una priorità: che è come dire che per questa amministrazione è una priorità rendere la vita delle persone un po’ più semplici, che credo debba essere l’obiettivo della politica. Milano non parte da zero, anzi: la sfida però è far diventare l’accessibilità non solo un tema centrale per la Giunta ma un tema di tutti i cittadini, di Milano tutta.

Cos’è questo “scatto”?
Le norme ci sono, il grande salto che dobbiamo fare capire che avere una città accessibile è un valore di tutta la città, in particolare per una metropoli come Milano, internazionale. Non si tratta solo di eliminare le barriere architettoniche che ancora esistono ma di progettare qualcosa, pensando ai bisogni di tutti non solo disabili ma anche degli anziani, delle famiglie con bimbi piccoli e passeggini… una città accessibile è una città più bella, comoda, semplice per tutti.

È un tema di progresso, un patrimonio di tutti: io ho vissuto molto all’estero, in America non è che i negozi hanno la rampa di accesso perché lo impone un regolamento ma semplicemente perché se una persona non potesse entrarvi, il negozio si sentirebbe non adeguato agli standard sociali. Come si progetta la città accogliente e la città sicura, così dobbiamo iniziare a progettare una città accessibile, iniziare a pensare che ogni volta che si pensa e progetta la città, l’accessibilità sia una caratteristica, anzi direi condizione sine qua non. Il salto che si vuole fare è intendere l’accessibilità come qualcosa che facilita la vita di tutti, non qualcosa che deve essere fatto per le persone con disabilità: riconoscerla come valore che rende la città più semplice e più bella per tutti. Vorrei che tutti i milanesi vivessero la mancata accessibilità non come una scortesia verso un disabile ma come un oltraggio a se stessi, un’offesa alla cittadinanza tutta. Per non dire che le grandi metropoli contemporanee, i fari dell’innovazione come Londra, sono città molto accessibili, perché fra grado di innovazione e grado di accessibilità c’è una connessione, sono cose che si tengono insieme.

Milano è pronta per questo passo?
Sì. Intanto c’è da dire che con l’amministrazione Pisapia è stato fatto molto, il nostro lavoro è in continuità con quello. Milano in questi anni ha posto le basi per fare un salto importante, rivoluzionario direi, in tanti ambiti, ora bisogna fare il salto. Abbiamo una città più pronta, senza dubbio. Milano è cambiata tantissimo, Expo è stato un incentivo forte, grazie ad Ada Lucia De Cesaris c’è una norma nel regolamento edilizio che impone a tutti gli esercizi commerciali di essere accessibili, molti passi avanti sono stati fatti nei trasporti. Nel programma del sindaco Sala, elaborato con un grande sforzo di partecipazione, c’è stato un tavolo specifico sull’accessibilità che abbiamo coordinato io e Stefano Boeri, a cui hanno partecipato realtà diverse, associazioni, architetti, Domus Academy, Naba: è emersa con forza l’idea che servisse non solo individuare proposte concrete ma anche far emergere una nuova visione della progettazione della città: fra i miei obiettivi c’è quello di lavorare molto con gli uffici tecnici comunali, per far passare il concetto di accessibilità non solo come applicazione di regole ma come requisito idea di città.

A dicembre 2015 Milano ha vinto il City Access Award, il premio che l’Unione Europea conferisce alla città che più ha messo in atto buone pratiche in termini di accessibilità. Effetto Expo o realtà?
Quello è un premio molto importante: da un lato è il riconoscimento di quanto è stato fatto, dall’altro premia gli impegni presi per il futuro, a partire dal Piano eliminazione barriere architettoniche (PEBA) di cui Milano si è dotata, tra i primi, e che dovrà essere realizzato. Expo è stato uno stimolo, ma l’intuizione fondamentale che l’amministrazione Pisapia ha avuto nell’organizzare l’accessibilità rispetto a Expo è stato il lavoro fatto con le associazioni per capire che cosa sia davvero progettare l’accessibilità.

La sfida è far diventare l’accessibilità non solo un tema centrale per la Giunta ma un tema di tutti i cittadini, di Milano tutta. Il salto che si vuole fare è intendere l’accessibilità come qualcosa che facilita la vita di tutti, non qualcosa che deve essere fatto per le persone con disabilità. Vorrei che tutti i milanesi vivessero la mancata accessibilità non come una scortesia verso un disabile ma come un oltraggio a se stessi, un’offesa alla cittadinanza tutta.

Lisa Noja

Che cosa significa? Perché solitamente si pensa ad accessibilità solo come eliminazione delle barriere architettoniche…
Spesso capita che anche i nuovi edifici non pensino all’accessibilità: si fa il progetto e poi si dice ok ora devo renderlo accessibile perché ci sono delle regole che mi obbligano, e così ci appiccicano il montascale. Si capisce benissimo, fruendo un edificio, se questo è stato progettato tenendo conto dell’accessibilità o no. Se tu progetti avendo in mente l’accessibilità, il prodotto finale è diversissimo. Pensiamo solo al Millennium Bridge: è ovvio che sia stato pensato fin dall’inizio come accessibile, non c’è un gradino, lo puoi fare in bici, col passeggino, in carrozzina, ed è bellissimo, più sicuro, senza ostacoli, con spazi fluidi. L’accessibilità deve essere all’origine, a monte, non a valle del progetto: dobbiamo abituarci tutti a questa logica diversa. E poi accessibilità è anche accessibilità delle informazioni, non solo degli spazi: avere informazioni affidabili sulle strutture e sulla loro accessibilità, se c’è scritto che il luogo è accessibile che lo sia davvero, perché le persone con una mobilità ridotta spendono una parte importante della quotidianità ad assicurarsi se sia vera l’accessibilità del luogo in cui devono recarsi. Esiste un portale nato per Expo, deve essere ulteriormente implementato, tutti devono sapere con poca fatica come sono i musei, i cinema… con standard unitari.

L’accessibilità deve essere all’origine, a monte, non a valle del progetto: dobbiamo abituarci tutti a questa logica diversa. E poi accessibilità è anche accessibilità delle informazioni, non solo degli spazi:

Lisa Noja

Prima di lei Franco Bomprezzi era stato nominato consulente di supporto alla task force per l’accessibilità di Expo Milano 2015. Che eredità sente di aver ricevuto?
Grandissima. Il ruolo di Bomprezzi anche in questo specifico ambito è stato fondamentale perché ci ha insegnato due cose: la prima a fare cose concrete, magari partendo dal piccolo e arrivando al grande. Le nostre città sono molto complicate, non puoi pensare che in due anni tutto diventi accessibile, però se ti dai obiettivi, quella stazione entro la tal data, le cose si muovono. In secondo luogo Franco ha avuto la pazienza di istaurare un rapporto forte con l’amministrazione, di spiegare passo a passo ciò di cui c’era bisogno, di far comprendere e anche di far capire che questo è un lungo percorso fatto di tanti piccoli passi ma che è fondamentale che non si interrompa mai. All’amministrazione ha insegnato ad aver fiducia nell’ascolto delle associazioni: il tavolo per Expo è stato importantissimo non solo per l’applicazione delle regole ma perché ha cambiato la testa, il modo di ragionare dell’amministrazione pubblica. Questa è l’eredità che lui ci ha lasciato, ha insegnato un metodo, che deve essere coltivato e proseguito. Detto questo, il passo ulteriore che si fa è che non si tratta più di essere “consultati” ma si può interloquire.

Quali sono le azioni concrete che ha in mente?
Penso sia importante, partendo dal PEBA, individuare nei vari Municipi gli interventi da realizzare, con collaborazione fattiva dei Municipi stessi. È importante proseguire il censimento sull’accessibilità dei luoghi pubblici e sarebbe utile farlo anche per esercizi privati aperti al pubblico, non in ottica punitiva e di controllo ma in ottica di “competizione” fra esercizi commerciali a chi è più bravo. Mi piacerebbe coinvolgere le scuole in questa attività di censimento, è stato fatto nella Zona 1: è importante perché i bambini hanno una capacità di coinvolgimento impareggiabile e anche perché così li abitui a guardare i luoghi in cui si muovono come accessibili o no e a capire la difficoltà del loro compagno con mobilità ridotta. Un altro tema è quello, già avviato, dei parchi con i giochi accessibili, perché nell’infanzia l’esclusione incide tantissimo: poter giocare nel parco con i gli amici, tutti insieme, con giochi adatti a tutti, ha un valore di crescita incomparabile e in generale vedere una persona con disabilità che circola per la città ha un impatto sull’inclusione più forte di dieci convegni. Un altro punto ancora sono i musei e l’accessibilità dei luoghi della cultura: anche qui non si tratta solo di togliere le barriere ma di considerare che la visione di un quadro da una altezza diversa fa cambiare la percezione dell’opera, trovare il modo per rendere fruibile le opere ad altezze diverse, piuttosto che le informazioni in braille o per chi ha difficoltà uditive… dobbiamo abituarci a porre il tema della fruibilità di una mostra e di un’opera d’arte per tutti, in tanti stanno già riflettendo su cosa significa progettare eventi per tutto. A Milano la contaminazione tra privato, università e pubblico può dare grandissimi frutti, è una contaminazione che sta avvenendo in tutti i campi.

Foto Olivier Morin/GettyImages


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