Ivo Lizzola

Il volontariato è necessario per creare nuove leadership civili

di Marco Dotti

Le relazioni migliori, spiega il professore, docente di pedagogia all'Università di Bergamo, «non sono quelle dello scambio economico o dell’accumulo di beni. Le migliori relazioni sono quelle dell’attenzione. In particolare dell’attenzione prestata all’altro: quell’attenzione che, orientata a valori e organizzata in ragione dei bisogni, chiamiamo appunto volontariato»

Che cosa rende la categoria del dono così necessaria, oggi più che mai? La sua relazione con la fragilità, ma anche con la capacità di generare nuove energie, alimentando nuove leadership condivise. Temi che toccano il cuore dell'esperienza del volontariato, esperienza a che è alla base del numero di luglio-agosto di Vita e dell'appello lanciato affinché l'Unesco lo riconosca patrimonio immateriale dell'umanità.

Ne parliamo con Ivo Lizzola, professore di Pedagogia sociale e di Pedagogia della marginalità e della devianza presso l'Università degli Studi di Bergamo, raffinato interprete della nostra società.

La pandemia ha colpito duramente. Ma, mentre si parla sempre più di diritti individuali e di libertà più o meno negate, il tema della comunità passa sullo sfondo. Quello comunitario sembra, invece, il contesto da cui ricominciare a riflettere, anche perché le ferite in certe aree del nostro Paese sono ancora aperte…
Disarmare il dolore, dalle vite e dai territori feriti non è, né sarà impresa da poco. Impresa del presente e impresa del futuro, che deve necessariamente dovrà guardare al volontariato come a una sua leva e a una sua matrice. Il nostro tempo, infatti, non chiede una semplice “ripartenza”, né di accedere a una “nuova normalità”. Per questo basterebbero dei tecnici. Si tratta di accelerare un cambio di rotta vero e proprio, che come ogni cambio di rotta dovrà essere guidato da nuove leadership né politiche né economiche, ma civili.

Le nuove leadership civili che stanno nascendo da un mondo del volontariato in positivo subbuglio dovranno aiutare la nostra società a parlare bene della fragilità, disancorandola dalla connotazione negativa, e non è impresa da poco

Ivo Lizzola

Chi sono i protagonisti di queste nuove leadership civili?
Sono donne e uomini di parola e di gesto, di iniziativa pubblica e di testimonianza personale, che hanno cercato e cercano l’inizio continuo della vita nelle pieghe anche un poco oscure, certo sofferte, di altre vite fragili. È con queste vite, disseminate sui territori, che dobbiamo rigenerare legame, riconnettere comunità, cambiare rotta al presente.

Sono loro a indicarci quanto sia prezioso ogni inizio. Prezioso nel suo resistere, nel suo trovare forme e sussulti particolari, nel suo chiamare vicinanze e riconoscenze di corpi, di gesti, di desideri, di generazioni. Pensando a queste leadership, e precorrendo i nostri tempi, Paul Ricoeur insegnava che «la vita è più della spontaneità, della motivazione e del potere, è una certa necessità d’esistere».

In questo contesto ferito, ma non di meno di grande effervescenza sociale, sta nascendo una nuova consapevolezza sul tema del donarsi e del volontariato?
Ci sono donne e uomini donne che lo hanno scoperto nel momento di massima crisi delle forme organizzate. Hanno scoperto la gioia del donarsi, dando respiro a quelle forme in affanno, innovandole. Il volontariato, da sempre, è ben più di un servizio, ma è chiamato anche a farsi gioia. La gioia del farsi prossimi, che non è solo dare un po’ di tempo agli altri, magari nei ritagli tra lavoro e… lavoro. È piuttosto una “piegatura”, un “chinarsi” del proprio tempo presso il momento e la condizione dell’altro. Simone Weil lo chiamava «il miracolo dell’attenzione». Il volontariato è dono, dunque, ma è soprattutto dono di tempo offerto all’altro perché l’altro, accolto, possa ancora sentirne il battito, e la possibilità. La cura, in questa prospettiva, è cura del tempo con e per l’altro.

Le nuove leadership civili che stanno nascendo da un mondo del volontariato in positivo subbuglio dovranno aiutare la nostra società a parlare bene della fragilità, disancorandola dalla connotazione negativa, e non è impresa da poco.

Come?
Mostrando a tutti come proprio a partire dalla fragilità uomini e donne scoprono le parti migliori di se stessi, le sensibilità migliori, di sicuro le relazioni migliori. Le relazioni migliori non sono quelle dello scambio economico o dell’accumulo di beni. Le migliori relazioni sono quelle dell’attenzione. In particolare dell’attenzione prestata all’altro. Quell’attenzione che, orientata a valori e organizzata in ragione dei bisogni, chiamiamo appunto “volontariato”.

C'è un nucleo di disponibilità va valorizzato, ampliato, compreso, messo a valor comune. Questo è il compito delle leadership civili

Ivo Lizzola

Le nuove leadership, disseminate, non gerarchiche, non più verticali ma orizzontali eppure capaci di una nuova autorevolezza, devono aiutare soprattutto i giovani a comprendere che vere relazioni che ci fanno trovare noi stessi sono proprio quelle “squilibrate”. Sono le cadute, quando troviamo una mano che ci aiuta a rialzarci.

Anche negli incontri quotidiani abbiamo paura di fare i conti con la fragilità?
Solo pian piano si scopre di avere dentro di sé la capacità di saper modulare con delicatezza il proprio essere presente all’altro e per l’altro. Ed è sempre l’altro fragile che ci fa capire che la vita civile non è un problema di adeguatezza, ma di relazione. Non è un problema di quanto hai da dare, poiché anche l’altro ti dà molto, ma è un problema di dare e ricevere da tutte e due le parti. Meglio non calare mani consolatorie pesanti sugli altri, meglio essere delicati ed agire sempre in risposta all’altro al bisogno e al desiderio.

Ma per farlo, bisogna riscoprire la fragilità come luogo che ci fa uscire dalla vita nascosta, rinchiusa in luoghi difensivi. Aiutare a uscire dalla vita nascosta: non trovo oggi altra definizione per il volontariato. Organizzato e non.

Spesso questa dicotomia "organizzazione-spontaneità" orienta discorsi e riflessioni. Nella pratica, le cose sembrano essere più complesse anche in tema di volontariato…
Se c’è una cosa che ha preso corpo, in quest’anno e mezzo di pandemia, è il fatto che – al di là delle forme più o meno strutturate e dell’agire volontario, che spesso negli ultimi decenni si è trovato incagliato nella costruzione di servizi, nelle tecnicalità e nelle procedure – si è rivelato un nucleo forte di immediata messa a disposizione rispetto al bisogno degli altri. C’era gente in ascolto, c’era gente in aiuto: anche mentre il virus mieteva vittime a centinaia. Questo nucleo di disponibilità va valorizzato, ampliato, compreso, messo a valor comune. Questo è il compito di quelle che chiamo leadership civili: forze capaci di disarmare la retorica delle buone intenzioni, riattivando il valore della fragilità condivisa, ovvero – per usare le parole di Papa Francesco – della fraternità.

Il volontariato, declinato in questi termini, è la scelta del “cercarsi”. Una scelta che ha caratterizzato moltissimi atteggiamenti, moltissime quotidianità, moltissime sorprese da parte di chi si è messo in gioco o, semplicemente, si è rivelato disponibile a mettersi in gioco anche nei giorni del massimo bisogno e del massimo pericolo. Non disperdere ciò che prima era disseminato e, la pandemia, ha invece unito è la sfida che attende le nuove leadership civili.

L'indice del numero di luglio e agosto

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