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Francesca Di Maolo

Di Maolo: «Il volontariato è una qualità del gesto di cura»

di Riccardo Bonacina

Alla guida dell'Istituto Serafico di Assisi dal 2013 dopo aver lasciato la docenza in Università e lo studio di avvocato giuslavorista racconta la sua scommessa: «Un’economia che parte dai bisogni dei più fragili e mette al centro le persone è possibile, ecco il senso della mia scelta e della mia sfida

#NonFacciamoMiracoli recita la recente campagna di sensibilizzazione e raccolta fondi dell’Istituto Serafico di Assisi, ma lei, la presidente, Francesca di Maolo ci dice: «Se una finestra si è chiusa a causa della disabilità, il nostro compito, da 150 anni in qua, è di aprirne altre ai ragazzi che vengono da noi per curarsi e ritrovare il sorriso insieme ai loro genitori e farli così partecipare alla vita».
La vita delle persone disabili e delle loro famiglie è in ogni azione quotidiana più complicata rispetto a quella degli altri, anche se non dovrebbe essere così. Quando si parla di sanità e di accessibilità alle cure, il nostro Sistema Sanitario Nazionale risulta ancora indietro rispetto alle reali esigenze delle persone con disabilità. Per oltre 8 persone su 10 (84,7%), infatti, le risposte fornite dal SSN alle persone con disabilità risultano inadeguate dice l’indagine presentata in occasione della campagna. Ostacoli che per i bambini e ragazzi con pluri disabilità aumentano ancor di più.

Francesca Di Maolo: Non abbiamo ancora i risultati di questa che è la nostra prima campagna sms, ma ci tengo a dire, come ha notato, che non è stata soltanto una raccolta fondi ma l’occasione per lanciare un tema per noi molto caro quello dell’accessibilità alle cure su cui abbiamo trovato tanta attenzione sia da parte dei media sia delle persone. Tanti famigliari di persone con disabilità ci hanno chiamato per ringraziare di aver sollevato questo teme e i loro problemi quotidiani Sappiamo che spesso ci facciamo portavoci di un popolo silenzioso, anche questo fa parte dell’attività del prendersi cura, dar voce a chi voce non ha. Il prendersi cura non può esaurirsi nell’atto tecnico e scientifico ma inizia molto prima, nel riconoscimento della dignità della persona, dei suoi diritti. e l’attività di riabilitazione la concepisco così a 360 gradi.

Quali i tratti principali del Serafico che è Ente Ecclesiastico senza scopo di lucro che svolge attività riabilitativa, psicoeducativa e assistenza socio-sanitaria ?

Quest’anno l’Istituto raggiunge il traguardo dei 150 anni, ed è importante sottolineare come da sempre il Serafico sia sempre stato sul fronte dell’innovazione. All’inizio l’Istituto nasce per una intuizione di San Ludovico da Casoria che in onore di San Francesco dà vita a un’opera finalizzata all’istruzione dei ciechi e sordi quando ancora non avevano accesso all’istruzione. Poi per fortuna le cose sono cambiate allora l’Istituto si è rinnovato sui bisogni emergenti nel campo della pluridisabilità iniziando anche l’attività sanitaria e riabilitativa che nel tempo si è evoluta.

All’inizio ci si occupava delle disabilità fisiche e sensoriali, poi c’è stata una grande attenzione ai problemi del neuro sviluppo, dell’autismo sino a porci il nuovo traguardo che è quello dell’accessibilità alle cure. Riguardo ai numeri noi abbiamo 86 posti letto in residenziale, 30 in semiresidenziale, un’attività di valutazione con una équipe multidisciplinare a cui accedono 2/3 famiglie da tutt’Italia ogni settimana. Le valutazioni durano diversi giorni e si concludono con una diagnosi e un progetto riabilitativo. Mediamente accedono all’Istituto circa 130 ragazzi ogni giorno.

Quando Francesca Di Maolo incrocia il Serafico e come…

Sono avvocato giuslavorista, ero docente all’Università di Perugia di diritto del lavoro e sono stata sempre affascinata dalle modalità con cui la dottrina sociale della Chiesa affronta questi temi, forse anche per questo ho fatto una follia.

Cioè?

Un giorno il vescovo di Assisi mi chiese di prendere la presidenza del Serafico con la missione di fare un modello di azienda (perché un’azienda siamo, ci sono 284 dipendenti) realizzandola secondo i principi della Dottrina sociale che tanto mi interessavano e di cui parlavo. Faccio anche parte del Comitato etico e scientifico della Scuola di Economia Civile e sono membro dell'Ufficio Nazionale della Salute della Conferenza Episcopale Italiana, e questa sfida mi ha affascinato e preso totalmente. All’inizio ho cominciato a lavorare sui contratti e sui modelli aziendali cambiando molto, poi i ragazzi mi hanno conquistato e ho deciso di lasciare tutto: lo studio e l’Università. Ecco perché dico un po’ una follia, dal 2013 in poi questa è la mia sfida. Sfida su 2 ambiti, è possibile realizzare un’azienda secondo i principi della giustizia sociale che la Chiesa insegna e fare risultati grandi partendo dai bisogni delle persone. Noi che siamo un ente ecclesiastico e una realtà non profit siamo diventati più grandi, diamo più lavoro (40 persone in più a tempo indeterminato negli ultimi anni). Un’economia che parte dai bisogni dei più fragili e mette al centro le persone è possibile, ecco il senso della sfida.

Il volontariato ha un ruolo nella vita dell’istituto?

Sì, certo ha un ruolo ma di accompagnamento, l’attività sanitaria, da noi fondamentale, è tutta professionalizzata. I novizi francescani del sacro convento sono i nostri principali volontari ed è una nostra particolarità, una bella particolarità. Ma il principio del volontariato, la cultura del volontariato permea tutta l’attività, il lavoro di ciascuno di noi. Le caratteristiche principali del gesto volontario che sono la gratuità, il dono di sé l’entrare in un rapporto di reciprocità con gli altri non significa solo fare un’attività gratis, ma sono un dna sorgivo di ogni attività. È una dimensione dell’azione e delle attività di cura. Quando un operatore incontra un genitore magari in lacrime e angosciato e lo sa guardare negli occhi offrendogli la mano capisce che sono gesti che vanno al di là dell’attività vera e propria. Proprio perché nella vostra campagna per il riconoscimento del Volontariato come Patrimonio dell’Umanità avete sottolineato questo aspetto, aderisco alla vostra campagna. Volontariato non come dopo lavoro ma come dimensione di ogni gesto.

Anche nella nostra attività di fundraising cerchiamo il rapporto con il donatore prima che i suoi soldi, cerchiamo la reciprocità non la mera beneficienza, ma chiediamo di sposare un progetto con noi, lo invitiamo a venire a conoscere i ragazzi permettendo così anche chi non può donare soldi di donare altro, magari vestiti o i giochi, o una mezza giornata del proprio tempo.


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