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Manolo Cayo

Scuole di leadership per salvare il Perù

di Paolo Manzo

Lima da una settimana è di nuovo nel caos, dopo un colpo di stato fallito e una nuova presidente sempre più in difficoltà. VITA ha intervistato l'ispettore provinciale dei Salesiani nel paese andino per capire dove origina l'instabilità che ha portato a cambiare sei presidenti in sei anni. "Noi religiosi ci siamo uniti alla 'Coalizione dei cittadini', che riunisce molte organizzazioni", ci spiega, "per fare una proposta globale di riforma politica punti che garantisca una certa stabilità. Siamo per anticipare le elezioni, ma senza prima modifiche strutturali le cose qui non miglioreranno"

Il Perù è di nuovo nel caos. Dina Boluarte, dopo avere preso il posto alla presidenza di Pedro Castillo, all'indomani del tentativo di golpe di quest'ultimo, lo scorso 7 dicembre, è sempre più in difficoltà.

Ieri i sostenitori dell'ex presidente hanno eretto barricate davanti alla prigione del loro leader e affrontato la polizia nelle strade del centro di Lima, gridando ”Parlamento vendepatria, il popolo ti ripudia”. Per loro la "traditrice" Boluarte deve andarsene subito. I sindacati agrari e le organizzazioni contadine e indigene hanno annunciato uno "sciopero a tempo indeterminato" in diverse regioni del sud del Perù a partire da oggi, chiedendo la chiusura del Parlamento, elezioni anticipate e una nuova Costituzione, si legge in un comunicato del locale Fronte agrario e rurale. Il sito archeologico di Machu Picchu è stato chiuso ai turisti, al pari delle scuole a Lima e di numerosi aeroporti. Attaccate le sedi delle principali tv nella capitale, sino ad ora le vittime ufficiali della violenza esplosa nel paese sono otto, tutte registrate nel Dipartimento di Apurímac e ad Arequipa. Tra i morti anche due minorenni, di 15 e 16 anni. Il bilancio è purtroppo provvisorio e il governo ha dichiarato lo stato di emergenza per 30 giorni, mentre dal carcere Castillo continua a dire di essere ancora presidente del Perù, definendo la Boluarte una “usurpatrice”.

Per comprendere meglio che cosa sta accadendo in Perù, VITA ha intervistato padre Manolo Cayo, ispettore provinciale dei Salesiani nel paese andino. In Perù i salesiani sono in 98, distribuiti in 15 comunità, dall’Amazzonia alle Ande. Hanno sparse sul territorio 10 scuole, 8 Case Don Bosco per giovani in situazioni di vulnerabilità e tre centri missionari, uno nel Vicariato di Yurimaguas, a nord, uno nel Vicariato di Pucallpa, a est, entrambi in piena Amazzonia peruviana, ed una missione andina a Monte Salvado, vicino a Cusco. Inoltre gestiscono tante parrocchie e centri giovanili per cui, nessuno è meglio di padre Manolo per fare il punto sull'attualità del paese.

Che sta succedendo in Perù?

Si tratta di una crisi che va avanti da molto tempo: quello che è successo mercoledì scorso non è stato spontaneo, ma il risultato di pressioni accumulate e di una situazione già da molto insostenibile tra il governo e il Parlamento. In sei anni ci sono stati sei presidenti, e molti di loro sono in prigione o sono stati indagati. Ma la grave crisi non è solo istituzionale e politica, ma anche di leadership. Ora il dibattito si sta scatenando sulla questione delle nuove elezioni. La vicepresidente che si è insediata, Dina Baluarte, la prima cosa che ha detto è che completerà il suo mandato fino al 2026, ma siccome molte persone chiedono il voto anticipato e ci sono marce e manifestazioni ovunque, ha poi corretto che si terranno nel 2024 mentre oggi già si discute sul celebrarle il prossimo anno. Tra i manifestanti ci sono molti giovani che chiedono che se ne vadano tutti.

Come religiosi in Perù, cosa proponete per porre fine a questa crisi?

Mesi fa ci siamo uniti a una ONG che ha riunito molte organizzazioni per fare una proposta globale e trasformare questa realtà. Si tratta della Coalizione dei cittadini (qui https://coalicionciudadana.pe) e lì abbiamo concluso che non ha senso anticipare le elezioni senza una riforma politica che garantisca una certa stabilità. Un Parlamento molto diviso e frammentato, con pochi leader e di tendenze molto opposte e contrastate ma dominato soprattutto dalla destra e anche dall'estrema destra. Inoltre qui il governo è visto come uno strumento per fare i propri interessi personali. In altre parole, ciò che conta di più è il proprio bene, al di sopra del bene comune. Tutto questo non può essere trasformato cambiando semplicemente il Parlamento, perché chi può essere sicuro che il prossimo sarà migliore dell'attuale? Pensi che alle ultime elezioni regionali di due mesi fa, nonostante gli sforzi dell'ONPE, l'organismo che controlla le elezioni, più della metà dei candidati era indagata o con cause giudiziarie pendenti.

Quali sono i punti principali della vostra proposta di riforma?

Qui tutte le autorità locali, regionali o provinciali possono avere solo un mandato di quattro anni e sono vietate le rielezioni. In quattro anni non si può fare molto se non approfittarsene per arricchirsi. Quindi, una delle nostre proposte, è proprio la possibilità di essere rieletti. Nella Coalizione dei cittadini abbiamo anche chiesto elezioni anticipate, ma dopo avere fatto alcune riforme politiche di base che aiuterebbero a consolidare scuole di leadership. In tutto sono sette e le abbiamo riassunte in questo documento, che ha come obiettivo quello di accompagnare il popolo peruviano verso un miglioramento.

Cosa la colpisce di più in questi giorni?

Soprattutto la mancanza di reazione della gente, cioè la stanchezza e l’indifferenza, soprattutto per il fatto che la crisi politica endemica del Perù non stia influenzando l'economia. Se guardiamo gli indicatori globali qui sono buoni e in crescita e la nostra è l'economia più stabile dell'America Latina e quella che è cresciuta di più dopo la pandemia. Credo che questo spieghi perché la politica non ha un grande impatto e perché gran parte della popolazione la stia semplicemente "lasciando perdere". Ma la parte più brutta di questa crisi politica credo sia la questione della corruzione, il fatto che alla fine ognuno faccia politica per il proprio tornaconto, per il proprio partito, per i propri interessi. Questa realtà, la separazione tra politica e popolo, per me è un dramma e perciò si deve insistere molto di più sulla questione della cittadinanza. Non sono un politico né un giornalista, ma questo è quello che vedo e sento, cercando di capire questo bellissimo Paese. Il popolo è eccezionale ed è un peccato che non abbia una classe politica all'altezza di ciò che è e di cui ha bisogno. Questo è il dolore più grande. L'altro dolore è che non si tratta di una crisi temporanea e ci vorrà del tempo per rinnovare l'attuale classe politica.


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