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Paola Bellandi

Nel Pistoiese tanti progetti nel sociale, è ora di fare rete

di Luigi Alfonso

Presentata oggi la Fondazione delle Comunità Pistoiesi, ente non profit che nasce dalla forte spinta della Fondazione Caript con la partecipazione di altre realtà della provincia. La neo presidente spiega le motivazioni di questa scelta e la filosofia che animerà le prossime attività, a cominciare dai laboratori che aiuteranno ad ascoltare le esigenze dei singoli luoghi

Nasce la Fondazione delle Comunità Pistoiesi, ente non profit di diritto privato che intende aiutare le persone in situazione di fragilità sociale, attraverso azioni innovative nella provincia di Pistoia che siano in grado di superare i modelli assistenzialistici del welfare tradizionale. Membri fondatori sono Fondazione Caript, Comunità solidale di Lamporecchio, cooperativa sociale Gemma, Gruppo Mati, cooperativa sociale Integra e le associazioni Oltre l’Orizzonte, Pozzo di Giacobbe e San Martino De Porres. Vi sono poi membri donatori, sostenitori onorari e ordinari. La neo presidente è Paola Bellandi, ex docente di Lettere nella scuola secondaria superiore. Dal 1982 al 2000 è stata membro della Commissione missionaria e del Consiglio pastorale della Diocesi di Pistoia. Dal 1994 al 2023 presidente dell’associazione San Martino de Porres, che a Pistoia si occupa di promuovere e facilitare l’integrazione sociale dei migranti. Dal 2016 è membro del Cda della Fondazione Caript.

Presidente, come e perché nasce questa iniziativa in un territorio ricco di fermenti nel sociale?

È vero, la nostra provincia è brillante e molto ricca di iniziative, ma forse sono troppo frammentate. Non si riesce facilmente a fare rete, come testimoniano i progetti sostenuti dalla Fondazione Caript nel passato anche recente. Questo ci è sembrato un danno per la realtà sociale del Pistoiese. Così abbiamo iniziato a ragionare all’interno del Cda della Fondazione Caript, prendendo esempio delle Fondazioni di comunità presenti da anni in altre parti d’Italia. Studiamo il panorama: cito le esperienze delle Fondazioni Cariplo e di Messina, quest’ultima sostenuta dalla Fondazione Con il Sud, e cerchiamo di valorizzare la cooperazione e la coprogettazione. Fondazione Caript e l’impresa sociale Con i bambini hanno sostenuto insieme un progetto adatto alle nostre problematiche locali, in quanto la povertà educativa riguarda tutti e non solo una parte del Paese. Abbiamo messo insieme 23 realtà sociali della nostra provincia, mettendoci un particolare impegno per le tematiche della Fondazione di comunità. Tutto ciò ci ha permesso di prepararci per questa nuova avventura.

Che cosa cambierà, dunque, con la Fondazione neonata?

Da sempre la Fondazione Caript ha sentito il bisogno di superare un certo tipo di approccio. Abbiamo analizzato non solo le risorse messe a disposizione ma anche la ricaduta dei singoli progetti nel territorio: talvolta è andata bene, altre volte i tempi di attuazione sono risultati troppo limitati. Occorre una durata progettuale di medio-lungo periodo, per consolidare l’impatto sociale che ogni progetto produce.

Avete previsto cinque laboratori che si terranno dal 4 al 25 febbraio, a Pistoia, Valdinievole, Montagna e Piana Pistoiese. Come si articoleranno?

I criteri della scelta delle sedi sono prevalentemente geografici, perché parliamo di realtà storiche e culturali differenti tra di loro. D’altronde, non potevamo invitare tutti a Pistoia, tanto più che sono numerosissime le richieste di partecipazione che abbiamo ricevuto. Abbiamo pensato che fosse opportuno andare da loro e offrire il giusto ascolto: ogni singolo territorio ha precise caratteristiche e connotazioni che vogliamo rispettare. Costruiremo relazioni forti. Le problematiche di un luogo possono essere spiegate soltanto da chi vi abita. Abbiamo ricevuto sinora 152 adesioni: non sono poche. Abbiamo dovuto sospendere le adesioni perché i laboratori devono essere produttivi. Ma stiamo riaprendo le iscrizioni per non lasciare fuori nessuno.

Ascolto dei territori. È quello che dovrebbe fare anche e soprattutto la politica.

Non c’è dubbio. Anche qui il Terzo settore si mostra terreno fertile di attività. Un altro grosso merito che ha avuto il Cda della Fondazione Caript è stato proprio quello di stimolare il dibattito tra la Fondazione stessa e il Terzo settore locale, attraverso vari incontri nel territorio. Ecco, deve crescere la politica intesa come amore per la propria città, una comunità che vogliamo rinvigorire.

Quali saranno le tematiche dei laboratori?

Abbiamo individuato tre filoni da sviluppare al più presto, perché ritenuti strategici e impellenti per la realtà pistoiese: il lavoro e l’inserimento lavorativo (in particolare delle persone più fragili); la povertà educativa minorile, collegata alle problematiche del degrado ambientale (attraverso un percorso chiamato “Gli alberi del Verde”); infine, la disabilità e la malattia mentale, per le quali vogliamo studiare forme nuove di investimento e di risposta. Ci sono interlocuzioni con la Regione Toscana e la Società della salute. Ancora non ci sono schemi precisi di operatività, ma ci preme che le linee di intervento diventino durature e possano coinvolgere tutta la comunità, dalle imprese locali alle scuole, dalle istituzioni ai sindacati e alle associazioni di categoria, sino alle singole persone. Fondazione Caript ha messo a disposizione del Terzo settore risorse per 700mila euro l’anno: un impegno importante, che va sfruttato al meglio.

Ha richiamato in più passaggi il problema della povertà educativa, che coinvolge le famiglie ma anche il mondo scolastico. Qual è il ruolo della scuola visto da un’ex insegnante di lettere?

Non è una domanda facile. Mi verrebbe da dire che c’è bisogno di fantasia e coraggio. Nella mia esperienza ho avuto delle possibilità interessanti. Per esempio, ho avuto a che fare con bambini di origine non italiana: tempo addietro, avevo cercato di coinvolgere gli studenti più bravi per aiutare i più fragili, per esempio quelli che stentavano nell’apprendimento della lingua italiana. C’è un istituto comprensivo della nostra provincia che sta lavorando molto bene con i bambini e i ragazzi problematici, anche con forme fantasiose. L’istituzione non deve restare rigida. A noi preme il percorso di crescita dell’intera comunità. Dobbiamo far comprendere l’importanza del valore di ciascuna persona. Nessuno deve essere trascurato o lasciato indietro. Questa scuola si è inventata il Servizio civile scolastico: ogni ragazzo ha messo a disposizione un certo numero di ore da dedicare a disposizione dei bisogni della comunità scolastica, per esempio per sistemare una parete rovinata oppure per aiutare dei compagni in difficoltà in qualche materia. Accresce il senso di responsabilità. La nostra Fondazione punterà a progetti come questo.

Lei si è occupata di migranti. È un tema che è tornato di attualità, a volte con polemiche pretestuose.

Il nostro territorio non è tra i più esposti a questo fenomeno, perché siamo un po’ distanti dal mare. Ma siamo una realtà piuttosto vivace, da questo punto di vista. Nello specifico, sono membro di un’associazione di accoglienza per i migranti, perciò mi sento di dire che i servizi necessari sono quelli che danno dignità a queste persone. L’apprendimento della lingua è un elemento fondamentale; poi c’è l’assistenza sociale a 360 gradi, a cominciare dalle giovani donne, con un percorso di avvicinamento al lavoro sia teorico che pratico. Dobbiamo essere consapevoli che, tra vent’anni, la società italiana sarà sempre più multietnica e multiculturale. Insomma, più che di integrazione dovremmo parlare di interazione.

Le Fondazioni di origine bancaria e il Terzo settore troppo spesso si devono sostituire allo Stato per tante iniziative. Ma una parte consistente del Parlamento non si accorge della necessità di sostenere adeguatamente questi due pilastri.

È facile essere d’accordo con questa osservazione. Le Fondazioni stanno facendo un cammino molto interessante attraverso la filantropia solidale: non si dà solo per dare ma per costruire e promuovere cambiamenti essenziali. Il Terzo settore ha delle matrici originanti particolari, ma spesso non riceve le necessarie attenzioni. Noi però abbiamo un’immagine di comunità molto più allargata e variegata, perché tutti possono avere un ruolo per la crescita del territorio. La cultura del dono in Italia è abbastanza presente ma forse, almeno a Pistoia, sinora non ha avuto i canali per potersi esprimere. Dobbiamo costruire dei percorsi di sensibilizzazione mettendo a disposizione uno strumento ad hoc, con fondi solidali e di sostegno per progetti specifici. La Fondazione di comunità vuole diventare un punto di riferimento per promuovere certe iniziative. Faccio un esempio: Pistoia è conosciuta per il vivaismo, ecco perché siamo particolarmente attenti alle tematiche del verde e all’ambiente, dove ci sono tante possibilità di inserimento lavorativo. Noi non entreremo nella gestione dei singoli progetti, per fare questo ci saranno esperti di ogni singolo settore. In poche parole, avvieremo percorsi di utilità sociale e pratiche di cambiamento verso un welfare generativo.

Ha un motto al quale si ispira?

No, ma siamo tutti consapevoli che è un’iniziativa grande. E siamo contenti perché questo percorso è stato confortato dai soci della Fondazione Caript: intervistati tempo fa, sottolinearono che occorreva sostenere subito e bene la nascita della Fondazione di comunità. Nel Cda abbiamo accompagnato questa riflessione in modo molto coinvolgente, invitando tanti enti del territorio per condividere i primi, faticosi passi. E la risposta sinora è stata rilevante. Non dobbiamo disperdere questo patrimonio.


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