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Disabilità

Da 125 anni ci prendiamo cura di quelli di cui nessuno si cura

di Sara De Carli

Leggere la realtà, vedere un bisogno, dare risposta: è il respiro della Fondazione Sacra Famiglia, che il prossimo 1° giugno compirà 125 anni. La prima casa di Cesano Boscone ospitava «pazzi tranquilli, amputati, pellagrosi», si legge nei documenti dell'epoca. «Non abbiamo scelto una categoria, quando un bisogno bussa, Sacra Famiglia risponde. Oggi con un nuovo Polo Multiservizi», dice don Marco Bove

Leggere la realtà, vedere un bisogno e offrire delle risposte: da 125 anni la storia di Sacra Famiglia è ritmata da questa dinamica. Non dall’aver individuato a priori una “categoria” di persone a cui dedicarsi, né dall’aver “progettato” a tavolino un’evoluzione: il respiro dell’opera è quello della charitas che monsignor Domenico Pogliani, il suo fondatore, aveva posto “sopra ogni altra cosa”.

Nei prossimi giorni Fondazione Sacra Famiglia vivrà due anniversari importanti: il 1° giugno ricorrono 125 anni da quando a Cesano Boscone aprì i battenti l’Ospizio Sacra Famiglia, mentre il 25 luglio cadranno i cento anni dalla morte di don Pogliani, di cui è in corso la causa per la beatificazione. Difficile in questo momento immaginare dei festeggiamenti (si spera nella possibilità di una Santa Messa celebrata dall’Arcivescovo Delpini e in un convegno storico per l’autunno), ma le due ricorrenze sono senz’altro di quelle che spingono a guardare indietro, tirare le somme, rilanciare: non per nulla la Fondazione è alla vigilia dell’avvio di un nuovo importante progetto che la porterà a costruire a Cesano Boscone un nuovo grande Polo Multiservizi, con tre edifici, di cui uno dedicato a bambini e adolescenti con autismo.

«Don Pogliani era uno dei canonici del Duomo di Milano. Un monsignore di salute cagionevole, che viveva in centro a Milano, mandato ultracinquantenne in una piccola parrocchia di campagna per godersi la pensione e chiudere tranquillamente la sua vita», racconta don Marco Bove, presidente della Fondazione Sacra Famiglia. Invece proprio in questo borgo da 1.300 abitanti, in un’età per l’epoca avanzata, don Pogliani dà alla luce l’opera della sua vita. «Lui ha uno sguardo attento, che sa vedere le fragilità e i bisogni: vede i bisogni dei bambini abbandonati e quelli dei poveri della campagna, mutilati e inabili al lavoro. Abbiamo documenti che ci dicono che già nel 1913, a pochi anni dalla nascita dell’Ospizio, la casa – perché di questo si trattava nelle intenzioni di monsignor Pogliani – accoglie 400 persone delle categorie più disparate». Don Marco legge i documenti d’epoca: «Pazzi tranquilli, pellagrosi, idioti e semi-idioti, paralitici, ciechi, epilettici, amputati, rachitici, vecchi impotenti… Questo è rimasto il nostro dna. Che cosa fa Sacra Famiglia oggi, qual è la sua mission? Leggere i bisogni e di offrire delle risposte». Negli anni ci sono stati l’asilo e le scuole speciali, l’attenzione per gli anziani e per le persone con disabilità, i servizi più legati alla salute e quelli più recenti per l’autismo. «I bisogni hanno bussato alle nostre porte, anche per l’autismo è stato così. Cinque o sei anni fa seguivamo una quarantina di famiglie, oggi sono 800. Noi abbiamo sempre scelto di farci carico degli ultimi, dei dimenticati, i quelli di cui nessuno si fa carico perché la presa in carico è complessa e – diciamolo con franchezza – onerosa, senza marginalità. La disabilità grave e molto grave resta fuori dai radar. Noi ce ne occupiamo, è stata una scelta».

Un secondo tratto caratterizzante della Fondazione Sacra Famiglia sta nel tipo di risposta: «Professionalmente seria, scientificamente solida, adeguata ai bisogni ma senza dimenticare mai la carità, il prendersi cura della persona fragile. La disponibilità delle persone è sempre entrata potentemente in gioco in questa opera: con i benefattori e con il volontariato», sottolinea don Bove. «Questa dimensione è importantissima anche oggi: non ci limitiamo a offrire cure sanitarie e servizi, ma ci prendiamo cura delle persone, tenendo insieme professionalità e gratuità, nel rispetto della persona fragile. Sono passati tanti anni, ma il dibattito recente attorno alle “categorie non produttive” ha mostrato quanto sia attuale la domanda sull’utilità e il senso del prendersi cura della persona fragile. Il nostro messaggio forte è che la persona vale in quanto persona, non in quanto produce o esprime grandi pensieri». Concretamente, questo significa per esempio aver avviato un progetto di medicina per la disabilità, all’interno della Casa di Cura Ambrosiana, l’ospedale di Sacra Famiglia. «È un ospedale che esiste da 50 anni, aperto al territorio. Per ribadire la nostra vocazione originaria di dedicarci ai più fragili stiamo cercando di far nascere una scuola di specialità in medicina per la disabilità, perché anche dal punto di vista sanitario, per la diagnosi come per il trattamento, ciò che per noi è banale può diventare un problema».

Anche Fondazione Sacra Famiglia, con i suoi 1.700 posti letto autorizzati, sta attraversando il grande momento di cambiamento che riguarda la residenzialità e la domiciliarità. Don Marco legge insieme le due sfide, senza metterle in contrapposizione: «Il nostro approccio è prendersi carico della persona anziana, all’interno di una filiera, di un continuum assistenziale. È quello che stiamo già facendo con i servizi domiciliari, con i Centri diurni, con le RSA aperte… Dentro questo percorso la scelta per la residenzialità diventa un segmento del continuum».

Nella foto di copertina, l'ospedale interno a Sacra Famiglia nel 1920, qui sotto Sofia in terapia nella stanza Snoezelen nel 2021. Foto Archivio Sacra Famiglia


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