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Accoglienza

Prendersi cura della vita proteggendo la vita

di Gilda Sciortino

Non è facile decidere di mettere al mondo un bimbo se si è sole, se improvvisamente il padre ha deciso di fare un passo indietro oppure nel caso in cui si è un nucleo familiare numeroso con difficoltà economiche. Fare ingresso al "Centro Aiuto alla Vita" di Palermo vuol dire trovare una nuova famiglia, pronta a essere ben presto allietata dai vagiti di una nuova vita

Quanta meraviglia può esserci dietro alla scoperta di essere in dolce attesa e trepidare durante i nove mesi che seguono la buona novella? Non per tutte, però, sapere di aspettare un bambino può voler dire esultare perché la certezza che, da quel momento in poi, la vita cambierà potrebbe essere una notizia che non si sarebbe voluto ricevere.

Un excursus di emozioni che viene accolto e protetto dai volontari del "Centro Aiuto alla Vita" di Palermo, realtà di volontariato essenziale nel senso che, senza fronzoli o pubblicità gridate, ha sempre aiutato quelle donne che hanno il coraggio di portare avanti la gravidanza, nonostante le difficoltà di una tale decisione. Più di mille i bambini che sono stati aiutati a venire al mondo da quando l’associazione è nata, cioè 42 anni fa, operando oggi in un bene confiscato alla mafia, dove il martedì e giovedì, dalle 9 alle 12, accoglie le donne che hanno bisogno, almeno inizialmente, anche solo di parlare.

«Da noi arrivano donne sole, madri di famiglie numerose – afferma il presidente, Luciano D’Angelo – che hanno bisogno di essere confortate, ma anche aiutate dal punto di vista economico. Soprattutto dopo il Covid. La maggior parte sono straniere, con una fragilità data dalla barriera linguistica, con la conseguenza che non riescono a intessere relazioni e a rivendicare diritti. Arrivano da noi anche quelle rimaste sole perché il compagno non ha accettato la gravidanza».

«Durante il lockdown si poteva uscire per fare la spesa soprattutto se avevi bambini ma, se non c’erano soldi, come si faceva? E allora – aggiunge D’Angelo -, se prima ci occupavamo di loro solo per quel che riguardava i corredini o le spese mediche per le analisi, abbiamo cominciato a portare pacchi di viveri. Bisogno che è andato crescendo e che stiamo continuando a fare, anche perché, nel caso di donne con famiglia, molte hanno avuto i mariti che hanno perso il lavoro, entrando tutto il nucleo in profonda crisi».

Per non parlare delle donne sole alle quali oggi le volontarie del Centro Aiuto alla Vita vanno incontro sopperendo ai loro bisogni economici, per esempio pagando le bollette o quanto altro serve a superare il momento di difficoltà che persiste ancora oggi. Una situazione acuitasi con la pandemia.

Silenzioso, discreto rimane l’intervento che il Cav fa, tenendo sempre ben presente il dolore di una mamma che, una volta scoperto di essere incinta, molto spesso entra nel panico e la prima cosa a cui pensa è l’aborto.

«Quando non vedono altra strada che interrompere una gravidanza indesiderata o complicata interveniamo per far capire loro che non solo sole – dice Valeria Reale, assistente sociale del Cav Palermo -. Le sosteniamo prima di tutto dal punto di vista psicologico e sociale, poi materialmente sino al primo anno di vita del bambino. Ci prendiamo cura di loro se devono fare le visite mediche, pagare ticket, acquistare farmaci. Poco prima del parto prepariamo il corredino e ci prepariamo insieme a loro al lieto evento».

Importante l’aiuto che arriva da anonimi donatori che sottoscrivono un progetto personalizzato.

«Praticamente una donazione a distanza – prosegue la Reale – che sostiene mamma e bambino per 18 mesi con circa 180 euro mensili. Ovviamente teniamo costantemente informato chi affronta questo impegno economico su come va la gravidanza e come cresce il bimbo. È capitato a volontarie in associazione da molto prima di me di avere aiutato donne i cui bambini oggi sino professionisti affermati. Loro, però, non lo sanno perché la donazione è sempre anonima. A me personalmente è successo di avere ricevuto la telefonata da una donna che, almeno dieci anni fa, era una giovane universitaria e l’abbiamo aiutata a tenere il bimbo. Ora vive a Milano, insegna e ci ha chiamato dicendoci: «Così come sono stata aiutata da una persona che non conosco, la stessa cosa voglio fare io che ora ho le possibilità». Un’impronta reale, concreta che lasciamo nella vita di queste donne, dando il senso a quel che facciamo. Lo capiamo quando entrano da noi con l’espressione triste, sconfortata, mentre quando tornano per farci vedere il bimbo entrano illuminando tutto con il loro sorriso».

Ma c’è un sogno che alberga nell’animo dei volontari del Cav.

«Mediamente seguiamo da 25 a 35 casi all’anno – conclude il presidente – ma riusciremmo a fare di più se solo potessimo accogliere le donne in una casa temporanea per il periodo della gravidanza, della nascita e anche durante parte della crescita del bambino. Lo penso come luogo di crescita per quelle sole, accompagnandole anche nello sviluppo di una “genitorialità responsabile”, come suggerisce lo stesso Papa Francesco. In passato strutture del genere le chiamavano “casa delle ragazze madri”, mentre io preferirei “casa dell’autonomia” dove potere restare anche con il proprio piccolo, a differenza delle comunità in cui, per le minorenni straniere non accompagnate, la gravidanza rimane un problema perché non possono tenere il piccolo. La casa che pensiamo noi deve essere un luogo accogliente, nel quale non esistano differenze e barriere. Il Covid ci ha insegnato a fare fronte comune e a non lasciare indietro nessuno».


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