Scuola
La scuola come ascensore sociale si è rotta? E noi proviamo ad aggiustarla
Ha appena compiuto cinque anni Teach for Italy, l'organizzazione che punta a restituire alla scuola la sua funzione di leva di giustizia sociale, «perché oggi l’origine sociale, economica e culturale della famiglia determina in modo debordante il futuro degli studenti e delle studentesse». La rete conta già 260 docenti, impegnati in oltre 120 scuole, con oltre 18mila studenti raggiunti. Una di loro, in Sicilia, è appena diventata dirigente scolastica: la prima d'Italia ad aver seguito il percorso Teach. Il bilancio del direttore e il racconto di due “docenti-fellow”

«Chi siamo? Alleati della scuola, per aiutarla a tornare ad essere leva di giustizia sociale»: così Antonio Piscopo, direttore generale ad interim di Teach for Italy, racchiude in poche parole i primi cinque anni di vita dell’organizzazione che ha sfidato i talenti del nostro Paese e dedicare due anni alla scuola.
A livello mondiale, Teach for all è un network presente in 63 Paesi. Nel nostro è arrivata nel 2020, in piena pandemia. L’obiettivo era chiaro ma ambizioso: riportare la scuola italiana ad essere un ascensore sociale. «La funzione di leva di giustizia sociale è stata la ragione della nascita della scuola pubblica, ma negli anni l’abbiamo vista indebolirsi», afferma Piscopo.
Fellow e alumni, una popolazione di “changemaker” in crescita
In cinque anni di attività, i numeri di Teach for Italy sono cresciuti costantemente: il programma, partito nel 2020 con 13 fellow, conta oggi 260 changemaker educativi. Di questi, 162 sono fellow (ovvero coloro che, dopo essere stati selezionati, partecipano al biennio formativo) e 100 sono alumni (sono coloro che hanno terminato la formazione). Teach for Italy oggi è presente in 13 regioni e 120 scuola e ha già raggiunto circa 18mila studenti tra i 6 e i 18 anni.

Il biennio dei fellow inizia con la Summer School: un’esperienza formativa intensiva, della durata di cinque settimane, in parte in presenza in parte a distanza, durante la quale viene fornita ai partecipanti quella “cassetta degli attrezzi” di cui avranno bisogno in classe. L’accompagnamento continua per tutto l’anno scolastico: i fellow entrano nelle scuole che Teach for Italy seleziona nei contesti maggiormente svantaggiati, dove la cosiddetta “povertà educativa” è più diffusa e radicata.
Cristina Fanara, per esempio, ha lavorato per anni in un istituto omnicomprensivo di Librino, un quartiere di Catania considerato a rischio. «Qui la scuola è votata all’inclusione. Mi sono avvicinata a questo percorso per acquisire consapevolezza, strumenti e tecniche per lavorare nell’ottica di un empowerment dei miei studenti. Mi ha subito colpito la finalità dichiarata di questo progetto: lavorare per l’autonomia degli studenti, la loro crescita a 360 gradi e la loro presa di coscienza».
La prima dirigente scolastica “Teach”
Da pochissimi giorni Fanara è la prima dirigente scolastica “Teach” d’Italia. Laureata in Giurisprudenza presso l’Università degli Studi di Messina, da anni è insegnante di ruolo presso l’IO Pestalozzi di Catania. Ora, ha appena concluso il biennio di fellowship con Teach for Italy e, quasi contemporaneamente, ha vinto il concorso come dirigente scolastica.

«Insegnavo già da tempo quando la proposta di Teach for Italy mi è passata sotto gli occhi: mi ha subito affascinata. Ho preso parte a un webinar per docenti, in cui veniva presentato il programma e ho deciso di candidarmi. Mi hanno accettata, unica dalla Sicilia quell’anno. Oggi siamo molti di più, il progetto si è molto diffuso in questa regione e ne sono davvero felice, perché so quanto può dare, specialmente in alcuni contesti».
Noi docenti abbiamo la tendenza a vedere gli alunni come persone “incapaci”. Con Teach for Italy ho cambiato completamente sguardo: ho iniziato a notare le grandi capacità che sono in loro
Cristina Fanara, dirigente scolastica
A lei, Teach for Italy ha dato soprattutto uno sguardo nuovo sui ragazzi: «Noi docenti abbiamo la tendenza a vedere gli alunni come persone “incapaci”. Ora invece vedo soprattutto le grandi capacità che sono in loro e so che il mio compito è aiutarli a tirarle fuori. La relazione tra me e loro è cambiata, così come è cambiato il loro sguardo su di me».
Tutto questo è stato frutto della formazione, ma Fanara preferisce parlarne come di un «allenamento che ti porta innanzitutto a una riflessione su te stesso». Oltre allo sguardo, ciò che concretamente per lei è cambiato è «l’attitudine alla progettazione dell’attività didattica, che è diventata molto più attenta. Ho acquisito anche una maggiore consapevolezza degli obiettivi di ogni lezione e ho imparato l’importanza del monitoraggio, che per “Teach” è un momento fondamentale e necessario per andare nella giusta direzione».
E poi, c’è l’abitudine al confronto, che diventa necessario e vitale: «Durante il percorso di fellowship ci incontriamo spesso, sia in presenza che a distanza, per scambiarci esperienze e dubbi: la potenza del gruppo è fondamentale perché sappiamo di poter contare sugli altri se dovessimo incontrare una difficoltà o avessimo un dubbio. Questi momenti di confronto, solitamente, nella scuola mancano ed è una grave lacuna».
Fanara ha appena iniziato la sua nuova avventura da dirigente scolastica: «Teach for Italy mi ha dato anche il coraggio e lo stimolo per rimettermi a studiare e partecipare al concorso come dirigente scolastico, con esito positivo. Ho preso servizio il primo settembre e sento che tutto questo non sarebbe stato possibile senza la fellowship: non solo mi ha dato una motivazione in più, ma mi ha dato anche la giusta postura, insegnandomi a vedere la scuola anche dall’alto, in prospettiva. Non so come andrà, ma so per certo che questo percorso mi ha segnata per sempre e sarò “Teach” per tutta la vita e in tutto quel che farò».

Cambiare la scuola italiana si può e si deve, conclude Fanara. Per questo, «sarebbe bello che ci fossero tanti “fellow” sparsi ovunque, specialmente nelle zone di maggiore povertà educativa, per ridurre le disuguaglianze».
«L’ascensore sociale è rotto? Dobbiamo ripristinarlo»
Ridurre le diseguaglianze è il compito originario della scuola, insiste Antonio Piscopo, che ha assunto la funzione di direttore generale ad interim di Teach for Italy all’inizio dell’estate, ma è negli “ingranaggi” dell’organizzazione italiana fin da quando questa ha mosso i suoi primi passi. Laureato in Filosofia con indirizzo etico, è stato impegnato per diverso tempo in Teach for Deutschland, prima di essere chiamato ad aiutare la neonata sede italiana.

«Prima ancora, avevo lavorato per tanti anni nell’Arci, in particolare a Palermo. Da sempre la giustizia sociale è ciò che mi appassiona e mi muove. E la scuola è la principale leva di giustizia sociale. Nel dopoguerra la scuola ha svolto una fondamentale funzione di ascensore sociale, che però a partire dagli anni ’80 e ’90 si è indebolita. Oggi l’origine sociale, economica e culturale della famiglia determina in modo debordante il futuro degli studenti e delle studentesse».
Oggi l’origine sociale, economica e culturale della famiglia determina in modo debordante il futuro degli studenti e delle studentesse
Antonio Piscopo, direttore generale ad interim di Teach for Italy
Restituire alla scuola questa funzione è quello che da cinque anni prova a fare Teach for Italy. Come? Aiutando i docenti a «riconoscere la centralità dei loro studenti, con l’unicità delle loro caratteristiche, perché questi possano sviluppare i loro talenti al meglio».
La cassetta degli attrezzi: leadership collettiva, regole condivise, comunità educante
Il metodo e gli strumenti intorno ai quali si svolge la formazione dei docenti sono tanti e diversi. Uno però è fondamentale, nella “cassetta degli attrezzi” che viene consegnata ad ogni fellow: è quella che Piscopo indica come «leadership collettiva, che i nostri docenti fellow interiorizzano lungo il percorso come approccio a tutto quel che fanno e che faranno, abilitando al tempo stesso la leadership degli studenti».

Mettere al centro gli studenti, in Teach for Italy significa «sviluppare in loro e con loro competenze di leadership, perché non si vivano come passeggeri di un autobus guidato da altri, ma come corresponsabili del percorso didattico, seppur con funzioni e ruolo differenti rispetto all’adulto», spiega ancora Piscopo. «In questo modo, gli studenti si appropriano delle competenze che servono per diventare le persone che vogliono diventare, capaci di costruirsi un percorso di autonomia, emancipandosi dal destino segnato dall’essere “figli di”, o “nati a”. Per fare questo, investiamo su metodologie didattiche avanzate, stimolando protagonismo e responsabilità».
Un altro elemento chiave, che i fellow stanno “disseminando” nelle scuole e tra gli studenti è «lo sviluppo dell’intelligenza emotiva, che i nostri docenti fellow mettono sempre al centro, a prescindere dalla disciplina che insegnano. E poi c’è la condivisione delle regole tra docenti e studenti. Infine, fondamentale è la collaborazione tra gli insegnanti, che non devono e non possono lavorare come se fossero monadi. Anche i genitori vengono stimolati a essere proattivamente presenti nel percorso dei figli, perché siano anch’essi protagonisti di una riflessione sul percorso educativo, attraverso sessioni specifiche alle quali li invitiamo a partecipare, divenendo parte attiva della comunità educante».
Da manager a fellow
La comunità educante è stato il punto di forza del lavoro di Matteo Comito, che ha lasciato una carriera da manager per entrare nel mondo della scuola con Teach for Italy. La svolta è arrivata dopo una laurea in Economia e quasi dieci anni in ruoli importanti all’interno di grandi aziende: «Sentivo bisogno di qualcosa che potesse darmi più senso, un lavoro che avesse un impatto sociale e collettivo. Da sempre penso che l’istruzione sia lo strumento principale per rendere la società più giusta ed equa: motore di innovazione, evoluzione, giustizia, tolleranza».

Così, quando ha incontrato Teach for Italy, Comito si è candidato ed è stato selezionato. Dal nord Italia e il nord Europa, in cui era nato e cresciuto, Comito si è trasferito a Napoli: «La destinazione non si sceglie, viene assegnata dall’organizzazione. Ma se avessi potuto scegliere, avrei scelto proprio Napoli, o comunque una città del Sud: era quello il territorio in cui volevo sperimentarmi».
A Comito è stata chiesto di insegnare Economia in un centro di formazione professionale: «Una tipologia di scuola che Teach for Italy cura particolarmente, perché generalmente è l’ultimo avamposto prima dell’abbandono scolastico. Sono stati due anni pieni di apprendimenti ed entusiasmo, molto sfidanti, in un contesto geografico completamente diverso dal mio, con i ragazzi che parlavano per lo più in dialetto e avevano una mentalità rionale».
Avevo bisogno di qualcosa che potesse darmi più senso, un lavoro che avesse un impatto sociale e collettivo
Matteo Comito
Quali “attrezzi” ha estratto dalla sua “cassetta” per lavorare in un ambiente così complesso e conquistare la fiducia di studenti e colleghi? Innanzitutto, proprio la comunità educante: «Ho coinvolto studenti, genitori, colleghi ma anche enti esterni, pubblici e privati, nella costruzione di una comunità educante. Abbiamo realizzato tante attività, soprattutto fuori dalla scuola: un corso di street art, un cortometraggio con la troupe di Sorrentino… Ho cercato di mettere in pratica ciò che Teach for Italy mi aveva insegnato: agire come leader collettivo».

Un’altra «grande carta vincente è stata la scuola in itinere, ovvero portare i ragazzi fuori da scuola: siamo andati a Milano, a Roma, in Polonia e con le tende in Sardegna: tutte esperienze che ragazzi nati e cresciuti in quel contesto difficilmente riescono a fare. Creare la scuola fuori da scuola permette un rapporto empatico con gli studenti e al tempo stesso insegna loro a stare nel mondo, non chiusi nei loro rioni».
Ho visto crescere la fiducia dei ragazzi in loro stessi: uscire dalla loro zona di confort li ha fatti diventare consapevoli delle loro capacità
Matteo Comito
E poi c’è una terza risorsa fondamentale, su cui Comito ha sentito di poter contare: la consapevolezza di «appartenere a un movimento», spiega. «Ho sentito molto di essere supportato e accompagnato, di essere parte di un gruppo di persone diverse, accomunate da una visione di scuola come arma pacifica di rivoluzione, che crea un senso di possibilità».
E i ragazzi sono davvero cambiati, grazie alle opportunità che sono state offerte, ma soprattutto grazie ai «rinforzi positivi e all’educazione personalizzata che ricevevano», spiega Comito. «Ho visto crescere la fiducia dei ragazzi in loro stessi: uscire dalla loro zona di confort li ha fatti diventare consapevoli delle loro capacità. Aprendo la loro finestra sul mondo, li ho visti prendere confidenza con ciò che è fuori e darsi la possibilità di fare qualcosa di diverso da ciò a cui pensavano di essere destinati».

Tutto questo, a partire dalla materia che insegnava, economia: «Ho parlato agli studenti di piccole aziende che si sono sviluppate dal livello locale a quello globale, ho cercato di far capire loro che ci sono tante possibilità e tante persone che vogliono credere e investire nei giovani, ma tocca a loro aprire gli occhi e allargare gli orizzonti. È stata una grande gioia veder iniziare in loro un processo di emancipazione che li porterà, spero, a spiccare il volo. Infine, ho visto nascere in loro il pensiero critico, un’altra grande, fondamentale conquista».
Oggi Comito ha concluso il suo biennio di fellowship e ha salutato Napoli e i suoi studenti. A Teach for Italy è rimasto legato: lavorerà come formatore sul tema del cambiamento climatico. Stimolato da questa esperienza, però, vorrebbe mettersi in gioco in America Latina oppure in Africa, sempre in ambito educativo e formativo. Avrà dei colloqui nei prossimi giorni. Aprire nuove possibilità, come Teach for Italy insegna.
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