Famiglia
L’affidamento condiviso visto dai bambini: soggetti di diritto e non oggetti del contendere
L’esame del ddl 832 in Senato ha riaperto il dibattito sull’affido condiviso. Ma al centro ci sono ancora i diritti degli adulti. E se questa invece fosse l’occasione per ascoltare davvero bambine e bambini, ragazze e ragazzi? L'analisi di una portavoce dei minori
di Lisa Sesini

È partito in Commissione Giustizia del Senato l’esame del disegno di legge n. 832, a prima firma del senatore Alberto Balboni (Fratelli d’Italia), che propone una revisione dell’affidamento condiviso. Obiettivo dichiarato è quello di rafforzare la bigenitorialità e garantire tempi paritetici di frequentazione dei figli con entrambi i genitori dopo la separazione. Una riforma che, come spesso accade, sembra però ruotare più attorno ai diritti degli adulti che ai bisogni di bambine/i e ragazze/i. Nel disegno di legge, la presunzione di tempi paritari viene proposta come strumento di equilibrio. Ma il rischio è che diventi un automatismo, poco adatto alla complessità delle vite reali. Perché la simmetria aritmetica – “metà del tempo con ciascun genitore” – non è sinonimo di benessere per bambine/i e ragazze/i, soprattutto se il conflitto genitoriale è alto, cronico o mal gestito.
Ecco allora che l’advocacy dei diritti dell’infanzia e dell’adolescenza ha oggi un ruolo fondamentale: aiutare il legislatore a spostare il punto di vista. Non contrapporsi ideologicamente, ma contribuire con proposte concrete, buone prassi, esperienze vissute. Non è solo questione di diritto, ma di sguardo. E di ascolto.
L’advocacy si fonda su alcuni principi chiave:
– la riservatezza, per tutelare bambine/i e ragazze/i in ogni passaggio del percorso;
– l’indipendenza, per garantire che le loro esigenze non vengano strumentalizzate da interessi adulti o istituzionali;
– un approccio centrato su bambine/i e ragazze/i, che valorizza la loro unicità, storia e contesto;
– l’empowerment, che significa rafforzare la loro capacità di comprendere, scegliere, partecipare.
In questo senso, essere portavoce non è solo parlare “al posto di”, ma creare le condizioni perché bambine/i e ragazze/i possano parlare con la propria voce, in modo protetto e significativo. Ed è proprio questa competenza – educativa, relazionale, culturale – che oggi può e deve entrare nel dibattito parlamentare.
1. L’ascolto di bambine/i e ragazze/i è un diritto, non un favore
Chi lavora nei tribunali, nei servizi sociali, nella scuola lo sa bene: quando bambine/i e ragazze/i sono ascoltati con attenzione e rispetto, le soluzioni sono più sostenibili. L’ascolto non significa “scegli tra mamma e papà”, ma dare dignità alla loro voce. Serve formazione, competenza, tutela. E serve che sia previsto come passaggio obbligatorio, non lasciato alla discrezionalità.
Essere portavoce non è solo parlare “al posto di”, ma creare le condizioni perché bambine/i e ragazze/i possano parlare con la propria voce, in modo protetto e significativo. Ed è proprio questa competenza che oggi deve entrare nel dibattito parlamentare
Lisa Sesini
2. No agli automatismi, sì alla valutazione caso per caso
L’affidamento condiviso è già legge dal 2006. Il problema non è la mancanza di norme, ma la loro applicazione. Il ddl 832 rischia di introdurre schemi rigidi, mentre la vita delle famiglie richiede flessibilità, adattamento, equilibrio. La priorità dovrebbe essere il benessere dei bambine/i e ragazze/i, non la parità formale tra gli adulti.
3. Formazione per chi decide
Un altro snodo chiave: la formazione dei giudici, degli avvocati, degli operatori sociali. Le buone prassi dimostrano che quando le competenze giuridiche si integrano con quelle psicologiche, educative e relazionali, le decisioni sono più eque e meno traumatiche. Il portavoce può portare queste competenze nei tavoli istituzionali, contribuendo a una giustizia più umana.
4. Servizi adeguati, non solo nuove leggi
Una vera riforma nell’interesse dei più giovani dovrebbe partire da un investimento nei servizi: spazi neutri per gli incontri protetti, mediazione familiare di qualità, sportelli di ascolto per bambine/i e ragazze/i, sostegno alla genitorialità. I portavoce possono e devono chiedere al legislatore non solo “quale norma scriviamo?”, ma anche “quali strumenti mettiamo a disposizione?”.
5. Un confronto non ideologico
Il punto non è scegliere tra madri o padri, tra affido esclusivo o condiviso, ma guardare in faccia la realtà: ogni separazione è una storia a sé, e bambine/i e ragazze/i hanno il diritto di essere visti, ascoltati, protetti. Chi dà voce ai più giovani ha oggi la possibilità – e la responsabilità – di portare al centro del dibattito il vissuto concreto di bambine/i e ragazze/i. Senza barricate, ma con fermezza.

Il ddl 832 può essere un’occasione: non per irrigidire il sistema, ma per renderlo più attento, più giusto, più vicino ai bisogni di bambine/i e ragazze/i. Ma serve uno sforzo collettivo per cambiare sguardo. Servono le voci di chi lavora ogni giorno nei contesti più fragili, nei tribunali, nei servizi, nelle scuole. È tempo che bambine/i e ragazze/i di cui tanto si parla diventino davvero soggetti di diritto, non solo oggetti del contendere.
Lisa Sesini – portavoce. In apertura Foto di Paul Hanaoka su Unsplash
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