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Sport sociale

Le nuove dipendenze? Lo sport può essere lo scudo decisivo

La dottoressa Rossella Bencivenga, consulente psicologico-sportiva della Fondazione Laureus sport for good, spiega cosa sono le new addiction e perché l'attività fisica è importante nel prevenirle e trattarle

di Rossella Bencivenga

Un allenatore in piedi circondato da ragazzini, a cui sta spiegando qualcosa

Il tema delle dipendenze è estremamente mutato negli ultimi anni: lo dicono i dati sulle cosiddette new addiction, particolarmente diffuse tra i millennials e la generazione Z. Le addizioni non hanno più solo “oggetti” illeciti, come le sostanze stupefacenti, ma anche attività socialmente accettate e fortemente incoraggiate dalla necessità di aderenza alla nuova realtà socio-culturale: net-compulsions, cyber relational addiction, computer addiction e nomofobia.

Secondo una ricerca pubblicata nel 2023 dall’Ansa, il tempo medio trascorso nella realtà virtuale è di circa 6 ore e cresce di anno in anno, attestando che almeno 700 mila adolescenti in Italia sono dipendenti da web, social e videogame: «Di questi circa 100mila fanno uso compulsivo di TikTok e Instagram, quasi altrettanti si chiudono per mesi in camera passando ore sul web – hanno fatto sapere il Dipartimento Politiche antidroga e il Centro nazionale dipendenze dell’Istituto superiore di Sanità –, mentre altri 500mila sono a rischio di dipendenza da videogiochi». Inoltre in oltre 8.700 ragazzi fra gli 11 e i 17 anni, quasi il 12% ha una forma di dipendenza dai videogiochi e il 2,5% fa un uso compulsivo dei social, mentre l’1,8% chiude per mesi in camera vivendo su computer e smartphone».

Lo sviluppo di una dipendenza comportamentale – le new addiction si configurano come tali – sembra avere un esordio sempre più precoce, data la notevole quantità di stimoli a cui dalla prima infanzia sono esposti i nativi digitali, tuttavia è la qualità e la quantità della relazione con lo stimolo a cui si è esposti che definisce la disfunzionalità oltre all’adeguatezza dello stimolo in sé. La diagnosi clinica di dipendenza da internet, si identifica quindi come un disturbo del controllo degli impulsi e necessita di soddisfare per almeno 12 mesi almeno 4 di questi criteri: essere mentalmente assorbito da internet, avvertire il bisogno di collegarsi sempre più a lungo per sentirsi soddisfatto, essere incapaci di controllare il proprio utilizzo della rete, sentirsi irrequieto o irritabile mentre si tenta di ridurne o interromperne l’utilizzo, mentire ai familiari o agli amici per nascondere il proprio grado di interesse per il tema.

Inoltre un criterio fondamentale che ne definisce spesso diagnosi differenziale è la funzione che la realtà virtuale rappresenta nella vita del bambino/adolescente: ovvero utilizzare internet come mezzo per fuggire dai problemi o per alleviare il senso di abbandono, impotenza, colpa, ansia o depressione e al contempo la possibile pervasività della realtà virtuale rispetto alla vita quotidiana e alle attività realizzatrici.

La prevenzione e la cura delle new addiction è stata sinora elettivamente affidata alla psichiatria, alla psicologia clinica e alla psicoterapia che quotidianamente accolgono la domanda di aiuto di bambini, adolescenti, giovani adulti e dei loro familiari. Tuttavia la sfida che le nostre professionalità stanno affrontando non può limitarsi alle stanze e agli studi professionali che oggi sentono la necessità di ampliare il loro spettro d’azione a campi ancora scarsamente esplorati e valorizzati.

In particolare lo sport sembra poter rappresentare ad oggi il “campo d’azione” migliore per sintetizzare e veicolare sistemi terapeutici integrati, poiché intercetta la maggioranza dei bisogni primari alla base delle new addiction intervenendo direttamente ed indirettamente nell’allenare bambini e ragazzi ad alfabetizzare e potenziare strumenti emotivi, cognitivi e relazionali al fine di modificare la percezione di sé e dell’ambiente esterno attraverso gratificazioni corporee in senso armonico.

L’investimento in attività psicomotorie infatti fin dalla prima infanzia sembra intervenire attivamente nello sviluppo neurobiologico, stimolando lo sviluppo di un equilibrio cerebrale sia livello fisiologico che chimico. Le recenti ricerche scientifiche (Wee et al., 2014; Sepede et al., 2021) dimostrano che nelle persone affette da new addiction la struttura del cervello evidenzia una modificazione della quantità di materia grigia e bianca nella regione prefrontale del cervello, simile a quella di coloro che soffrono di una dipendenza da sostanza e le attuali conoscenze in ambito neurobiologico sembrano ipotizzare che si verifichi un disequilibrio tra il sistema della serotonina e della dopamina, mediatori fondamentali per la regolazione dei comportamenti come la disinibizione comportamentale e il meccanismo di gratificazione. Tali modificazioni potrebbero essere la causa della difficoltà a sperimentare normali livelli di piacere in attività che la maggior parte delle persone troverebbe gratificanti ed influenzare la capacità di esprimere a livello sia cognitivo che emotive alcune competenze esecutive e mnemoniche (ricordo di dettagli, all’attenzione selettiva, alla pianificazione e priorità dei compiti).

Bambini sorridenti vestiti in abito sportivo, uno ha una palla da basket in mano

L’attività sportiva stimola direttamente la possibilità di sperimentare una gratificazione sul piano neurobiologico e chimico che agisce come un fattore protettivo nell’aggancio ad una soddisfazione a breve e a lungotermine (adrenalina, noradrenalina, cortisolo, endorfina, serotonina) potenziando la cognizione positiva su di sé ed aumentando il senso di autoefficacia percepita attraverso lo sforzo fisico e la qualità della performance, nonchè la possibilità di raggiungere l’obiettivo individuale e di squadra.

Alcune discipline sportive inoltre sembrano essere particolarmente indicate per lo sviluppo di soft skills fondamentali per affrontare le sfide evolutive che i bambini e gli adolescenti sperimentano nella vita reale e nel modo virtuale trasformando i campi di gioco e le squadre sportive in veri e propri oggetti transizionali che permettono di imparare, rafforzare e sperimentare strumenti indispensabili ad interpretare la complessità degli stimoli a cui sono esposti.

Lo sport interviene direttamente nello sviluppare aderenza a sistemi di regole chiare, coerenti e condivise generando appartenenza ed al contempo contenimento e rassicurazione in spazi sicuri e mediati da adulti di riferimento significativi e rispondendo in modo efficace al bisogno di rispecchiarsi in un gruppo dei pari sano e positivo. La forza, l’aggressività e il senso di competizione sono orientati e sostenuti migliorando il controllo degli impulsi e la regolazione emotiva ed affettiva. Lo spazio e il tempo dell’allenamento sportivo sembrano essere degli indispensabili alleati nel prevenire ed intervenire su fattori individuali di rischio allo sviluppo delle nuove dipendenze quali: la bassa autostima, difficoltà sociali, marcata sensitività interpersonale, modalità di pensiero ossessiva e comportamenti compulsivi.

Lo sviluppo di competenze relazionali ed interattive proprie degli sport di squadra sembrano inoltre favorire il contenimento di alcune vulnerabilità individuali ed interpersonali con particolare riferimento ad un comportamento di evitamento e fuga proprio della new addiction, attraverso il quale i ragazzi evitano di affrontare le prove evolutive. L’aderenza a modelli di leadership autentici e ispirazionali che l’atleta porta in campo sembra inoltre favorire la possibilità di rispecchiarsi in “influencer” validi ed autorevoli.

I progetti di Fondazione Laureus sport for good rappresentano da anni un osservatorio elettivo del disagio e delle fragilità di bambini ed adolescenti ed al contempo si pone come laboratorio sperimentale per generare dispositivi sportivi che integrino le professionalità psicologico-cliniche al fine di rispondere alle innumerevoli istanze della post-modernità.

I molteplici interventi in campo, su diversi territori italiani, infatti si caratterizzano per la realizzazione di attività sportive mirate all’integrazione tra il valore psicomotorio dei benefici sportivi e il potenziamento e lo sviluppo di abilità educative, sociali, relazionali, cognitive ed emotive.

Il processo di integrazione si avvale della sinergia di una progettazione sartoriale mirata: alla specificità della proposta sportiva, agli obiettivi del committente, alle fragilità dei bambini e dei ragazzi inseriti e alla professionalità degli esperti in ambito psicologico ed educativo, che osservano in modo partecipato le attività e monitorano costantemente attraverso strumenti di valutazione quantitativi e qualitativi le fasi progettuali, inserendo gli allenatori in una formazione psico-educativa ed esperienziale diretta.

Il mandato interpretato dalla Fondazione sembra essere ad oggi precursore della possibilità di rispondere all’emergenza psicologica ed educativa in cui vivono bambini ed adolescenti, attivando un circolo virtuoso, che partendo dalla segnalazione di domande d’aiuto sempre più complesse si dispiega in interventi capillari sin dalla prima infanzia, attivando reti e tessendo trame istituzionali protettive e preventive, orientando ad un aiuto concreto dentro e fuori dai campi sportivi.

Abbiamo dedicato un’inchiesta al consumo di sostanze, in particolare da parte dei giovani, nel numero di VITA magazine “Droga, apriamo gli occhi”. Se sei abbonata o abbonato a VITA puoi leggerlo subito da qui.

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