Non profit

Lobby sull’orlo di una crisi (di nervi)

Dopo il fallimento della riforma-Baretta oramai è conclamato: la lobby dell'azzardo è affetta da incapacità di leggere una realtà che in pochi anni è mutata, come è mutata la coscienza critica di una società civile sempre più matura e stanca di mediazioni o deleghe. I "no" sulle slot sono no, non "sì" pronunciati sottovoce nella speranza che nessuno li senta. Sono "no" perché attorno a quel "no" si condensano speranze, attese e concretissimi progetti di ricostituzione del legame sociale. Punto e a capo.

di Marco Dotti

La lobby dell'azzardo è "al borde de un ataque de nervios" e non c'è protocollo né concertazione né intesa, larga o piccina, che tenga. Tra gli "sconfitti della delega", i più sconfitti sono proprio loro, quelli dotati di più potere ma oramai privi di peso specifico: i lobbisti. Incapaci di uscire da un vicolo cieco in cui loro stessi si sono messi, trascinando con sé, nel baratro della loro diseconomia, migliaia di italiani, non fanno che ripetere un refrain: "o togliamo potere alle regioni e ai sindaci o consegneremo il mercato agli stranieri, alle mafie, agli operatori inglesi". Già, come se le loro società non avessero già sede fiscale a Londra, in Lussemburgo o nelle Isole Tonga.

Nel frattempo, tra i professionisti dell'anti-lobbying inutile – i più graditi al sistema della lobby – chi fino a ieri taceva oggi parla con comunicati stampa autocelebrativi e strillati.

Ognuno se la gioca come può, ma resta un fatto: non siamo più al Grande Fratello e le voci fuori scena si sentono, si sentono tutte.

Il GIOCHETTO DELLE PARTI

La logica che per anni ha mosso questo gioco delle parti era semplice: simuliamo il contrasto, i buoni – voi – da una parte, i cattivi – noi – dall'altra e poi chiamiamo un mediatore che risolva il tutto nella direzione che convenga sia a noi, che a voi. Con la stessa legge noi rinnoviamo lo status quo del nostro proftto e voi ci finanziate qualche intervento di recupero, comunità, prevenzione e via discorrendo. Stato e Parastato uniti nella lotta per il privatissimo profitto, insomma. Ma il giochetto non funziona più.

Sono due anni che i lobbisti provano a legare le mani a società civile, Regioni e comuni virtuosi: prima col Decreto Salva Roma, del dicembre 2013, poi riducendo al ruolo di Leporello critici e presunti critici con il Protocollo d'intesa firmato nell'ottobre del 2014 tra Confindustria Gioco e Mettiamoci in Gioco, infine con le norme della bozza-Baretta, gennaio-giugno 2015. E persino col messaggio trasversale, lanciato nelle settimane scorse in Parlamento, quando in piena bagarre su un'altra riforma alcuni parlamentari del PD hanno avanzato l'ipotesi di "finanziare la scuola con una tassa di scopo presa dal gioco d'azzardo".

Non c'è fine al peggio, proprio perché è nella natura del peggio non aver limiti né fine. A meno che non si tagli di netto il discorso evitando ogni mediazione fanfaronesca. Le ultime mosse della lobby hanno comunque mostrato come i lobbisti siano abili nel mettere a profitto la loro sovrastruttura, ma solo se fra questa sovrastuttura e la realtà quotidiana si frappone un diaframma protettivo che renda innocua la seconda e ponga al riparo la prima. Un diaframma fatto di gergo ("gioco lecito", "gioco con alea"), pseudo-tecnicismi, falsi mediatori e vittime sacrificali che si presume accetteranno il colpo senza nulla da obiettare (il "sistema" dei concessionari, si sa, voleva far pagare il conto al presunto anello debole della catena: i gestori).

Oramai è conclamato: la lobby dell'azzardo è affetta da incapacità di leggere una realtà che in pochi anni è mutata, come è mutata la coscienza critica di una società civile sempre più matura e stanca di mediazioni o deleghe. I "no" sulle slot sono no, non "sì" pronunciati sottovoce nella speranza che nessuno li senta. Sono "no" perché attorno a quel "no" si condensano speranze, attese e concretissimi progetti di ricostituzione del legame sociale. Punto e a capo.

Il FATTO

Si può infatti pensare quel che si vuole di Matteo Renzi, ma una cosa è oramai chiara: segue altre logiche e queste restano indecifrabili ai lobbisti del gambling all'amatriciana. Era già successo con la famosa norma salva slot e anti-comuni inserita nel dicembre 2013 nel famigerato "Decreto Salva Roma", fatta saltare da Renzi, non certo dai comunicati stampa di Rocco e i suoi fratelli.
Forse Renzi è solo un politico con molto più fiuto di quanto si creda, forse ha fatto solo il proprio interesse. Sia come sia, ha mostrato una capacità di lettura di quella realtà che, evidentemente, sfugge ai consiglieri dei lobbisti (perché, ricordiamolo, esiste una lobby anche dei consiglieri delle lobby, quella che qui più volte abbiamo chiamato il "parastato").
Se non si comprende la tessitura nervosa della vita sociale – usando il termine tecnico, alla Simmel: nervenleben – allora i nervi saltano: o quelli della lobby o quelli del sociale. Non resta che scegliere da che parte far cadere la contraddizione: dalla parte di chi l'ha prodotta in anni di scriteriate pressioni – le lobby – o dalla parte di chi, in questi anni, ha pagato il conto per l'amaro frutto di quelle pressioni?

L'ANTEFATTO

L'antefatto: il mandato conferito dal parlamento al goveno nel marzo 2014, nell'ambito della delega fiscale (art. 14), per approntare in alcuni e precisi punti una riforma del sistema dell'azzardo legale è decaduta. Venerdì scorso, data ultima per presentarlo al Consiglio dei Ministri, il progetto di "codice dei giochi" composto da 112 articoli, che hanno debordato ben oltre quei punti precisi, preparato nelle stanze del Ministero dell'Economia e delle Finanze negli scorsi mesi e fortemente voluto dal sottosegretario Pier Paolo Baretta è diventato carta d'archivio, buona tutt'al più – direbbe Marx – «per nutrire la critica roditrice dei topi»

La "riforma epocale" su cui i tecnici del Ministero dell'Economia e delle Finanze lavoravano da più di un anno, però, non è stata né bocciata, né rimandata. Atteniamoci ai fatti: non è stata nemmeno presentata al Consiglio dei Ministri. È questo, crediamo, ad aver mandato fuori di sé la lobby pro-gambling che, oggi, non comprende più da che parte le arrivino ceffoni e sberleffi e quale logica seguano i decisori non asserviti alla logica di una pseudo-contrattazione.
Una pacca sulla spalla, un sorrisetto e via. Renzi ha reagito così, come davanti a fuori-corso a vita che si presentino con l'ennesima versione di una tesi di laurea che, loro per primi, sperano non venga mai discussa. E infatti, come avevamo previsto su queste pagine nell'aprile scorso (leggi qui), non lo è stata.
Se questo fosse un film e ci fosse una colonna sonora, in testa risuonerebbe senz'altro la vecchia, mai invecchiata Panic degli Smiths. E nel trailer non sfigurerebbero le parole di Massimo Passamonti.

Il Presidente di Sistema Gioco Italia, aderente a Confindustria, Massimo Passamonti, ha dichiarato senza mezzi termini: «Quello che è successo oggi assomiglia a un delitto perfetto. Oggi siamo al Day after del settore del gioco».

Chi ha visto il film diretto nel 1983 da Nicholas Meyer, citato da Passamonti, ricorderà senz'altro il trailer apocalittico che lo lanciava: «Se questo giorno dovesse venire sarebbe la fine di tutti i giorni». Singolare, però, è il fatto che le dichiarazioni di Passamonti avvengano giovedì 25 giugno (qui la notizia d'agenzia), ossia non "il giorno dopo", ma the day before, il giorno prima del completo affossamento della "riforma epocale" dell'azzardo legale che sarebbe stata decretata solo il 26 giugno, ossia il giorno seguente.

CHE FARE?

Bastava la logica, non servivano né la palla di vetro né altro per capire che con questa riforma non si andava da nessuna parte. Quindi, mentre molti ancora si affannato a a sostenere che l'ultima bozza, come l'ultima sigaretta di Zeno, era lì lì per essere presentata sul tavolo del Consiglio dei Ministri e che, comunque, «il lavoro fatto non verrà gettato», qui si avanza un'ipotesi diversa: quel lavoro va gettato e bisogna ripartire ex novo almeno dai punti promossi dalle associazioni no slot, iniziando da quel divieto assoluto di pubblicità e sponsorizzazione – diretta o indiretta che sia – dell'azzardo in qualunque forma e luogo che costituiva il movente poi tradito della delega ex art. 14. Resta comunque un fatto: nessuna delega è in bianco. Da venerdì 26, meno che mai.

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